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Storia del movimento verde in Italia: i verdi come le vergini stolte?

1.5.1993, Saggio per "Peuples méditerranées", Paris - Traduzione
Con le elezioni politiche del 5 aprile 1992 il panorama politico in Italia cambia profondamente ed una vera e propria crisi di regime comincia a precipitare. Si può dire che da quella data le conseguenze della fine del muro est/ovest sprigionano in pieno la loro influenza anche in Italia, e che il ciclo politico del secondo dopo-guerra - dominato dalla contrapposizione tra blocco cattolico-moderato (DC ed alleati) e blocco comunista (PCI, fino agli anni '60 con i socialisti) - si conclude.

1. I Verdi come le vergini stolte?

Una accelerazione senza precedenti contrassegna i successivi eventi politico-istituzionali ed economico-finanziari, e tutto lascia pensare che questa volta non potrà prevalere la vecchia saggezza ribadita da Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo "Il Gattopardo", dove bisognava "cambiare tutto perchè non cambiasse niente". Naturalmente non è detto che i cambiamenti avvengano davvero in meglio, ma assai difficilmente potrà essere restaurato l'immobilismo politico di prima. Immobilismo, sia detto per inciso, che aveva resistito proprio grazie alla divisione dell'Europa e del mondo in blocchi contrapposti, non lasciandosi intaccare più di tanto dall'estrema vivacità e combattività sociale che l'Italia aveva conosciuto forse più di ogni altro paese europeo.
Chi voglia analizzare il ruolo politico, sociale e culturale del movimento verde in Italia, resterà particolarmente sorpreso dal fatto, che in questa crisi il ruolo dei Verdi appaia assai marginale. Nel momento in cui oltre la metà degli italiani cambia o è disposta a cambiare il proprio voto, ed in cui si invocano nuovi comportamenti, nuovi costumi e nuovi valori, l'influenza dei Verdi risulta poco decisiva. Vediamo più in dettaglio gli aspetti della crisi ed il ruolo che vi gioca (o non vi gioca) il movimento verde.

5 aprile 1992 - fine dell'immobilismo
Con il voto del 5 aprile 1992 per il rinnovo anticipato del Parlamento perdono sensibilmente i due partiti principali, contrapposti ed avvinghiati l'uno all'altro dal 1945 (democristiani e comunisti, questi ultimi ribattezzati "partito democratico di sinistra"), e non viene premiato in nessun modo un ipotetico "terzo polo" socialista o laico (è fallito così il sogno del leader socialista Bettino Craxi di "fare come Mitterrand", sorpassando i comunisti ed obbligandoli alla subalternità). Si verifica invece una forte crescita della "Lega Nord", movimento populista e tendenzialmente secessionista del ricco Nord che individua in una sorta di levantinismo di Stato - attribuito all'influenza meridionale - l'origine di quasi tutti i mali italiani. La novità elettorale nell'ambito dei piccoli partiti e movimenti di riforma non è rappresentata nè dai Verdi (che aumentano di poco i loro consensi, restando comunque sotto il 3%), nè dai radicali di Marco Pannella (1,2%), ma semmai dalla "Rete" di Leoluca Orlando (un "movimento per la democrazia" nato in Sicilia sull'onda della riscossa contro la mafia: 2%) e dalla "Rifondazione comunista" (6%) di coloro che non accettano la socialdemocratizzazione del vecchio PCI, trasformato in PDS.


