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Eco debito: bisogna imparare a far i conti con l'oste

1.2.1989, Da "Messaggero Cappuccino", febbraio 1989
"Per la prima volta nella storia del pianeta non consumiamo solo gli "interessi", ma intacchiamo il capitale della natura": in un mondo in cui tutto e diventato merce e viene misurato attraverso i parametri del denaro, si potrebbe descrivere cosi la situazione attuale del nostro rapporto di biosfera.

Suona un po' come una cruda equazione della finanza, ma forse serve a capire meglio le cose. Da sempre, infatti, si era saputo che la natura sovrabbonda nei confronti di tutti i viventi, e che i suoi "investimenti" sono in larga eccedenza rispetto ai bisogni; tanto che anche la maggior parte delle catastrofi riuscivano finora ad essere compensate ed assorbite, o almeno rimarginate in modo accettabile. Da qualche tempo, probabilmente da poco più di vent'anni, non e più cosi, ed il nostro pianeta non assomiglia più ad un ragazzo che, anche quando si ferisce, sa bene che guarirà poi in poco tempo, ma piuttosto ad un malato grave che dopo i primi infarti deve temere che ogni nuovo trauma potrebbe essere letale. La condizione dell'inquinamento (non solo radioattivo), la deforestazione, l'effetto serra, la cementificazione della crosta terrestre e l'accelerata perdita di "humus", l'ipoteca chimica sul suolo, nell'acqua e nell'aria, e tante altre ferite, sono ad un punto tale e si sommano e potenziano fra loro da non autorizzare più alcuna leggerezza nei confronti di "madre terra". Una civiltà quella industriale, mossa dalla ricerca del profitto e dell'espansione che non si e accontentata dei frutti della terra, ha cominciato in modo sempre più vorticoso a intaccare ed a tagliare gli alberi (e non solo in senso traslato) ed ora sta di fronte ad una vera e propria mutazione del corso della storia: tanti processi ciclici (come le stagioni o il ciclo dell'acqua o delle coltivazioni agricole...) sono stati forzati e violentati, fino a diventare uni-direzionali ed irreversibili: una volta passati da decine di migliaia di specie di sementi a poche centinaia "industrialmente convenienti", non c'è più un ritorno dalla semplificazione alla molteplicità, ed una volta immesse migliaia e migliaia di pericolose sostanze tossiche e radioattive nella biosfera, non e più possibile disfarsene. Cosi l'impatto ambientale parola oggi in voga della nostra civiltà e diventato enorme, ed il nostro scambio con la Terra si e fatto predatorio. Viviamo nei confronti del pianeta in uno stato di permanente "insolvenza fraudolenta". In altre parole, non paghiamo i nostri conti con la natura; anzi, li facciamo truffaldinamente intestare ad altri per sottrarci al loro pagamento. Cosi il costo del nostro impatto sul pianeta viene scaricato sui più poveri (ai quali tocca accontentarsi dei settori più degradanti e più spremuti dell'ambiente e delle risorse che sarebbero patrimonio di tutti), sui più lontani (ai popoli nel Sud del mondo mandiamo i nostri rifiuti, le nostre fabbriche nocive, i nostri pesticidi, le nostre armi), su chi verrà dopo di noi (alle future generazioni lasciamo un mondo inquinato, carico di scorie e povero di risorse rigenerabili). E mentre, nel sistema finanziario, uno può magari sperare soprattutto se e un grosso debitore, con un forte potere contrattuale di non dover pagare per intero il suo debito e comunque di rimandarlo nel tempo, il nostro "eco-debito" verso la biosfera e ormai giunto ad un punto tale da non con- sentire ulteriori dilazioni nella ricerca di un sistematico ripianamento per riequilibrare i nostri conti impazziti. Anche perché gli effetti cominciano a farsi sentire direttamente su di noi, come dei boomerang, ed i rinvii si rivelano sempre più illusori. Non sono solo le navi dei veleni a tornare indietro: basterebbe la situazione dell'acqua potabile o il tasso di aumento dei tumori e dello stress a convincercene immediatamente.

Ecco perché oggi bisogna porsi subito l'obiettivo comune a tutta l'umanita, ma prioritario per chi ha maggiori responsabilità nell'aver fatto sballare cosi a fondo i nostri conti con la natura di "ripianare il nostro eco-debito". Questa è la prima e più vera "lotta all'inflazione", che deve essere intrapresa: non possiamo continuare a prelevare ed a spendere oggi, dalla biosfera, ciò che solo in tempi lunghissimi e forse mai più potremo rigenerare e ricostruire e comunque solo se non saranno irreparabili i danni oggi inferti. Il vero "risanamento del bilancio pubblico" che oggi e urgentemente richiesto, e quello dell'"eco-bilancio", che tuttavia i nostri fasulli bilanci pubblici e privati accuratamente nascondono. E paradossale e suicida che le nostre collettività sappiano gestire in qualche modo le loro "entrate" ed "uscite" finanziarie e non prendano in nessuna considerazione il disastroso bilancio delle (molte) uscite e delle (poche) entrate vere: per ora da nessuna parte e stata accolta una proposta dei verdi, cioè di redigere accanto ai bilanci finanziari anche degli "eco-bilanci" (preventivi e consuntivi), per valutare di anno in anno lo stato della natura, i peggioramenti verificatisi, gli obiettivi di risanamento da perseguire, i successi eventualmente conseguiti. E chiaro che in un siffatto bilancio il ritorno di un terreno alla coltivazione naturale (cioè: la sua uscita dalla tossicodipendenza) o il ripristino di coltivazioni miste ed integrate al posto delle monocolture verrebbe segnato dalla parte delle "entrate", mentre gli oltre 2 milioni di automobili private acquistate in Italia nel giro di un anno risulterebbero pesantemente "in conto perdite". E forse non sarebbe difficile immaginare anche un più equo e più efficace sistema fiscale che come proprio obiettivo perseguisse l'intento di risanare i conti con la biosfera piuttosto che quello di far girare meglio il carosello economico-finanziario del sistema. Per un'altra di quelle paradossali perversioni delle quali abbonda il modo prevalente di pensare (e lo stesso linguaggio), i maggiori debitori della natura figurano invece come "creditori" di paesi e popoli nei cosiddetti paesi "sottosviluppati" che oggi dovrebbero svendere letteralmente il loro patrimonio naturale ed umano per correre dietro al pagamento degli interessi di quel "debito". Ma si da il caso che esigere il pagamento di quel "debito" (finanziario) significhi aggravare il deficit verso la natura: non conviene neanche alle popolazioni dei paesi "creditori" (USA, Giappone, Italia, Germania, ecc.) se i "debitori" devono tagliare le loro foreste o distruggere la varietà dei loro territori per poter immettere ulteriori soldi nella spirale distruttiva del vortice dell'industria, dei profitti, della crescita.

Basta. Bisogna smetterla di fare nuovi e sempre più impagabili debiti con la natura, e risanare il dissestato eco-bilancio. Il vero debito non e quello economico-finanziario dei poveri o del Terzo mondo (anzi, cancellarlo in cambio di sagge decisioni di salvaguardia della natura sarebbe vantaggioso per tutti.), ma quello ecologico. E non si può ulteriormente rimandarne il pagamento o continuare a far intestare la fattura ad altri.

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