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3.4.3 - Gli immigrati

Un ultimo "tipo" di minoranza, sempre più consistente nei paesi dell'Europa occidentale ed in Nord America, è quella degli immigrati. Anche nell'affrontare questo specifico argomento, i riferimenti vanno irrimediabilmente alle riflessioni fatte nel capitolo precedente sul rapporto tra ambiente e sud del mondo, oltreché sugli stili di vita. Ancora una volta il cerchio si chiude tra ecologismo e cultura della convivenza, in un'impostazione che, ancora più di quanto trattato finora in questo capitolo, esprime la dimensione politica di tutta l'attività di studio, di ricerca e di impegno di Langer. Infatti, più che mai, nel riflettere sulle ragioni e sulle prospettive del fenomeno migratorio nell'epoca moderna, emerge la scelta culturale e volontaristica della convivenza come opzione valoriale e politica forte, a tratti con venature di ingenuità e di ideologismo (nel senso positivo di impostazione ideale).
Langer parte dalla constatazione che nel corso della storia non ci sono stati periodi in cui grandi masse di persone, per le più diverse ragioni, non si siano spostate. La migrazione è dunque una costante nella storia dell'umanità. Ciò che caratterizza in modo drammatico gli spostamenti degli ultimi decenni è il modo in cui questi sono collegati all'affermarsi della cultura industrialista e, in un certo senso, consumistica, e quindi alla conseguente e progressiva distruzione degli ambienti conviviali di realtà anche lontanissime, dove, magari, l'industrializzazione vera e propria non è ancora arrivata se non con gli effetti di sconvolgimento della biosfera provocati dai livelli di vita dei paesi occidentali e dal tipo di industrializzazione dei paesi "in via di sviluppo". In un modello culturale in cui il concetto stesso di benessere si riduce ad una valutazione standardizzata e di tipo monetario, si crea una sorta di "intasamento, che propone a tutti, sollecita tutti ad aspirare alla medesima cosa, a voler vivere negli stessi posti, passare le vacanze nello stesso luogo, divertirsi nello stesso modo, ecc.". (123) La compressione di ogni forma di diversità ne è la logica conseguenza, annullando di fatto la "dignità" stessa di stili di vita altri.
A fronte di uno squilibrio senza precedenti che questo meccanismo crea nelle risorse e nelle economie mondiali, si crea un forte squilibrio anche tra i bisogni indotti e la possibilità di soddisfare tali bisogni; da qui dunque la spinta allo spostamento alla ricerca di quegli stili e quelle opportunità di vita proposte dalla globalizzazione della cultura e della comunicazione, ma negati dalla "arretratezza" economica dei paesi di origine. A questo va aggiunto il processo di devastazione ambientale che il capitalismo industriale occidentale opera nei paesi di recente emigrazione, vuoi direttamente, vuoi tramite i processi di "adeguamento" delle economie locali alle necessità del mercato globale:

Oggi purtroppo bisogna dire che il rapporto tra nord e sud del mondo porta a una tendenza di impoverimento del terzo mondo, del sud del mondo. In più, cosa che non dobbiamo dimenticare, l'imposizione di fatto dei nostri modelli di vita, sta avanzando velocemente e sembra quasi inesorabilmente anche nel terzo mondo.
Allora si capisce come una persona che ha visto il suo habitat, mettiamo amazzonico o della savana, trasformarsi in una bidonville urbana, in quartiere misero di periferia urbana, decida di tentare la fortuna piuttosto in Europa che in Africa o in America Latina. (124)

Queste dunque le ragioni "a monte" dell'emigrazione, cioè le ragioni per cui, secondo l'impostazione culturale di Langer, non possiamo accontentarci di affrontare i problemi che l'immigrazione crea a valle, ovvero quando arriva nei nostri paesi. Abbiamo già detto abbondantemente, parlando delle minoranze "autoctone", come le nostre società siano già da qualche secolo "diventate" nazionali, comprimendo ed omologando le proprie diversità interne. Società che, paradossalmente, sembrano offrire il massimo della diversificazione nei consumi o, per esempio, vanno sempre più differenziandosi nella settorializzazione della produzione e nelle specializzazioni professionali, mal tollerano le minoranze che, volenti o nolenti, ne caratterizzano l'identità culturale stessa. Sistemi sociali di questo tipo non possono che "fomentare diffidenza e spesso aperta ostilità verso quelle altre diversità che stanno oltre e fuori di essa: le altre nazioni, religioni, tradizioni, mentalità." (125) Non siamo cioè abituati all'idea che la multiformità etnica e culturale di una società, di una città o di una regione possa essere una ricchezza piuttosto che "una condanna ed un fardello negativo". (126)
L'unica via possibile che Langer suggerisce per disinnescare la "bomba" immigrazione sta dunque in quella scelta volontaristica ed in primo luogo individuale ampiamente trattata nel capitolo precedente: processi di contrazione dei nostri stili di vita (l'autolimitazione); riequilibrio fra nord e sud del mondo, fondato prima di tutto sul riconoscimento (democratico, per così dire) di un pluralismo culturale anche nei modi di vita, non necessariamente improntati al massimo profitto, al consumo, al benessere monetizzato; sviluppo di forme culturali, politiche, di vita sociale plurietniche e pluriculturali, che evitino soluzioni di "esclusione violenta, o di separazione violenta o al limite di inclusione violenta, cioè di assimilazione, di sottomissione o qualcosa del genere." (127)
E proprio in quest'ultima considerazione sta la scelta di campo specifica di Langer, quanto mai convinto che:

Attrezzarsi ad un futuro multi-etnico, multi-culturale e pluri-lingue è dunque una necessità, anche se non piacesse. Tanto vale che gli europei se ne convincano e cerchino tempestivamente i modi per sviluppare una cultura della convivenza.
Occorre proprio manifestare e praticare la volontà di avere a che fare con i "diversi", di conoscerli, di intersecare i nostri modi di vivere e di pensare. Solo la positiva costruzione di una cultura della convivenza (e quindi della reciproca conoscenza e stima, senza per questo annullare culture differenti o altre diversità) può offrire un'alternativa alla crescita del razzismo. (128)
pro dialog