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5.4.2. Intervista ad Arnold Tribus

5.4.2. Intervista ad Arnold Tribus (ex allievo, collega di partito, ora direttore del quotidiano <<Tageszeitung>> - BZ), rilasciata in data 08/01/1998.

D: Cosa pensa del titolo di questa tesi?

R: Lo trovo valido perché Langer, prima di essere un politico, è stato un insegnante. Siccome lui non era "un politico della giornata" ma viveva nel tentativi - poi non sempre riuscito - di trasmettere con la sua politica i grandi valori, mi pare legittimo fare una ricerca anche sul pensiero pedagogico langeriano.

D: Quale aspetti del suo insegnamento ritiene ancora validi, e quali superati (non più adeguati)?

R: Lui ha introdotto a Bolzano - per i tempi de allora - un nuovo stile di insegnamento. Nuovo in che cosa? Non certo per il metodo, che era abbastanza antiquato, "predicatorio": parlava sempre, perché aveva sempre tanto da dire; poi c'erano le tanta domande, alle quali lui rispondeva come "maestro del pensiero". In tutta la sua azione ideologica era molto influenzato - anzi dire ad un certo punto "plagiato" (senza usare il termine negativo) - da don Milani. Aveva questa concezione altamente politica della scuola, che riteneva fosse il primo "luogo politico" per i ragazzi. Era inoltre convintissimo che l'educazione, il sapere appunto fosse "potere", per cui la trasmissione del "sapere" poteva essere potere e poteva in qualche modo emancipare le classi meno abbienti: perché va sempre ricordato che Langer ha quel tempo era fortemente marxista nel suo pensiero.
Questa parte del suo marxismo era poi abbinata al riformismo cattolico che bene ha rappresentato don Milani.
Considerava la classe all'interno della scuola un luogo di solidarietà, un nucleo di uguaglianza: cercava di eliminare le diseguaglianze sociali, facendo anche un po' che tutti erano uguali, che tutti erano potenzialmente capaci di arrivare ad una certa meta. In questo contesto aveva fatto molto scalpore per esempio l'introduzione - non da tutti voluta - del voto unico (nella nostra classe il "sette" a tutti).
Questa - oggi si direbbe - illusione del numero: siamo tutti uguali, siamo tutti "sette". La sua era un'illusione pedagogica, in quanto una certa meritocrazia faceva parte del nostro vivere e convivere. Però voleva essere anche molto severo. Parlava sempre ed in continuazione, e si aspettava molta attenzione, che lo si seguisse, che lo si ascoltasse e che si prendessero appunti. Faceva finta di stare all'Università: andava su e giù per le classi e faceva le sue lezioni. (C'erano quelli che scrivevano tutto). Non è che ci fosse molto coinvolgimento, però aveva una grande capacità: oltre a svolgere il programma solito, faceva leggere un autore moderno (e lì erano momenti di discussione, di dibattito). Per esempio, avevamo letto un libretto di Marcuse, dove in qualche modo cercava (in questo era bravo) di trovare un aggancio della filosofia dei tempi passati al pensiero e alla ricerca filosofica dell'attualità.
In una classe dove insegnava "tedesco" tratta autori come Bertold Brecht e Peter Weiss (allora leggere questi autori era considerata una cosa un po' sovversiva). Per questo il suo insegnamento è stato sempre visto come "sovversione". La validità del suo insegnamento rimane questa forte convinzione dell'importanza della scuola per la società e per la formazione dei ragazzi, cioè la scuola era per lui un luogo deputato all'emancipazione critica, un luogo di vita.
Sempre sulla scia di don Milani aveva introdotto dei doposcuola: che aveva difficoltà in qualche materia poteva andare a scuole a fare i compiti. La scuola era (come nel vecchi termina greco "paideia"): un luogo dove si andava a dibattere, discutere, soprattutto luogo, oltre che di cultura, di sapere e anche di socializzazione, un luogo vivo, dove si andava senza paura, dove si poteva andare - secondo me - con gioia, con piacere.

D: E' noto che Langer ha introdotto il "germe" della politica nella scuola altoatesina di lingua tedesca.

R: Questo, naturalmente, è verissimo. La politica è stata usata, in termini abbastanza villani dal potere per espellerlo. E' fuori dubbio che lui considerava la sua attività di docente un'attività altamente politica, una scelta di vita, anche perché lui poteva fare l'avvocato.
E' chiaro che il taglio che lui dava era politico, per cui è chiaro che il germe l'ha portato. Lui restava a scuola per creare "coscienza politica". E' chiaro, poi, che molta gente oltre alla sua attività scolastica si univa a lui fuori scuola per un'attività più prettamente politica allora nascente (movimento studentesco di Bolzano, del quale anche lui faceva parte, e con lui anche tanti altri ragazzi, anche del nostro liceo).
E lì poi, quando nasce un piccolo movimento studentesco, quando si danno i primi volantini ecc., allora, nasce lo "spauracchi Langer", che insomma travia questi bravi ragazzi del liceo (tutti figli di buona famiglia), e viene un po' visto il Langer rivoluzionario, sobillatore ecc.".

D: Cosa ne pensava allora?

R: Noi eravamo abbastanza convinti di quello che facevamo per cui adesso è difficile dire se era giusto o no giusto.
Forse oggi siamo all'opposto contrario, forse oggi non si fa proprio più niente di politico o impegnativo, c'è più qualunquismo. Non vedo oggi grandi fermenti nelle scuole. Allora si era più abituati a fare parte di un movimento grande, nazionale, anche internazionale degli studenti che erano impegnati nella costruzione di una società solidale.

D: Cosa stima in Langer, e quale qualità Le piacerebbe avere?

R: Questa è una domanda difficile.
Stimo in lui questa sua attività quasi missionaria, questa forte fede in una causa (giusta o non giusta, è lo stesso), questo impegno totale e questa capacità di trasformare poi in azione ciò che era nel pensiero. Una persona di rara capacità operativa: aveva sempre questo aspetto pratico "dal dire al fare". E questa è stata la sua grande capacità, e grazie a ciò è anche riuscito a raccogliere intorno a se i "discepoli".
Oltre a ciò lui ha avuto la capacità - abbastanza rara - di cercare sempre l'alternativa, di non cadere nel banale, di non essere ripetitivo, di vedere una grande meta e una costruzione che non poteva essere uguale, se no diventava stagnante e si bruciava; per cui questa continua ricerca di andare avanti, questo cammino interminabile, e poi questa capacità di uscire dal piccolo guscio, di uscire dal personale, dal provinciale, questa ambizione di avere il mondo.
Questa penso che siano state le sue grosse capacità, che io stimo molto in lui.
Non vorrei essere così affannoso, così totalizzante (sempre angosciato, sempre in moto, sempre ...). Io sono come tipo più godereccio, amo più la vita e non sento così forte un impegno morale come lui sentiva.
Di lui vorrei soprattutto la sua grande cultura (leggeva tantissimo, era coltissimo) e soprattutto questa sua enorme e unica capacità linguistica. Non era contrariamente a quanto si pensa un grande oratore, ma aveva un lessico molto ricco e colto. Riusciva a parlare anche in latino suscitando in noi una grande ammirazione: ci raccontava che a Firenze faceva la guida ai padri del Concilio parlando in latino.
Era, inoltre, un uomo spiritosissimo (con battute a volte feroci), e sapeva essere anche molto divertente.
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