Cura di cavallo

Dopo il voto di aprile si susseguono rapidamente eventi che generano sussulti e tensioni, acuendo e rendendo sempre meno controllabile la decomposizione del sistema politico. Il Presidente della repubblica Francesco Cossiga, che aveva tentato di cavalcare contemporaneamente la crisi dei vecchi partiti e l'incubazione di nuove formazioni politiche, non di rado con venature autoritarie, si dimette teatralmente, ed al suo posto il Parlamento elegge - dopo convulsi veti incrociati tra partiti e successivi fallimenti di tutti i loro candidati ufficiali - il vecchio "outsider" democristiano Oscar Luigi Scalfaro, sgradito alle nomenklature del suo partito, dei socialisti e degli ex-comunisti ed assai lontano dalla Lega e dal MSI (neofascista), ma proposto con successo da Pannella e dai Verdi come una specie di "Pertini cattolico" capace di sottrarsi - come nel 1978 il vecchio presidente socialista eletto dopo l'assassinio di Moro - al ricatto della partitocrazia e della corruzione. Il nuovo governo del socialista Giuliano Amato, che si forma finalmente due mesi dopo le elezioni, una coalizione tra democristiani (DC), socialisti (PSI), liberali (PLI) e socialdemocratici (PSDI), non riesce ancora ad esprimere una nuova maggioranza politica (che richiederebbe un difficile concorso tra almeno parte della DC, socialisti, ex-comunisti, verdi e liberaldemocratici), ma ha visto il tramonto di tutta la generazione dei tradizionali e potentissimi notabili politici, da Andreotti a Craxi, da Forlani a De Mita, da De Michelis a Carli. La magistratura apre, a partire da Milano, una specie di safari contro politici corrotti che avevano incassato sistematicamente denaro e sostegni dagli imprenditori in cambio di assegnazioni di lavori pubblici, favori politici, provvedimenti amministrativi. Soprattutto numerosi socialisti e democristiani (ma anche comunisti, repubblicani, ecc.) finiscono in manette, ed il residuo credito della classe politico si assottiglia rapidamente fino quasi a zero.
Il nuovo governo di Giuliano Amato: forte perché debole
Il nuovo governo, con una maggioranza assai risicata (democristiani, socialisti, socialdemocratici, liberali, con l'appoggio della SVP sudtirolese), ricava la sua forza essenzialmente dalla sua debolezza e dall'assenza di alternative politiche. Così in pochi mesi riesce a imporre - anche contro proteste sociali e politiche molto robuste - provvedimenti aspri di contenimento della spesa pubblica: taglio della scala mobile degli operai ed impiegati, prelievo sui risparmi bancari, nuove imposte (casa, patente di guida, generi di lusso, operazioni bancarie, ecc.), pesanti restrizioni nel campo delle pensioni e della sanità pubblica, blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, ecc. Tuttavia la crisi della lira, precipitata a metà settembre con una svalutazione selvaggia di oltre il 20% e la fuoruscita della moneta italiana dal Sistema Monetario Europeo, fa capire che la fiducia del mondo verso l'Italia e la sua solvibilità era ormai assai incrinata. E non si vede, nonostante molte invocazioni, la possibilità che un'ampia coalizione di unità nazionale renda più accettabile o somministri con maggiore equità agli italiani l'amara medicina, visto che contemporaneamente alla credibilità del sistema economico si è esaurita quella del sistema politico italiano.
La bancarotta dei partiti - i movimenti di riforma
I quasi quotidiani titoli dei giornali che annunciano l'apertura di inchieste contro politici corrotti o sospettati di vari abusi e la manifesta crisi economico-finanziaria danno il colpo di grazia all'assetto dei partiti. Il risultato elettorale di una ricca provincia lombarda (Mantova), che alla fine di settembre fa diventare la Lega Nord il primo partito (40%), con perdite catastrofiche per democristiani e socialisti (più contenute per il PDS), suona il definitivo campanello d'allarme. Si dimettono i capi del partito democristiano. Si invocano nuove forme della politica. Gli appelli alla rifondazione della politica si moltiplicano, ed una larga parte dell'opinione pubblica ritiene di individuare nel cambiamento del sistema elettorale la leva idonea per costringere i partiti a riformarsi o a sparire. Già un anno prima un arco variegato di forze democratiche moderate (liberal-borghesi, con qualche apporto della sinistra) aveva raccolto le firme per promuovere dei referendum abrogativi del vigente sistema elettorale proporzionale in favore di un cambiamento maggioritario, forse uninominale. Ora si formano diverse ed ancora instabili coalizioni "per la riforma istituzionale", che - pur nella diversità delle forze che raggruppano - hanno alcuni tratti fondamentali in comune: si tratta di alleanze "trasversali" che non rispettano i confini dei partiti e le tradizionali distinzioni tra destra e sinistra, cattolici e laici, partiti e movimenti; chiedono in genere un rafforzamento dell'esecutivo che gli consenta di governare realmente (lo Stato, le città, le Regioni..) ed, a compensazione di tali più incisivi poteri, la possibilità altrettanto reale di un ricambio tra governo ed opposizione (come in Italia non c'è mai stato dalla caduta del fascismo in poi); auspicano una riforma costituzionale che obblighi i partiti a proporre agli elettori chiare alleanze e chiare alternative, e che superi la frammentazione politica in favore di aggregazioni più ampie - sino, al limite, al bipartitismo. Richieste come quelle dell'elezione diretta del sindaco (e/o del Presidente della repubblica o del primo ministro), della distinzione tra mandato parlamentare ed esecutivo e della semplificazione maggioritaria o uninominale delle leggi elettorali fanno parte degli obiettivi di quasi tutti i 4-5 raggruppamenti - ancor poco delineati - che si muovono in quella direzione. In questo dibattito sembra talvolta che nonostante i duri provvedimenti fiscali del governo, la dimensione sociale (per non parlare di quella ecologica!) dei problemi debba cedere il passo all'urgenza - tutti i giorni proclamata da gran parte della stampa e condivisa da molta gente - della riforma istituzionale, e che dunque i nuovi schieramenti si formino, si qualifichino e si confrontino più sulle questioni elettorali ed istituzionali che non su quelle - per esempio - economiche, ambientali, sociali o di politica estera.
E' suonata la loro ora, ma i Verdi sono spiazzati
Se si considerano queste premesse, non c'è forse neanche da meravigliarsi troppo che i Verdi siano così spiazzati e piuttosto periferici a questo tipo di dibattito politico. Si potrebbe supporre che in superficie l'attualità più bruciante sia quella economico-finanziaria e quella politico-istituzionale, e che di conseguenza le grandi emergenze ambientali debbano cedere il palcoscenico. Se in passato la questione nucleare poteva provocare un referendum popolare nel 1987, come reazione al disastro di Cernobyl, ed il degrado del territorio, l'inquinamento del mare, del suolo e dell'aria faceva "diventare verdi" molti semplici cittadini, nella crisi attuale le questioni dell'ambiente, della pace, dei diritti civili sembrano interessare meno. Dall'ecologia non derivano immediate risposte sui nodi politico-istituzionali. Ma non è solo per questa ragione, nè semplicemente perchè "il primo amore" (o l'infatuazione di moda) per l'ambientalismo è passato, che i Verdi nell'Italia del 1992 sembrano un po' assenti. Anche la loro alta litigiosità interna, il basso profilo di certe loro iniziative, la loro trasformazione in "partitino burocratico" a dispetto delle tante proclamazioni anti-partitiche e l'assenza di una "leadership" riconoscibile dall'esterno e solidalmente sostenuta da loro stessi, e forse un profondo deficit di elaborazione e di proposta, anche agli occhi di osservatori benevoli e simpatizzanti, fanno assomigliare i Verdi alle vergini stolte del Vangelo che hanno consumato l'olio delle loro lampade ben prima dell'arrivo dello sposo, e che quindi si trovano sprovvedute ed un po' inutili quando sarebbe la loro ora.
Ed è così che magari i Verdi hanno scosso l'albero, ma ora che cadono certi frutti, non sanno raccoglierli, ed il federalismo, il regionalismo, la critica anti-partitica ed anti-statalista e l'enfasi per la società civile, la priorità ambientale ed il nesso tra economia ed ecologia, le questioni del disarmo e quelle dell'emarginazione non riescono a comporsi in una forte proposta di riforma ecologista, ma oscillano piuttosto tra invocazioni puramente decorative e richiami demagogici.
Eppure la crisi che l'Italia sta passando offrirebbe, come non mai, un terreno di impegno e di verifica per i Verdi. La corruzione è andata sempre a braccetto con grandi e devastanti opere pubbliche che i Verdi avevano sempre avversato; molti criticano ormai la democrazia delegata e bloccata ed invocano, come i Verdi, elementi di partecipazione e di democrazia più diretta; il "dividendo della pace", dopo la fine dei blocchi, è un obiettivo più possibile, ed all'UNCED di Rio de Janeiro l'ambientalismo è diventato solenne ragion di Stato internazionale...
Nello sforzo di indagare se i Verdi - in Italia ed in tutta Europa - siano ormai avviati alla marginalità politica e se vi siano modi politicamente efficaci di sviluppare una presenza ecologista non solo nella società, ma anche nella politica istituzionale e rappresentativa, forse è utile ripercorrere la parabola che li ha portati, nel corso dell'ultimo decennio, dal movimento nei parlamenti.

2. Sguardo sulla genesi e sullo sviluppo del movimento ecologista in Italia
Come altri paesi mediterranei, l'Italia vede l'insorgere di un proprio movimento ambientalista più tardi di alcuni paesi dell'Europa centro-settentrionale, essenzialmente verso la fine degli anni '70, in contemporanea con il declino della "nuova sinistra" che aveva sino ad allora canalizzato molte energie di rinnovamento sociale e culturale. I Verdi come espressione politica compaiono per la prima volta verso la metà degli anni '80, ed assumono rapidamente una certa rilevanza nella vita pubblica, sino a provocare alcuni grandi confronti popolari attraverso dei referendum, e con un ingresso nei Consigli regionali e comunali ed in Parlamento senza troppe difficoltà. L'originalità della vita politica italiana si riflette anche nella vicenda dei Verdi, che a torto è stata vista talvolta con troppa sufficienza da certi osservatori "ultramontani". Tuttavia anche nei Verdi italiani si ritrovano molti tratti comuni al resto dell'esperienza dell'ambientalismo politico nell'Europa occidentale.

