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Sciogliere le liste verdi?

24.6.1987, "Il Manifesto" - mercoledì 24 giugno 1987
Il successo elettorale della lista verde, di cui tanti commentatori si sono stupiti, rappresenta sicuramente un buon inizio, a resta ancora largamente al di sotto delle potenzialità che già questa volta si sarebbero potute esprimere. Ciò è dipeso in parte dagli altri: per esempio, da quei mass-media che dedicavano tutta la loro attenzione agli epici scontri tra De Mita, Craxi, Spadolini ecc., quando non a Cicciolina o agli stupidari dei diversi candidati piuttosto che alla questione energetica o alle varie emergenze ecologiche. O dagli attacchi, anche un po'astiosi, di coloro che speravano - da più parti - di poter inglobare il verde dei propri partiti, dichiarando inutili o dannose le liste, tentando di erodere preventivamente il loro spazio con un'efficiente compagna acquisti o sputando insofferenza non appena i verdi mostravano di non gradire il protettorato di nessuno.

Essi sono rimasti un po'oscurati anche dall'eterno fascino della vicenda comunista che ha riconquistato, in breve tempo, vecchi satelliti e nuovi adepti, soprattutto in certe aree intellettuali che - sulla parola di Bassanini - avevano rapidamente perdonato al Pci di aver barattato i referendum con le elezioni anticipate che esso sperava favorevoli (salvo poi amaramente scoprire che - semmai - la Dc poteva essere battuta nelle urne referendarie, non elettorali).

Ma in questa sede interessa di più sottolineare alcuni limiti ed errori intrinseci alla campagna dei verdi, per aprire un dibattito in proposito. E non parlo solo delle inevitabili inesperienze e improvvisazioni, dell'impegno troppo scarso, di una certa tiepidezza in alcune associazioni ambientaliste o di un atteggiamento di base troppo seraficamente ingenuo e pigramente rinunciatario: come di chi è convinto che basti collocare un cesto sotto l'albero perchè si riempa da solo di frutti. (In parte così è stato peraltro.)

Mi riferisco soprattutto a un atteggiamento di fondo che ha pervaso il processo di formazione delle liste e la conduzione della campagna elettorale e che é stato contemporaneamente segnato da troppo spirito di partito (anzi, di partitino) e da insufficiente "leadership" - o egemonia, se si vuole usare un termine più consono alla tradizione di sinistra - ideale e politica.

Lo spirito di partito si è manifestato soprattutto nella preoccupazione di formare liste di candidati principalmente costruite in base a equilibri interni e aspirazioni di piccolo gruppi, spesso legittimati solo in negativo da un potere di interdizione che la fretta di una campagna elettorale imposta nel giro di poche settimane non ah permesso di sciogliere o di ridicolizzare.

La carenza di direzione ideale e politica è stata messa in luce in modo stridente proprio dalle pretese di rappresentanza e di decisione politica - peraltro di scarsissima efficacia, alla prova pratica - maturate ed esasperate in seno agli organismi delle liste verdi come si erano andati a formare nei mesi precedenti. Una carenza di indirizzo, di capacità di convincere e di iniziativa che aveva pensato assai negativamente sulle campagne referendarie, sul convegno verde di Pescara, sulla presenza al sud e dell'andamento generale e il profilo delle liste verdi. Per non parlare del dibattito politico tra verdi e con il resto della società gestito talvolta persino con pretenziosi interventi di scomunica e con un tasso di litigiosità francamente non necessario (forse non sono stati solo i vescovi a impedire un afflusso più consistente di suffragi cattolici ai verdi).

Ora che quai un milione di persone ha dato fiducia ai verdi e ha fatto valere col voto la necessità di una profonda inversione di tendenza in senso ecologico, e dopo che una parte significativa della cultura e della scienza ha individuato nei verdi i portatori di una speranza epocale, non è più permesso di indugiare nello stagno delle piccole miserie verdi. Occorre uscire nel mare aperto e affrontare una navigazione coraggiosa che non può mettere al primo posto gli interessi e i limiti della ciurma, ma deve aver ben presente il carico affidato e le mete da raggiungere.

E mentre giunge da Bonn l'inconsulto raglio di qualche custode di un'ortodossia vetero-sinistra insediata oggi al vertice dei Grünen (col rischi di distruggerli), conviene ricordare che i verdi in Italia erano partiti proprio con un piede diverso: non per costruire la solida roccaforte,splendida e isolata, del pluralismo verde, ma per cambiare modi di vita pubblici e privati, partiti e sindacati grandi e piccoli, coscienze e comportamenti ben al di là dei propri interessi politici ed elettorali. Tanto da definirsi "biodegradabili" fin dalla loro prima scalata alle istituzioni da augurarsi di diventare presto inutili, "per aver raggiunto lo scopo".

Oggi, dopo il successo elettorale, conviene dunque interrogarsi come fare per raggiungere al meglio gli obiettivi dei verdi, e come ridurre al minimo frizioni e sprechi energetici "a uso interno", evitando - anzi - che ci si ritagli uno spazio tutto "interno".

