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Che fine fanno le norme comunitarie sull'ambiente?

1.9.1990, In: Nuova Ecologia, settembre 1990
Se il Parlamento europeo già non è tenuto in grandissimo conto nell'elaborazione delle normative comunitarie, visto che tuttora non possiede un vero e proprio potere legislativo vincolante, almeno non deve chiudere gli occhi di fronte alle inadempienze degli Stati membri che - soprattutto in materia ambientale - spesso fanno gli "europei" solo a parole. E' così che - a partire da un'iniziativa dei deputati verdi della Commissione ambiente, con l'italiano Gianfranco Amendola ed il belga Paul Lannoye in testa - in pochi giorni si sono coagulate le firme di 142 deputati del P.E. appartenenti a 9 gruppi politici e tutti i 12 Stati membri, per chiedere, a norma di regolamento, l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta sulla mancata applicazione del diritto comunitario in materia ambientale. "Troppe direttive sull'ambiente sono ignorate, mal applicate o malamente trasposte nella legislazione nazionale degli Stati membri della Comunità e sono in aumento le sentenze della Corte europea di Giustizia che testimoniano queste resistenze. Il Consiglio europeo di Dublino, nel giugno 1990, ha voluto concludere la presidenza irlandese con un tocco di verde, cioè con una dichiarazione sugli `imperativi dell'ambiente': ma in concreto siamo ancora fortemente indietro nella definizione di un'agenzia europea per l'ambiente con veri poteri, anche ispettivi, ed i riguardi politici per questo o quello tra i 12 governi portano a grandi ritardi in materia ambientale", hanno spiegato i verdi europei nella presentazione alla stampa della loro iniziativa. Dei 78 ricorsi attualmente pendenti davanti alla Corte di Lussemburgo, ben 31 riguardano argomenti ambientali, e le preoccupazioni per la qualità dell'aria, dell'acqua e del suolo, i problemi insoluti dei rifiuti, le normative sul rischio industriale per l'ambiente e sulla tutela dei consumatori hanno formato ripetutamente oggetto di risoluzioni del Parlamento europeo, che ormai è noto per come compensi con una certa audacia in tema di diritti umani e di ambiente i suoi scarsi poteri deliberativi.

L'iniziativa dei verdi di attivare la norma regolamentare per ottenere una commissione d'inchiesta (occorre come minimo l'assenso di un quarto dei membri del Parlamento) può contare su un importante precedente: già nel 1988 il P.E. approvò la "risoluzione Alber" (dal nome del relatore, un democristiano tedesco) che chiese il controllo parlamentare permanente sull'attuazione del diritto comunitario ambientale. Quindi non è stato troppo difficile trovare nel giro di pochi giorni in quasi tutti i gruppi politici - dalle sinistre ai democristiani, dai liberali ai gollisti, dai socialisti ai non-iscritti - numerosi firmatari. Curioso, tuttavia, l'atteggiamento del presidente del più forte gruppo parlamentare, il socialista francese Jean Pierre Cot, che con una circolare ai suoi deputati aveva esplicitamente chiesto di non cadere nella trappola verde della "risoluzione Amendola". Raccomandazione per fortuna non tenuta in grandissima considerazione: dei 142 firmatari ben 35 - cioè il contingente più forte, prima dei 29 verdi e dei 23 democristiani - sono socialisti!
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