L'Italia non è più una macchia bianca nella geografia verde
All'inizio degli anni '80 il movimento ecologista ed i Verdi come corrente politica sono considerati un fenomeno essenzialmente legato all'Europa centro-settentrionale, forse addirittura come una sorta di invenzione tedesca. Sull'Italia vige piuttosto il luogo comune che i suoi abitanti si distinguono per sprecare senza ritegno il ricco patrimonio naturale (ed artistico), pur di poterlo monetizzare (edilizia abusiva, supersfruttamento turistico, cave e disboscamento senza scrupoli...). Ma già verso la fine dello stesso decennio l'Italia ambientalista può ostentare alcuni importanti risultati: a metà decennio viene istituito un Ministero per l'ambiente, sino ad allora del tutto sconosciuto; un referendum popolare a larghissima maggioranza decide la fine delle centrali nucleari (1987), entra in vigore una sensibile limitazione di velocità sulle strade ed autostrade (1988), una vasta raccolta di firme (1989) mira a provocare dei referendum contro la caccia e contro i pesticidi in agricoltura, il governo italiano nella Banca mondiale e nel Fondo monetario tende a stabilire un nesso tra risanamento del debito e risanamento dell'ambiente nel "terzo mondo" (1989-90). Successi che anche gli avversari riconoscono come effetti di quel movimento verde che, a partire dal 1985, aveva cominciato a diventare visibile anche in alcune Regioni e Comuni, e che dal 1987 è rappresentato per la prima volta in Parlamento: da 13 deputati verdi, in maggioranza donne.
Pochi anni fa si dibatteva ancora accanitamente se si potesse essere "verdi" senza essere prima "rossi": posizione, questa, rivendicata da taluni comunisti e da vari gruppi di sinistra che nell'approccio verde riuscivano a scorgere al massimo una nuova edizione della loro tradizionale teoria della crisi e critica al capitalismo. Ma già pochi anni più tardi non c'è forza politica che non sottolinei la sua sensibilità ambientalista: dai comunisti ai liberali, dai neofascisti ai socialisti, non esclusi - ovviamente - i democristiani. Nelle elezioni europee del 1989 si presentano addirittura due liste verdi, in concorrenza tra loro, e l'istituzione di un Ministero dell'ambiente come prima reazione all'ingresso dei Verdi nei Consigli regionali, nel 1985, mostra il peso politico che si attribuisce alla questione ambientale - ma difficilmente esistono delle città in cui si pratichi la raccolta differenziati dei rifiuti o si blocchi davvero l'ingorgo delle automobili private attraverso una coraggiosa svolta verso il trasporto pubblico.
Il fatto che in Italia il movimento ambientalista acquisti il suo peso proprio nel momento in cui sceglie di entrare nella politica istituzionale, sembra confermare un'esperienza tipicamente italiana: che cioè la politica rimane a lungo il moltiplicatore più efficace di messaggi anche culturali o comunque pubblici. La politica verde ha sicuramente almeno un merito storico incontestabile: l'aver promosso, nel giro di appena un lustro, a metà degli anni '80 (1982-1987), l'emergenza ecologica a grande questione nazionale, e l'aver fatto capire che chiunque deve ormai misurarsi con le risposte da dare alla crisi ambientale. Paradossalmente questa consapevolezza viene veicolata più efficacemente dalla partecipazione dei Verdi alla competizione politica che non dalle diverse catastrofi ambientali che pur non mancavano anche prima che esistessero i Verdi come soggetto politico: basti pensare al gravissimo incidente di Seveso (Lombardia), dove nel 1977 si è avuta una pesante fuoruscita tossica. Sembra confermato che il "sistema Italia" reagisce piuttosto ad una sfida politica (magari anche di pochi punti nelle percentuali elettorali) che non ad una assai più immediata minaccia p.es. ambientale.

Da dove viene il movimento politico dei Verdi?

Non si deve, ovviamente, ritenere che la sensibilità ambientale, che per alcuni anni (1987-1990) ha addirittura un alto grado di priorità nella coscienza pubblica italiana, sia nata su una "tabula rasa". L'interesse italiano per l'ecologia - intesa come scienza, come corrente culturale, come orientamento politico, come "spirito del tempo", come civilizzazione... - non può essere, ovviamente, considerato un mero sottoprodotto della competizione politica e dell'esistenza dei Verdi come soggetto politico. Ci sono diversi fattori da cui bisogna muovere: tra cui la tradizione di alcune delle maggiori associazioni ambientaliste. La loro azione è assai importante, e la loro funzione e la percezione della loro presenza muta sensibilmente dagli anni '70 agli anni '80. Fin dall'inizio degli anni '70 in Italia vengono avvertite non solo le ben note tensioni sociali che porteranno l'Italia più volte, nella decade, sull'orlo sia di profondi cambiamenti politici e sociali (nel 1976 appare una concreta possibilità di una maggioranza di sinistra, intorno ai comunisti), sia di reazioni violente e putschiste da parte del potere (tanto da indurre Enrico Berlinguer, capo del Partito comunista italiano, spaventato dall'esperienza cilena, a proporre un "compromesso storico tra comunisti e democristiani"). Accanto ad una corrente maggioritaria dell'impegno politico, che si caratterizza intorno alla lotta di classe, vi sono anche filoni meno appariscenti, che cominciano a reagire agli squilibri ecologici provocati da una rapida e spesso inconsulta modernizzazione ed industrializzazione, soprattutto nel campo della chimica (raffinerie, chimica per l'agricoltura, plastica, industria farmaceutica..), nel settore stradale ed autostradale, nella caotica crescita delle città e nell'edificazione selvaggia sul territorio. I primi profeti dell'allarme ecologico vengono ancora poco ascoltati, qualche volta anche per colpa di loro stessi - ad esempio quando si ostinano a voler riportare la questione ecologica comunque nello schema classista. Si pensi al pamphlet "L'imbroglio ecologico" (di Dario Paccino), allora molto letto, che se la prende con la critica alla crescita economica di stampo elitario e borghese, tipica del "Club di Roma". L'ecologia a sinistra viene vista come freno ideologico e sociale alla lotta di classe, come nuova e più presentabile edizione della tesi che "stando tutti nella stessa barca, bisogna collaborare". Anche le associazioni ambientaliste allora esistenti - da "Italia Nostra" (associazione per la protezione dell'ambiente e del patrimonio artistico e monumentale) al "Club alpino", dal WWF (World Wildlife Fund) ai gruppi della protezione animali - vengono percepite dalla sinistra come diversivo rispetto ad obiettivi veramente urgenti e popolari, o comunque come una sorta di lusso borghese. Chi non ha da mangiare o manca di un tetto, non ha tempo da perdere dietro a farfalle in estinzione o monumenti storici da proteggere, si diceva. Al massimo poteva essere apprezzata e sostenuta, a sinistra, la lotta contro la speculazione edilizia (tema tradizionalmente caro a "Italia Nostra"). Anche in campo conservatore non abbondavano le simpatie per gli ambientalisti: ciò che si intendeva "conservare", erano i rapporti di proprietà e di potere, non la natura o i beni artistici, culturali o paesaggistici. Tant'è che i milioni di voti rastrellati soprattutto dai democristiani nelle aree rurali del paese in nome di un'aspettativa autenticamente conservatrice, in realtà venivano regolarmente trasformati in altrettante cambiali in bianco per una politica dell'edificazione selvaggia, di industrializzazione (spesso precaria ed approssimata), di aumento del traffico... Non conservazione, ma forzato "progresso" era il frutto della politica democristiana e governativa: solo che esso doveva realizzarsi come modernizzazione del paese senza avventure politiche. Esisteva quindi un consistente vuoto ambientalista e conservazionista sia a destra che a sinistra.
Lo stesso conflitto intorno all'energia nucleare, che in altri paesi europei era stato un moltiplicatore di coscienza ecologista negli anni '70, in Italia solo con ritardo si rivelerà mobilitante, poichè l'industria nucleare procede a rilento, e gli anti-nucleari - provenienti prevalentemente (ma non solo) dalla sinistra radicale ed "autonoma" degli anni '70 - nell'opinione pubblica talvolta danno l'impressione di essere più interessati ad un faccia-a-faccia con lo Stato che non ad alternative di politica energetica o ad una maggiore armonia con la natura, e vengono dunque percepiti come parte del ghetto dell'estremismo. La loro influenza resta quindi ben lontana dall'ampiezza che il movimento anti-nucleare aveva raggiunto in altri paesi (e con un numero assai maggiore di centrali nucleari). Tuttavia nel 1977 i radicali intorno a Marco Pannella ed Emma Bonino raccolgono, insieme ad alcuni gruppi di sinistra, le firme per un referendum contro la scelta nucleare (che tuttavia non verrà poi ammesso dalla Corte costituzionale). Solo un tema ambientalista riesce - curiosamente - a mobilitare una larga opinione pubblica, anche poco politicizzata: l'indignazione per lo scriteriato esercizio di massa della caccia, cui si dedicano milioni di "cacciatori della domenica". Ma per il resto di ecologia - termine ancora largamente sconosciuto - si discute solo all'interno di circoli e pubblicazioni ristrette. La già citata catastrofe di Seveso, dove dall'industria ICMESA nel 1977 si ha una rilevantissima fuoriscita di gas tossici che causa un grave inquinamento da diossina, attiva, sì, numerosi gruppi di base ambientalisti e per la salute, ma si traduce in conseguenze operative più all'estero che in Italia: è da lì che la Comunità Europea prende lo spunto per la sua c.d. "direttiva Seveso" sulle industrie pericolose e nocive, che tuttavia in Italia verrà recepita con un ritardo decennale, e solo dopo che i Verdi avranno fatto il loro ingresso in Parlamento.
Si può dire, dunque, che le voci preoccupate della nascente critica ecologista vengono realmente avvertite e prese sul serio solo quando dall'estero cominciano ad arrivare le prime notizie sulle crescenti percentuali elettorali di un nuovo movimento politico, i "Verdi". La sinistra non-dogmatica, dispersa e sostanzialmente extra-parlamentare, vi vede uno spiraglio di speranza: dunque esiste, anche dopo la crisi e la sconfitta dei movimenti social-rivoluzionari degli anni '60-'70 e dopo il mancato trionfo della rivoluzione culturale ed egualitaria di quel tempo, una possibilità di sensato impegno per il cambiamento, che può rompere il muro del suono dell'irrilevanza e della marginalità, ed al tempo stesso aiutare a superare la pesante eredità degli "anni di piombo", marcati dal terrorismo e dal riflusso della fine degli anni '70 - inizio anni '80!