Intanto converrà ribadire che il gruppo parlamentare verde - al pari dei gruppi consiliari nelle Regioni, Province e Comuni - dovrà essere pienamente indipendente e pienamente responsabile di quel che fa. Ovviamente ci si augura un riferimento parlamentare autorevole, il più unitario possibile, capace di cogliere e interpretare proposte e critiche del movimento verde in tutte le sue articolazioni, deciso di rimanere in costante contatto e scambio con le più diverse iniziative e aggregazioni ecopacifiste. Ma non un braccio secolare di qualche assemblea o comitato centrale o direttivo delle liste verdi o delle associazioni. immagino piuttosto il libero gioco delle iniziative, proposte o assunzioni di responsabilità. Così anche a livello locale. Molti elettori verdi desiderano entrare in contatto con i "verdi" per fare qualcosa, segnalare,proporre, denunciare, partecipare. Ben misera risposta sarebbe quella costituita dalla solida tradizione dei partiti e partitini: dove si entra a far parte di un giro di riunioni periodiche di "militanti" che si ritrovano principalmente per discutere e solo raramente per fare, e che conoscono il loro apice quando si tratta di decidere sulla "linea" o di selezionare, far eleggere e poi controllare dei rappresentanti. Elaborare un alinea ed esercitare o dare una delega all'interno di un corpo separato dalla società e organizzare il consenso intorno a essa: ecco la quintessenza di quell'attrazione politica che sono i partiti, quando non hanno potere da gestire e poltrone da assegnare.

La scommessa dei verdi può proporsi dell'altro e di meglio. sviluppare tecnologie appropriate per promuovere coscienza e azione ecologista, intervenire attivamente nella realtà sociale, elaborare idee e progetti, far sentire la voce dei verdi nelle istituzioni.

E'possibile fare tutto ciò senza ridurre d alcun centralismo verde, ad alcuna titolarità ufficiale, legittimata ed esclusiva, e senza concentrare troppo sulla questione della rappresentanza politica formale l'azione dei verdi. Ecco perché penso che - salvo in periodo elettorale, dove va costituita ex novo di volta in volta - la "lista verde" come tale debba esistere il meno possibile. essa può si rappresentare quell'ideale piazza centrale dove confluiscono, come vicoli e strade, le più varie iniziative, e i più diversi gruppi d'impegno, ma deve essere una piazza che si riempe solo quando effettivamente i verdi sentono necessità e utilità di ritrovarsi e di confrontarsi tutti insieme.+

Soprattutto deve essere una piazza che di volta in volta viene strutturata secondo lo scopo da raggiungere: convegni e seminari (pubblici, aperti a tutti) servono per elaborare, conoscere, discutere; comitati promotori servono per gestire campagne referendarie o di altro tipo; gruppi di azione e di iniziativa servono per intervenire su problemi specifici; università verdi servono per allargare coscienze e conoscenze; dibattiti pubblici servono per chiarirsi le idee; raccolte di firme o digiuni o marce servono per manifestare (magari anche ai rappresentanti verdi) intenti e proteste; gruppi di lavoro (magari definiti nel tempo) servono per elaborare proposte e critiche specifiche su singole tematiche; gruppi di affinità servono per progredire e chiarificarsi tra persone ben disposte; riviste e giornali e radio servono per far circolare notizie e dibattito...

La "piazza" serve soprattutto per incontrarsi,scambiarsi, intrecciare rapporti, uscire da visioni troppo settoriali, coinvolgere altri sulle proposte: la "piazza" può essere fatta di bacheche, bollettini, una radio, incontri, gite, riunioni pubbliche, escursioni sul battello, convegni seminariali e tante altre cose e può aver bisogno di "convocatori" e di "preparatori" che godano di generale stima e fiducia, ma non di rappresentanti o portavoce o organismi permanenti, se non in misura assai ridotta e di supporto.

Meglio un'agenzia verde e dei punti di incontro (bar, piazza, circolo...) che non un direttivo verde. E coordinamenti che siano realmente tali, e non dirigenze politiche di complemento. In questo modo che vuole partecipare all'azione dei verdi potrà facilmente e utilmente inserirsi. E così emergerà anche in modo più naturale e spontaneo la capacità di esprimere una guida politica e ideale ad alto profilo.

Le volte in cui "i verdi" devono rapidamente prendere posizione basterà la voce degli eletti, magari sostenuta e appoggiata da esponenti di specifici gruppi di impegno e di lavoro. Negli altri casi una risoluzione elaborata e approvata al termine di un convegno di una marcia avrà ben maggiore autorevolezza che non un comunicato canonico con timbri e bolli verdi.

Salvo, ovviamente, arsi strumenti eccezionali per esigenze: una manifestazione nazionale o interregionale, un convegno, una campagna elettorale o referendaria..

"Sciogliere le liste verdi" non vuol dire abolire una titolaritá formale (e giuridica) del marchio verde o eliminare strumenti di collegamento, di cooperazione e di proposta, e tanto meno di circolazione di idee, di aggregazione, di iniziativa, Ma vuol dire che l'epicentro si deve spostare dalla questione della delega e della rappresentanza a tutto quello che invece è iniziativa diretta, assunzione personale e collettiva (ma riconoscibile) di responsabilità, azione immediata, dibattito pubblico, e non invece costruzione di un circuito interno e separato dove le logiche dei "pacchetti azionari" delle correnti o delle associazioni o dei piccoli gruppi di potere o della diatriba ideologica finirebbero per prevalere.

Le "liste verdi", insomma, servono come imbuto per portare i verdi nelle istituzioni e per moltiplicare la loro incidenza nella società, ma non si deve autonomizzare e enfatizzare l'imbuto a danno della sostanza. Anche perché i verdi, non volendo tessere o partiti, non saprebbero mai indicare con certezza il limite tra il "noi" e il "loro": tanto vale rileggittimare il "noi" di volta in volta, con persone e iniziative anche nuove, e senza impigrirsi su quel rassicurante pezzetto di rappresentanza che il voto verde 14/15 giugno ci ha dato in carico e di cui sentiamo la responsabilità e la gioia.

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