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I serpenti, le colombe e fantozzi

1.10.1991
"I Verdi sono diventati "di serra". Bisogna verificare, seriamente, se la gente ritiene di avere ancora bisogno di noi. E, nel caso, uscire in campo aperto". Sintesi dell'intervento di Alexander Langer al seminario indetto dal consiglio federale del Verdi a Roma

di Alexander Langer

Questo esame autocritico delle prospettive dei Verdi in Italia avviene in un momento in cui in tutta Europa i Verdi non ridono propriamente. Molti aspetti di crisi sono comuni, alcuni sono specifici. Vale la pena di tener presente l'orizzonte almeno europeo, quando si riflette su condizione e destini dei Verdi.
I quali in Italia, oggi, spiace dirlo, appaiono fortemente "di serra", poco capaci di agire "sul campo", dove c'è ovviamente anche la zizzania, la tempesta, la siccità e così via.
Ma credo che dobbiamo decidere se vogliamo ulteriormente perfezionare le nostre attenzioni o le nostre regole per la serra, o uscire in campo aperto e, in tal caso, prendere le decisioni conseguenti. Quale sia la scelta che io caldeggio, non occorre neanche che spieghi, avendo in precedenti occasioni tentato di spingere sempre nella direzione di "sciogliere i Verdi" nella società. Essendo rimasto sconfitto nel 1989, quando invece di costruire un'unica lista verde europea innovativa e ben mescolata (la "realisticamente potenziale" quarta forza politica), si è scelta la presentazione elettorale divisa e concorrente di due aggregazioni Verdi, entrambe fortemente dominate dalle rispettive logiche interne (che poi si sono riprodotte nella successiva unificazione), mi rendo conto di avere poca forza da mettere sul piatto di questa discussione.

1. Cosa hanno ottenuto i Verdi da quando sono in politica?
Essenzialmente un inizio di consapevolezza ecologica, non una reale inversione di tendenza. Si parla più di ecologia, si sa che questo terreno è decisivo, ma si fa assai poco. Politicamente tutti sono diventati un po' Verdi. Non è detto che i Verdi come famiglia politica si stabilizzeranno davvero in misura significativa, come invece sembrava certo alcuni anni fa.
La questione ecologica è stata avvertita come nuova "questione del secolo", è entrata non solo nella coscienza di molta gente, ma anche in politica, nell'economia... Si è anche capita quale dovrebbe essere la risposta: l'insostenibilità della crescita espansionistica e distruttiva imporrebbe di finirla con la "civiltà della gara" verso modelli di equilibrio, conversione ecologica, autolimitazione, "atterraggio morbido" del nostro volo impazzito.
Ma si è prodotta, per ora, solo una certa consapevolezza, non ancora l'inversione di tendenza necessaria; poche ancora le azioni efficaci.
E' venuto il momento di misurare il nostro impatto seriamente sul "meno, ma meglio". non solo sul consenso generico, ma sulle scelte di autoriduzione dell'impatto ambientale negativo (in tutti gli aspetti, compresi i bilanci degli Enti Pubblici, che vanno ridotti, non aumentati).
Forse i Verdi hanno prodotto più cultura che politica, e forse vale la pena di prenderne atto e trarne le conseguenze, per non ghettizzare l'idea verde nel piccolo recinto dei "Verdi in politica".