Arcipelago verde

Risulta, dunque, caratterizzante per il movimento verde in Italia, che esso

1) si basa su una certa preparazione del terreno da parte di ambientalisti precoci, ma ottiene la sua audience pubblica solamente verso la metà degli anni '80 attraverso l'azione di gruppi, persone ed iniziative provenienti in massima parte dalla sinistra non-dogmatica (e con molte connessioni con analoghi movimenti a nord delle Alpi);

2) conosce la sua parabola ascendente in contemporanea con quella discendente della sinistra, costituendo in certo senso una risposta alla crisi della sinistra;

3) irrompe nell'arena politica in un momento in cui la credibilità del sistema dei partiti, fortemente ideologizzato e cristallizzato, è già gravemente scossa e la stessa "forma-partito" come strumento principale di azione politica è in crisi.
A differenza di altri paesi, la maggiore flessibilità del sistema politico italiano aveva ammesso sin dagli anni '70 le minoranze radicali, di sinistra, libertarie ed antagoniste nella cerchia della rappresentanza politica e parlamentare. Quindi i Verdi italiani non dovranno coprire quell'enorme bisogno di recupero che gravava sui Verdi in altri paesi (Germania federale, Austria, Svizzera, Gran Bretagna, Francia, Svezia, Finlandia...), dove l'accesso alle istituzioni era stato più rigorosamente riservato ai partiti tradizionali, e che di conseguenza vedeva nei Verdi la prima formazione politica atipica che, entrando nei Parlamenti, finiva per raccogliere l'eredità di un arco variegato di movimenti.
I Verdi in Italia possono permettersi di non riunire nella propria rappresentanza politica una gamma così vasta di temi ed obiettivi, concentrandosi sullo sforzo di sviluppare un profilo politico chiaro, cercando di non diventare l'ennesimo mini-partitino sulla scena italiana. Intento dichiarato è quello di dare voce alla "società civile", nella sua dinamica sociale e culturale, non di ritagliarsi una piccola "societas perfecta" in verde, a fianco degli eventi e delle forze in campo.
I Verdi in Italia come movimento esistono comunque già alcuni anni prima di entrare nelle istituzioni. Il periodo di incubazione comprende essenzialmente la prima metà degli anni '80, quando il cosiddetto "arcipelago verde" cresce e si diffonde con numerose iniziative. Ne sono protagonisti la "Lega per l'Ambiente", ad esempio, che nasce in seno ai settori più impegnati della sinistra classica, o i molti gruppi ecologisti locali caratterizzati dai connotati dell'antimilitarismo, dell'impegno non-violento ed anti-nucleare, della critica al consumismo e dell'impegno nel settore dei rifiuti e del riciclaggio, o i gruppi impegnati nella medicina popolare o nelle iniziative anti-traffico. Anche tra i radicali di Marco Pannella nasce un ramo verde: costituiranno la sezione italiana degli "Amici della Terra". Associazioni più tradizionali e prestigiose - come il WWF e "Italia Nostra" - ne ricevono nuovi impulsi. Quando si parla dei "verdi" nei mass-media e nell'opinione pubblica, si intende l'insieme di questo arcipelago, senza distinguere molto le singole venature, nè tra chi aspira anche alla rappresentanza politica o chi preferisce l'azione diretta, nel sociale: li accomuna la sottolineatura dell'urgenza di una profonda correzione ecologica del modello di civiltà e la concretezza delle loro iniziative e proposte. Così una "goletta verde" indagherà lungo le coste italiane sull'inquinamento del mare e delle spiagge, le "università verdi" diventeranno in molte città (soprattutto medio-piccole) dei luoghi di formazione culturale, scientifica e politica degli ambientalisti, e dietro le barche che su iniziativa dei gruppi di base nella laguna di Venezia si oppongono alle navi che scaricano fanghi industriali, si mobilitano larghe simpatie e consensi.

