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Europeisti ed antieuropeisti verdi

1.2.1990, da Nuova Ecologia, febbraio 1990
Aumenta, in seno al gruppo verde al P.E., la divergenza di posizioni tra "europeisti" ed "anti-europeisti", tanto da costituire al momento il principale contrasto politico di fondo che divide i deputati verdi.

Le occasioni per affrontarlo sono moltissime, le occasioni per approfondirlo e tentare di trovare una soluzione sinora non si sono invece trovate. Tre recenti grandi dibattiti parlamentari hanno messo nuovamente a nudo il divario di opinioni tra i verdi: sulle reazioni della Comunità europea alle novità all'est (Mitterrand e Kohl sono venuti personalmente al P.E. per parlarne), sul vertice di Strasburgo del Consiglio dei 12 nel dicembre scorso e sul bilancio del semestre di presidenza francese del Consiglio europeo (cui nel frattempo è subentrata l'Irlanda, mentre toccherà all'Italia nel secondo semestre del 1990).

Gran parte dei verdi tedeschi e olandesi accentuano, nel loro giudizio sulla C.E., il suo carattere di "strumento della guerra fredda" e di utensile complementare alla NATO, tutto orientato a costruire una grande potenza economic-finanziaria (ed in futuro magari anche militare) e quindi valutabile solo negativamente, come grande pericolo ambientale e sociale. Di conseguenza tendono ad apprezzare poco gli sforzi per democratizzare la Comunità e dare poteri (anche costituenti) al suo Parlamento. Tutt'al più possono vedere di buon occhio le affermazioni e le scelte favorevoli alla massima regionalizzazione ed al massimo decentramento locale dei poteri, anche all'interno della Comunità. Il quadro più congruo per sviluppare una prospettiva europea per loro sarebbe il contestuale scioglimento delle due alleanze militari (NATO e patto di Varsavia) e delle due comunità economiche (CEE e Comecon), ed un nuovo inizio a partire dalla cornice di Helsinki, cioè della "conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa" che vede partecipi anche l'URSS, gli USA ed il Canadà.

Una parte dei verdi più "latini" (italiani, alcuni francesi e belgi) tende invece a profilare il proprio impegno anche in favore della riforma della C.E. in direzione di un'integrazione federalista verso l'unità politica europea, pur con tutte le sottolineature dell'Europa delle regioni e della dimensione ecologica, sociale e democratica che tale processo dovrebbe avere e invece non ha. Essi rifiutano l'equiparazione tra la C.E. e la NATO, ed anche la simmetria tra Comecon e C.E., e mettono anzi in rilievo che la Comunità dei 12, al di là di tutti i suoi evidenti limiti, è oggi - soprattutto agli occhi dei popoli dell'est europeo - quel tanto di "Europa realmente esistente" alla quale ci si rifà per sognare e postulare un'integrazione più stretta tra tutti i popoli europei.

La linea di compromesso che per intanto, ed in attesa di un più profondo dibattito tra i verdi (non solo del P.E.), viene espressa nelle prese di posizione e nei documenti politici del gruppo verde può sintetizzarsi così: utilizzare la sfida dei cambiamenti all'est per rimettere profondamente in causa anche l'Europa occidentale organizzata nella C.E.; chiedere ai 12 membri della C.E. un deciso impegno per la sollecita convocazione di una "Helsinki II", coinvolgendo nel processo di preparazione e svolgimento non solo le diplomazie ed i governi, ma anche organizzazioni sociali e culturali dei popoli; evitare che la C.E. compia delle scelte che la rendano ancor più inidonea a prefigurare una futura "casa comune europea" o confluire in essa (p.es. evitare che assuma caratteri di cooperazione anche militare); lavorare per la massima democratizzazione della C.E. e per spingere avanti, al suo interno, le politiche ecologiche, sociali e di promozione dei diritti umani e delle autonomie locali. Ma certamente non si potrà a lungo andare avanti con un'elaborazione così monca, ed occorrerà - al più tardi di fronte alle nuove domande che vengono, oltre che da paesi come l'Austria, dall'est europeo - prendere il toro per le corna.

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