2. Alcune nuove sfide
Il lavoro dei Verdi è diventato ancora più difficile, il nuovo mondo del post-comunismo non ha visto finora la "via trionfale" delle nuove idee verdi (come ci si sarebbe potuti forse aspettare, essendo stati i Verdi relativamente estranei alla precedente contrapposizione tra sistemi ed affrontando essi le sfide principali del nostro tempo). C'è inoltre il rischio che il "nuovo ordine mondiale" assuma, tra gli altri, connotati di dirigismo ambientale autoritario.
Con la "fine del comunismo" è diventata possibile non solo l'unità europea, aspetto importante e positivo, ma anche il trionfo universale del mercato, con le sue logiche di profitto. Il tentativo storico di domare il mercato e la civiltà della gara attraverso il comando centralizzato della politica è fallito, ma non viene meno il bisogno di tentare di domare il demone della mercificazione. Di fronte alla globalizzazione sempre più estesa ed intensa dei meccanismi del mercato mondiale, per i Verdi si tratterà di esplorare con pragmatismo e senso storico la strada di come la "società civile" e strutture comunitarie possano mettersi a servizio l'economia, senza subirne viceversa la dittatura.
Il "nuovo ordine mondiale" preconizzato oggi e soprattutto dagli US A rappresenta un tentativo di domare il demone delle guerra e della violenza, ma in realtà molti squilibri che causano violenza non vengono eliminati (Nord/Sud, conflitti etnici, divari economico-sociali, demografici, ambientali...). L'istituzionalizzazione coercitiva di questi squilibri non potrebbe davvero ridurre la conflittualità e portare giustizia. Ma si affaccia anche un nuovo aspetto: la stessa emergenza ambientale planetaria produce una spinta ad un "nuovo ordine ambientale g1obale". Governi ed autorità intemazionali vedono nel governo mondiale delle risorse un aspetto importante del nuovo ordine mondiale.
Nel 1992 si svolgerà a Rio de Janeiro una conferenza mondiale dell'ONU su "Ambiente e sviluppo". Sorgono nuove discipline e nuovi esperti che prescrivono cosa e quanto il pianeta può sopportare (inquinamento, popolazione, rifiuti, riscaldamento dell'atmosfera, prelievi, trasporti...). Una pianificazione ecologica globale, fosse anche autoritaria, a qualcuno appare comunque preferibile all'attuale degrado e disordine ambientale. Stiamo andando verso un nuovo dirigismo ecologico? Esistono altre strade per promuovere i necessari cambiamenti locali e globali?
Per i Verdi, che non sono nati per affidare a nuovi ragionieri dell'universo la giudiziosa amministrazione della "dispensa ambientale", occorre affrontare da subito questa prospettiva in maniera lucida e critica.

3. Sembrano aumentare le buone ragioni perché i Verdi non si buttino in politica
Il rischio di farsene inquinare più che riuscire a disinquinarla, e di contare al ribasso il consenso alla conversione ecologica, nonché di affidare ai tempi brevi di una politica effimera compiti di risanamento ecologico (quando la macchina del consenso politico è tutta oliata sui benefici ad incasso immediato), non sono mai così evidenti come ora. Non si può andare avanti comunque, a testa bassa. Almeno va posta seriamente la domanda se occorre davvero continuare ad agire da "Verdi organizzati in politica" Non occorre fare molti esempi per dimostrare che tutti i possibili morbi della politica ci hanno già contagiato. Ci si occupa della corte più che del reame. Si aggiunga la forte dispersione di energie che l'azione politica comporta (ovviamente può essere anche un formidabile moltiplicatore, ma occorre verificare scrupolosamente "profitti e perdite"), e la difficoltà - per i Verdi, ovunque, non solo in Italia di poter contare su una base sociale solida: per sua natura il consenso ecologista, che esalta le ragioni del lungo periodo contro quelle della dissipazione immediata, e che accetta l'autolimitazione, andando contro la corrente fondamentale della civiltà in cui viviamo, non può contare su specifiche classi o ceti sociali, gruppi etnici, ecc.
"Fare politica" non è certo l'unico modo per lavorare efficacemente per la conversione ecologica.

4. Se si decidesse di insistere in politica, bisognerebbe avere delle ragioni molto buone e basarsi su una forte richiesta della società in tal senso