Le diverse tonalità del verde

Fin da allora si possono distinguere tre-quattro linee-guide principali che caratterizzano il movimento e sono riconoscibili in qualche misura ancora oggi.
Vi si trovano i verdi esplicitamente a-politici, impegnati soprattutto in certe associazioni, che non vogliono contaminare l'ecologia attraverso la politica - anche se poi spesso non pochi notabili della politica e degli affari sono membri illustri o addirittura dirigenti onorari di quei sodalizi. Altri, al contrario, premono perchè ci si butti al più presto e nel modo più deciso nell'agone politico, formando sostanzialmente qualcosa come un partito verde (visto da non pochi come partner naturale e quasi riedizione rinnovata della sinistra, mentre altri vorrebbero il partito verde in posizione critica anche verso la sinistra): le associazioni ambientaliste più recenti ("Lega per l'Ambiente", "Amici della Terra") e numerosi tra i reduci dell'ex-nuova-sinistra e di qualche altra formazione politica possono essere annoverati tra coloro che spingono per un impegno elettorale dei Verdi e si augurano una politica di riforma, anche ecologica, portata avanti attraverso l'azione politica e parlamentare. Altro filone notevole è costituito dall'area dei gruppi locali, autonomi e di base, che insistono soprattutto sull'"ecologia della mente" e si caratterizzano fortemente per una linea dello "small is beautiful": essi, in genere, desiderano cimentarsi anche in politica (tra l'altro per evitare che il marchio verde venga usurpato da veri e propri "zombies della politica"), ma guardano alla politica con una radicata diffidenza, insistendo molto su alcuni correttivi quali la rotazione nelle cariche, la limitazione dei mandati, la pari rappresentanza dei sessi e così via.
E' questa la miscela che - dopo alcune positive esperienze locali nel Sudtirolo, in Trentino ed in alcun Comuni dell'Italia settentrionale - porta nel 1985 all'ingresso di liste verdi in circa la metà dei Consigli regionali e nel 1987 di una rappresentanza un po' improvvisata, ma sostanzialmente efficace, nel Parlamento nazionale (Camera dei deputati). Le percentuali elettorali non sono stravolgenti (in media 2,5-3%, con punte nelle metropoli e nel Nord, dove si registrano anche 4-6%), ma il paesaggio politico italiano resta profondamente segnato dall'entrata dei Verdi nelle istituzioni: tanto più, quanto più i Verdi - nati non come partito, ma solo come coordinamento piuttosto leggero tra liste locali - si rifiutano di farsi assimilare ad un campo politico pre-determinato, sottraendosi all'automatica aggregazione alla sinistra.

Trasversali agli schieramenti politici tradizionali

Dopo alcuni anni di opposizione in quasi tutte le Regioni ed i Comuni in cui i Verdi sono rappresentati (spesso con 1-2 seggi), essi si profilano già abbastanza presto come partners per diverse coalizioni innovative ed insolite: a Palermo entrano nella giunta municipale dell'atipico sindaco democristiano Leoluca Orlando (futuro fondatore della "Rete"), contribuendo allo sforzo di risanare la capitale siciliana dalla profonda sottomissione alla mafia, e trovandosi alleati di una parte dei democristiani, dei comunisti e di gruppi cattolici (con i socialisti, alcuni democristiani e la destra all'opposizione); a Milano diventano parte di una più tradizionale coalizione riformista con socialisti, comunisti e partiti minori di centro-sinistra; a Venezia, dove il risanamento della laguna è l'obiettivo prioritario, i Verdi concorrono in modo determinante a formare una giunta con a capo un repubblicano (partito moderato, borghese di sinistra), che raccoglie le forze riformiste della città; a Roma nel 1989 (e poi di nuovo nel 1993) i Verdi arrivano ad un passo dalla costituzione di un'alleanza di riforma con un loro esponente proposto come sindaco della capitale d'Italia.
Essere "trasversali", cioè non allineati con i blocchi ideologico-politici che dominano tradizionalmente la politica italiana, fa un po' parte dell'identikit e delle intenzioni dichiarate dei Verdi. Ma è comprensibile che in questa piega possano anche nascondersi opportunismi e trasformismi, come puntualmente avverrà qua e là (con relative spaccature e liti tra Verdi), quando la tentazione del potere e la relativa facilità di accesso a posti di responsabilità, in un sistema traballante e screditato, mette a dura prova la capacità di valutazione e la stessa moralità politica dei Verdi. E non mancano irruzioni ed imitazioni da parte di chi, dal seno di precedenti formazioni politiche, si rende conto che ormai le vecchie sigle della nuova sinistra hanno esaurito il loro tempo. I Verdi reagiscono non sempre come chi con soddisfazione constata l'espansione delle proprie idee, ma piuttosto come chi si vede contestata una primogenitura e costretto a dividere con altri una preziosa eredità, ritenuta di spettanza esclusiva.

Elezioni europee 1989: due liste concorrenti

Tant'è che alle elezioni europee del 1989 i Verdi - che dai sondaggi venivano dati come quarta forza politica, dopo democristiani, comunisti e socialisti - appaiono divisi: alla lista verde del "sole che ride" (tradizionale simbolo verde ed anti-nucleare) si contrappone una seconda lista, denominata "verde-arcobaleno", cui danno vita ex-appartenenti al partito radicale (di Pannella) ed a Democrazia proletaria (formazione di estrema sinistra in crisi), insieme ad alcuni ambientalisti indipendenti. Finisce che i previsti 5 seggi al Parlamento europeo vengono, in effetti, conquistati e che la somma dei due tronconi verdi potrebbe davvero qualificarsi quarta forza politica (con più del 6% dei voti, insieme), ma 3 deputati vengono eletti dai Verdi del "sole che ride" e 2 dai Verdi-arcobaleno, e per alcuni anni la vita interna dei Verdi resta paralizzata da un tortuoso processo di unificazione tra le due sigle ed i relativi mini-apparati.
Comincia da allora un certo ripiegamento dei Verdi su se stessi, che li porta a giocare un ruolo assai meno influente di quanto non ci si potrebbe aspettare anche nei diversi conflitti ambientali, politici e sociali: le alghe nel mare Adriatico, un annoso conflitto intorno ad alcune industrie particolarmente inquinanti (ACNA di cengio, tra Ligura e Piemonte), il confronto sul ridimensionamento dell'industria in Italia e le difficoltà della sinistra vedono i Verdi come impacchettati nelle loro vicende interne e poco capaci di incidere nella crisi politica italiana. Alcuni indubbi successi della loro azione politico-parlamentare (leggi sulla protezione del suolo, istituzione di parchi, blocco di progetti autostradali, promozione del risparmio energetico e dell'obiezione di coscienza, iniziative contro alcuni inutili mega-progetti, conversione di qualche industria pericolosa e nociva, legge sugli animali randagi, ecc.) si riveleranno preziosi ma poco avvertiti dall'opinione pubblica come frutto dell'impegno dei Verdi. La stessa caduta del muro tra Est e Ovest e le conseguenti prospettive europee totalmente nuove colgono impreparate non solo le forze politiche che erano organicamente figlie del mondo diviso in due blocchi contrapposti, ma anche i Verdi non riescono - in Italia come su scala europea - a cogliere a fondo questo loro possibile momento di grazia.

Declino verde ?

Il 1990 poteva essere un anno particolarmente fruttuoso, dopo l'affermazione verde nelle elezioni europee: doveva dare ai Verdi italiani una seconda grande affermazione referendaria, su due "temi forti" dell'impegno ambientalista (dopo la vittoria nel referendum anti-nucleare del 1987), e rinnovare la loro rappresentanza nei Consigli regionali e comunali di gran parte d'Italia. Si rivela, invece, un anno di involuzione. Nonostante le centinaia di migliaia di firme autenticate raccolte nel 1989 per celebrare il referendum popolare per l'abrogazione delle leggi sulla caccia e sull'uso dei pesticidi in agricoltura, al momento del voto (giugno 1990) non va alle urne quella metà dell'elettorato che ci vuole perché il voto sia valido. Una ben orchestrata campagna astensionista (appoggiata dalle lobbies dei cacciatori, delle industrie di fucili e munizioni, delle industrie agro-chimiche, ecc.) si combina ad ad una certa stanchezza elettorale: il referendum si svolge infatti appena un mese dopo le elezioni regionali e comunali, e così solo il 43,5% degli aventi diritto depone le schede nelle urne. A quel punto poco importa che più del 90% dei votanti abbia appoggiato plebiscitariamente le richieste referendarie verdi ed abbia quindi manifestato una impressionante volontà ambientalista in favore di una severa restrizione dell'uso della chimica in agricoltura e della caccia - quel che resta, è un sapore di sconfitta, è la prima volta che una richiesta ambientalista sottoposta al giudizio popolare non riesce a vincere.
Se vi si aggiunge il risultato delle elezioni comunali e regionali di maggio, dove i Verdi si presentano in molte Regioni e Comuni ancora con liste concorrenti o malamente unificate, e quindi di fatto assai occupati dalle loro diatribe interne, si deve proprio parlare di declino dei Verdi. Le nuove istanze di protesta, la ricerca di un fattore innovativo nella politica italiana, non si canalizza (più) attraverso i Verdi. La novità elettorale più consistente viene dalla "Lega lombarda" ed altre formazioni simili che raccolgono il voto anti-statalista ed anti-centralista del Nord, con consistenti venature reazionarie ed anche razziste, e la proposta politica più discussa è quella che travaglia il Partito comunista di Achille Occhetto: il leader, subito dopo il crollo del muro di Berlino, aveva suggerito di cambiare nome e simbolo al PCI, secondo partito italiano, dando un esplicito addio al comunismo e diventando qualcosa di molto più simile ad un partito socialdemocratico seriamente riformista. Sono questi, dunque, i temi che dominano la scena politica ed i Verdi ne restano emarginati, dopo che gli esiti infausati delle elezioni e del referendum hanno ridimensionato fortemente la loro influenza politica e di opinione. Si accentua la loro incapacità di esprimere una proposta politico-culturale globale ed una leadership riconoscibile nella crisi italiana, e si dedicano invece a interminabili conciliaboli interni.
Anche la guerra del Golfo, che pone in maniera acuta e profonda i problemi della pace, della guerra e del nuovo ordine internazionale ed in particolare delle relazioni con il mondo islamico, vede i Verdi relativamente marginali: non guidano, nel loro complesso, lo schieramento pacifista (che tuttavia appoggiano), nè riescono a svolgere alcun ruolo particolarmente attivo nell'elaborazione di iniziative euro-mediterranee di rilievo. La loro posizione non diventa un punto di riferimento o un discrimine nel dibattito pubblico, nello scontro parlamentare, nelle iniziative pratiche. Analoga sarà la situazione, poco più tardi (dal 1991), nel conflitto jugoslavo: nonostante l'attività importante di singoli Verdi, il movimento come tale (e la sua rappresentanza in Parlamento) non costituisce un riferimento centrale ed in un certo senso obbligato per chiunque si impegnasse per la pace nella ex-Jugoslavia. Se vi si aggiunge che anche la preparazione della Conferenza mondiale dell'UNCED, a Rio de Janeiro, nel 1992, vede nei Verdi sì i promotori di questa o quella risoluzione parlamentare (e qualche deputato verde è anche membro della delegazione ufficiale italiana alla Conferenza), ma non si può parlare di una vera e propria forte campagna che abbia obbligato la società italiana a porsi il problema della ridefinizione di un patto tra Nord e Sud, tra continenti, tra generazioni, tra specie viventi. Così avviene che nè in campo propriamente ecologico, nè sui temi di politica generale (pace, cosiddetto "sviluppo sostenibile", riprogettazione dello stato sociale, nuova redistribuzione del lavoro, ecc.), e - comprensibilmente - neanche sui problemi più strettamente istituzionali i Verdi riescano a porsi al centro dell'iniziativa politica. Avviene così che la fine del comunismo italiano, la fine dell'egemonia democristiana e la famosa "crisi della partitocrazia" si svolgano tutte in certo senso al riparo di una forte e decisiva azione dei Verdi. Non a caso sono, semmai, altre forze politiche e/o civili che dominano la scena.
Ma anche nei campi dove i Verdi avrebbero di per sè una notevole influenza e forse persino qualche rendita di posizione, non riesce a sprigionarsi un vero intreccio tra i Verdi organizzati in forza politica e quegli importanti segmenti sociali e culturali che esprimono attività e proposte "naturalmente" affini ai Verdi. Tra queste occasioni mancate assumono rilievo particolare l'interazione con il mondo cattolico e cristiano, con l'area dell'impegno nord-sud e "terzomondista", con gli intellettuali e la cultura, con i giovani, con il mondo dell'agricoltura, con i sindacati ed il mondo del lavoro, con la sperimentazione ecologica nel campo dei consumi, dell'edificazione, dei trasporti, persino dei risparmi. Eppure non difetterebbero davvero le opportunità. I vescovi lombardi nel 1988 escono con una loro notevole lettera pastorale sull'impegno ecologico; in sede ecumenica si fa strada un nuovo trinomio intitolato "giustizia, pace, integrità della creazione", e lo stesso Papa chiama negli anni successivi con importanti discorsi e scritti alla salvaguardia ambientale. Una ricca e articolata "Campagna nord-sud" intreccia, in Italia e con importanti ramificazioni internazionali, le sensibilità ecologiste e "terzomondiste". Nel mondo giovanile la richiesta di alternative alla noia ed alla droga è forte. La crisi dell'egemonia democristiana e comunista sulle campagne si fa sentire, moltiplicata dai disastri della politica agricola comunitaria e da nuove sensibilità che si sviluppano in alcune regioni rurali (nell'arco alpino, per esempio; in certe zone appenniniche): anche la domanda di decentramento e federalismo non può certo essere ricondotta tutta all'azione della "Lega Nord". Occasioni come l'annuale "Fiera delle utopie concrete per la conversione ecologica" a Città di Castello (Umbria), le diverse grandi assemblee nell'Arena di Verona sui temi della giustizia internazionale o certi raduni giovanili e del volontariato - soprattutto in area cattolica, e non di rado nel sud del paese - vengono snobbate dai Verdi, la cui struttura partitica preferisce procedere per tappe interne e quindi condannate all'irrilevanza.