Può darsi che un nuovo sistema elettorale (maggioritario, ad esempio) ci esima presto dal dubbio se i Verdi debbano presentarsi come tali alle elezioni. E può darsi che altre risposte schiaccianti ad avventure elettorali intraprese senza criterio, ci liberino dal dilemma. Ma se non vogliamo sottoporre il nostro dubbio alla sola prova elettorale, conviene che ogni nostra ulteriore partecipazione elettorale avvenga in condizioni molto severe e lucide.
Ci dobbiamo andare, se ci andiamo, non drogati dalla politica, dall'elettoralismo, dall'aspettativa di piccole carriere, ma solo se saremo capaci di ascoltare la società civile (che dovrà dirci se ritiene di aver bisogno di noi in politica) e se ci sapremo davvero rigenerare: niente simboli scontati ed automaticamente presentati in "edizione nazionale unica" dovunque e comunque, niente rendite di posizioni, ma seria verifica preventiva. Perché non applicare a noi le leggi che Io Stato esige per le candidature nuove: un preventivo esame di attendibilità (firme di presentazione, ecc.).
Se intendiamo e pratichiamo la politica davvero come servizio, non dovrebbe essere impossibile chiedere a coloro che si reputano i più idonei di svolgerlo, in condizioni decorose ma senza privilegi, e di bloccare penose autocandidature e relative cordate e patti di ferro.

5. Se si fa politica, va fatta seriamente, non alla Fantozzi
A suo tempo ci dicevamo, agli albori dei consigli regionali e comunali, che dovevamo saper essere serpenti e colombe.
Siamo stati poco bravi in entrambe queste discipline. Inefficienti e fantozziani sotto il profilo dei serpenti, e falsamente "altrove" o disincantati sotto il profilo delle colombe. Occorrono invece, se si fa politica, condizioni "competitive" visto
che si pratica un terreno molto accidentato.
In particolare - e proprio se vogliamo insistere sulla giusta scelta antipartitica ed antipartitocratica (che spesso abbiamo invocato solo a parole, ed infatti non siamo stati creduti) - abbiamo oggi bisogno di alcune forti correzioni:
- ci occorre autorevolezza (serenamente riconosciuta e solidalmente sostenuta, invece che corrosa e "sfiduciata" ad ogni occasione) politica, a partire dalle persone cui affidiamo i nostri messaggi;
- abbiamo bisogno di un più solido insediamento sociale, alleanze più solide, "opere", iniziative, occasioni di partecipazione (penso al volontariato, alla cooperazione Nord/Sud, alle reti di vita alternativa, traffico alternativo, agricoltura, educazione, agli eco-istituti, l'eco-banca, l'associazionismo...): oggi c'è una penosa autosufficienza dei "Verdi politici", con organismi più o meno inventati, e quindi anemici, mentre siamo assai poco interconnessi col ricco mondo delle iniziative e delle opere, che producono stabilità, conoscenze e competenze reali, solidarietà, ecc. (non bastano "campagne" e "forum" che sanno di artificioso); sui temi della conversione del lavoro e delle produzioni, dei consumi, della povertà, dell'emarginazione, ed abbiamo bisogno di approfondire seriamente - con interlocutori reali, non con prediche unilaterali - questa tematica;
- ci occorre un solido investimento di energie e sforzi per l'elaborazione di "cultura verde" (penso ad un settimanale, e più in generale alla necessità di non essere identificati solo per singole iniziative o simpatiche idee-gadgets promozionali).

6. Cultura di governo non equivale automaticamente ad assessorati
Visto che tra noi si riflette, giustamente, parecchio sulla questione dell'opposizione e del governo, vorrei solo annotare una cosa: "cultura di governo" (che io auguro e reputo necessaria, se lavoriamo in politica), significa che dobbiamo uscire dalle sole declamazioni ed affrontare con modestia e realismo le molteplici questioni e condizionamenti della realtà, rifuggendo dalle facili divisioni in buoni e cattivi, dalle logiche di schieramento, dalle pure proteste. Ma "cultura di governo" non significa né che dobbiamo comunque assumerci noi gli oneri di tentare l'impresa di governare (in compagnie, tra l'altro, spesso poco raccomandabili), ne arrendersi alla "realpolitik" di ciò che passa il convento. Non penso a soluzioni buone per tutti (tutti in giunta, se possibile, o tutti fuori), ma vorrei che usassimo un metro molto esigente, riferito al servizio che possiamo effettivamente e riconoscibilmente rendere all'obbiettivo della conversione ecologica, per decidere se stare nelle maggioranze, al governo o fuori.

Alexander Langer

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