3. I Verdi italiani oggi: quali prospettive?

Già si é delineata, all'inizio di questo articolo, la situazione nella quale i Verdi italiani si trovano dopo le elezioni del 5 aprile 1992, punto di svolta nella recente storia politica d'Italia.
Vale la pena dare uno sguardo non solo ai Verdi politici, ma anche all'associazionismo ambientale ed a ciò che resta del c.d. "arcipelago verde". Si scopre così che se Atene piange, anche Sparta non ride. L'associazionismo ambientalista, infatti, vive una parabola non dissimile da quella dei Verdi, con i quali aveva in fondo condiviso molte speranze e molto credito presso l'opinione pubblica. E' assai aumentato il numero degli iscritti alle grandi associazioni ambientaliste, che ormai contano decine e decine di migliaia di iscritti (il WWF più di 100.000), cifre assai ragguardevoli per un paese della coscienza ecologica così recente ed ancor fragile, che tuttavia ora sembrano in calo. Ma avviene anche che le associazioni appaiaono, agli occhi della società e delle stesse autorità di governo sempre più simili a come erano percepiti i sindacati negli anni '70: importanti organizzazioni sociali cui si riconosce una sorta di pubblica utilità, che rischiano tuttavia di istituzionalizzarsi nel dialogo con le altre istituzioni, sino a diventare una parte del sistema di consultazione e di decisione, perdendo immediatezza, autonomia e talvolta anche capacità di antagonismo. Senz'altro l'idea ecologista in Italia è oggi più diffusa e rispettata che non 10 anni fa, ed i suoi protagonisti non sono più visti come sognatori che si perdono dietro una specie di hobby. Anche la penetrazione del ragionamento ecologico nel mondo del lavoro e del sindacato, delle Università, della politica, della Chiesa, della cultura ha fatto decisamente grandi progressi, e nessuno può più considerare l'ambientalismo come una specie di "optional". I Verdi da più parti sono riconosciuti come utili seminatori di una sensibilità, come anticipatori di una necessaria e forse urgente correzione di rotta. Ma difficilmente si riconosce a loro anche la capacità di gestire le proposte che fanno, di incidere in modo sostanzioso, non solo settoriale o addirittura marginale. Alcuni metodi introdotti dai Verdi (dalla valutazione di impatto ambientale a diverse forme di azione ambientalista diretta, p.es. nel settore dei trasporti, degli imballaggi, dei rifiuti, dell'alimentazione...) hanno fatto scuola e sono ormai parte di una coscienza comune diffusa. Ma un forte approccio ecologista alla crisi dell'economia e della struttura sociale italiana non è pubblicamente percepito dal discorso dei Verdi. La stessa contaminazione culturale, che i Verdi avevano saputo irradiare nella seconda metà degli anni '80 verso importanti settori cattolici, della sinistra sociale, della stessa destra, oggi sembra essersi piuttosto ridotta. A ciò naturalmente non contribuisce solo il troppo modesto profilo della presenza politica dei Verdi, ma anche il fatto più generalizzato - e non solo italiano - che la "novità" del discorso ecologista è nel frattempo tramontata, e con essa quel certo richiamo congiunturale che è connesso alle mode.
I Verdi italiani avvertono questa crisi, e pur in mezzo alle mai sopite diatribe interne hanno scelto di darsi una struttura - sempre federale, e basata sulle liste locali - più organizzata e meno assembleare, nominando un portavoce nazionale, individuato - con non poche resistenze interne, ma finalmente eletto nel 1993 a maggioranza assoluta - nella persona di Carlo Ripa di Meana, ex-commissario della Comunità europea (prima alla Cultura, poi all'Ambiente) ed ex-ministro italiano (socialista) all'Ambiente, dimessosi da tale carica in dissenso con la politica del suo ex-partito e del governo di Giuliano Amato.
Uno sguardo alle dinamiche interne ai Verdi permette di distinguere quattro filoni principali: una corrente riformista, con una buona dose di "realpolitik", non aliena all'assunzione di responsabilità governative e a più larghe alleanze riformatrici; una corrente che si pretende "verde-verde", e che rivendica per sè l'eredità delle prime liste verdi, diffidando dei leaders con una statura che oltrepassi l'ambito del piccolo partito ed opponendosi a ciò che temono possa portare alla svendita del patrimonio specifico dei Verdi; una corrente marcatamente di sinistra, nella quale si riconosce gran parte degli "ex" di Democrazia proletaria; ed infine un filone meno nettamente politicizzato (anzi, un po' distante dall'evoluzione quotidiana della politica dei Verdi) che guarda più alla società civile, all'"ecologia profonda", alla necessità che i Verdi continuamente sappiano sciogliersi per ricoagularsi insieme ad altri, senza pretese di esclusiva.
E' molto sentita oggi la mancanza di un buon settimanale (o almeno di una rivista mensile) che sapesse raccogliere e diffondere una lettura "verde" (ma ovviamente non "parrocchiale") di ciò che avviene in politica, nell'economia, nella società, nella scienza...: insomma, una sede di riflessione e di elaborazione del possibile apporto dei Verdi ai temi della convivenza tra umani e con il resto della natura. La fissazione sulla politica, sotto questo profilo, ha prodotto dei guasti non facilmente rimediabili: intense controversie sulla compilazione delle liste elettorali e sulle opportunità di alleanze di governo, rivalità e risentimenti hanno inquinato non poco la vita quotidiana di quella che oggi si chiama Federazione dei Verdi. A ciò hanno contribuito anche le diverse sigle di disturbo che, come in altri paesi, hanno fatto apparire in alcune campagne elettorali i Verdi assai più divisi di quanto non fossero nella realtà.

Il referendum del 18 aprile 1993

Ma nel frattempo un fatto nuovo si é verificato ed obbligherà tutto lo scenario politico italiano, Verdi compresi, a modificarsi sensibilmente.
Dopo una serie incredibilmente impressionante di scandali di corruzione, indagati dalla magistratura a partire dal piccolo terremoto elettorale del 1992, nei primi mesi del 1993 in Italia si è compiuto il definitivo crollo del sistema politico che sinora aveva retto il paese dal secondo dopoguerra. Personaggi di prim'ordine si sono dovuti ritirare con vergogna (da Andreotti a Craxi, da Forlani a De Michelis), capitani d'industria, finanzieri, politici e managers sono stati arrestati o comunque inquisiti, un crescendo di rivelazioni - non si sa se tutte attendibili - ha travolto partiti (anche di opposizione - ma non i Verdi), leaders, aziende, banche, amministrazioni, mezzi d'informazione.
In questo clima i referendum, indetti nell'aprile 1993 per invocare il giudizio del popolo su una serie di leggi proposte all'abrogazione, hanno avuto uno svolgimento ed un risultato assai particolare: votare SI all'abrogazione di tutte le leggi sottoposte al referendum (compresa quella che prevedeva il carcere per i tossicodipendenti consumatori di stupefacenti per uso proprio), per il corpo elettorale è diventato il modo radicale ed un po' semplicistico per dire SI all'abrogazione della partitocrazia e del sistema politico sin qui dominante.

Non stupisce, quindi, che nella fatidica data del 18 aprile 1993 (45° anniversario dello storico voto anti-comunista che aveva consegnato l'Italia alla Democrazia Cristiana) oltre l'80 % degli elettori abbia espresso voti favorevoli alle proposte referendarie, la più cruciale delle quali riguardava l'abolizione del sistema elettorale proporzionale, giudicato - da una martellante campagna di stampa e da molte forze politiche ed imprenditoriali - colpevole di aver portato alla lottizzazione partitica e conseguente corruzione dell'intera vita pubblica italiana. Era senz'altro anche un voto di delegittimazione verso un Parlamento che tra le sue file conta ormai ben oltre un centinaio di deputati inquisiti dalla magistratura.
Non si sa se l`effetto di quel voto referendario (sul quale la maggioranza dell'assemblea federale dei Verdi aveva deciso di pronunciarsi per il NO) possa ora davvero rimediare alle cause: ma in ogni caso obbligherà ad una sostanziosa revisione legislativa del sistema elettorale che eliminerà la possibilità, per i piccoli partiti, di continuare ad avere accesso al Parlamento, e che più in generale obbligherà tutte le forze politiche a cercare aggregazioni meno ideologiche e meno totalizzanti, privilegiando piuttosto due o comunque pochi "poli" o "rassemblements". La frammentazione politica dovrà per forza semplificarsi assai, il potere di veto o di contrattazione di piccole o medie formazioni diminuirà o sparirà, in compenso magari crescerà a dismisura il potere dei "king-makers" (mass-media, grandi imprese, grandi organizzazioni di opinione...) e dei signori dell'immagine, e forse diminuirà sensibilmente la partecipazione politica in Italia, analogamente a quanto avviene in altri paesi con sistemi elettorali maggioritari.
Il primo governo dopo-referendum, per la cui formazione il Presidente Oscar Luigi Scalfaro aveva incaricato - fatto sinora inedito - un uomo senza-partito, il governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, poteva essere il primo banco di prova di possibili nuove aggregazioni. Una sfida anche per i Verdi - che però ne sono usciti con le ossa rotte.

I Verdi al governo, per meno di un giorno

Il presidente incaricato Ciampi aveva, per la prima volta nella storia italiana, proceduto alla formazione del governo secondo la stretta regola costituzionale: usando il suo potere insindacabile di nomina e di proposta dei ministri, senza contrattazione con le segreterie dei partiti, sui quali in un primo momento solo il Presidente della repubblica si pronuncia (visto che devono giurare nelle sue mani), salvo poi affrontare il dibattito sulla fiducia alle Camere. Ciampi in tal modo aveva carta bianca, ed era deciso a costituire una sorta di governo slegato dai partiti, una potenziale coalizione di riforma che tagliasse anche trasversalmente molti partiti, obbligando i riformatori dei diversi settori a darsi una mano per battere i conservatori del vecchio sistema, anch'essi annidati nei diversi settori e partiti. Così la lista dei ministri, annunciata la mattina del 29 aprile 1993, comprendeva una serie di nomi nuovi: prestigiosi intellettuali e tecnici indipendenti, esponenti tra i meno chiacchierati dei tradizionali partiti di governo (democristiani, socialisti, liberali, repubblicani, socialdemocratici), esponenti del PDS (il partito democratico della sinistra, subentrato al partito comunista, che però ha perso tutta la sua ala sinistra) e persino il verde Francesco Rutelli, come ministro all'Ambiente ed alle Aree urbane. Il gruppo parlamentare dei Verdi, pur con qualche sofferenza, aveva quasi unanimemente approvato tale scelta. Il nuovo governo Ciampi veniva visibilmente osteggiato dalla Lega Nord, dai neo-fascisti, dall'estrema sinistra ed i gruppi protestatari (Rifondazione comunista, Rete), ed appena tollerato da ampi settori democristiani e socialisti. Poteva essere la chance per una guida transitoria del paese, impegnata in una difficile opera di risanamento economico, ecologico, sociale e morale, e forse capace di stimolare un processo di riaggregazione politica affrancata da alcune ipoteche del passato.
Invece il passato si è immediatamente fatto sentire, ancora il giorno stesso: la Camera dei Deputati, chiamata a votare sulla richiesta di autorizzazione a procedere, da parte della magistratura, nei confronti dell'ex-leader socialista Bettino Craxi, ha tutelato - per pochi voti di differenza - la sua immunità. Di fronte a tale voto provocatorio, i ministri del PDS ed il ministro verde hanno immediatamente rassegnato le loro dimissioni, ancor prima di presentarsi al Parlamento, sostenendo che con simili compagni di strada non si poteva governare, e che ormai bisognava andare ad elezioni anticipate al più presto, non appena fosse varata una nuova legge elettorale. A nulla sono valsi i tentativi di Scalfaro, di Ciampi e di una parte qualificata di opinione pubblica a riportare i dimissionari al governo: troppo forte era l'indignazione popolare per il "salvataggio politico ci Craxi", troppo grande il rischio di farsi stritolare in un abbraccio mortale.

Prospettive

Così i Verdi si ritrovano pochi giorni dopo di nuovo in mezzo al guado: astenuti (come il PDS) su un governo che ha cambiato rapidamente di segno, incontrando non a caso un più convinto appoggio della DC e l'astensione benevola della Lega Nord (che in un primo momento aveva promesso fuoco e fiamme), di nuovo marginalizzati in un processo di riaggregazione che oggi vede l'iniziativa soprattutto nelle mani dell'ex-democristiano Mario Segni, promotore principale del referendum elettorale e fautore di un nuovo partito moderatamente progressista, e di "Alleanza democratica", partners di sinistra del medesimo disegno. Difficile prevedere con sicurezza dove si andrà a parare: nelle imminenti elezioni dei Consigli comunali e dei sindaci di alcune importantissime città (tra cui Milano e Torino), i Verdi si sono prontamente spaccati, subalterni al richiamo riformista moderato da un lato e della sinistra protestataria dall'altra.
Concludendo si può dire che probabilmente i Verdi italiani si avviano ad un immediato futuro, in cui la rappresentanza politica in Parlamento decisamente non potrà più esprimere (se mai l'avesse espresso) il meglio della capacità dei Verdi di proporre e stimolare cambiamenti sociali, decisive correzioni di rotta, importanti riforme per una conversione ecologica della società e dell'economia. Più probabilmente il nuovo sistema elettorale e politico li obbligherà a ricercare il loro posto nuovamente più nella "società civile" che non nella rappresentanza politica, uscendo da una parabola che li ha visti trasformare - ansimando, del resto - il loro entusiasmo e la loro ricchezza di idee ed esperienza in una moneta politica che pagava poco. Forse è la sfida in cui i Verdi italiani possono trovare la loro rigenerazione, e forse la loro potrà essere una storia esemplare anche per altri Verdi in Europa.

(maggio 1993)


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