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Claus Gatterer: in lotta contro Roma

1.2.1994, ed.Praxis3 Bz
Introduzione alla traduzione italiana di "Im Kampf gegen Rom" pubblicato dalla casa editrice bolzanina Praxis 3 con il titolo "In lotta contro Roma", febbraio 94

Deve dare un'impressione ben singolare leggere (o rileggere) questo libro di Claus Gatterer oggi, nel bel mezzo del furore etnico e leghista che scuote larghe parti d'Europa! Un autore sudtirolese che esamina i molti e diversi fronti di una lotta contro Roma, portata avanti in nome delle diversità da salvaguardare, delle autonomie da conquistare, della democrazia da arricchire attraverso l'autogoverno locale - e che, in questa sua ricerca, alza decisamente gli occhi sopra il bordo del proprio piatto particolare.

Ai sudtirolesi - che lo leggevano poco, avendo lui scelto una nuova patria geografica e ideologica negli ambienti della Vienna socialdemocratica - Gatterer svelava una verità semplice, ma spesso disattesa. Spiegava in sostanza che il fascismo italiano non era stato inventato e praticato apposta per tormentare i sudtirolesi, e che l'eredità statalista e centralista dello Stato italiano nelle sue molte incarnazioni, da quelle più borboniche a quelle napoleoniche e giacobine, da quelle nere o bianche a quelle rosse o tricolorate, non limitava le aspirazioni soltanto altoatesine. E che quindi non era un obiettivo per così dire locale e particolare dei sudtirolesi impegnarsi contro il fascismo (e non solo quello italiano!) e di battersi per la democrazia, le autonomie, i diritti. Gatterer individuava filoni variegati, e tutti minoritari, di autonomismo democratico, e sollevava un interrogativo da sempre penoso per molti dirigenti politici sudtirolesi: perchè nella difesa della causa sudtirolese essi si comportavano un po' come la gerarchia cattolica nelle sue relazioni con lo Stato? Perchè puntare tutto su un Concordato, che certamente poteva assicurare diritti e magari anche privilegi, ma restava nell'ambito della trattativa diplomatica tra potenze, lasciando tutte le altre minoranze al rango di "culti ammessi" ed esigendo dai propri fedeli di farsi rappresentare in blocco, annullando molti loro diritti individuali? Perché preoccuparsi solo di garantire e difendere i diritti e la sfera di potere della propria parte, senza mirare ad un più generale progresso della democrazia, favorevole anche ad altri? Gatterer, in fondo, aveva sempre invitato i sudtirolesi a non mettere la loro luce sotto il moggio, per quanto modesta e limitata potesse essere, ma di farla risplendere nel concerto di una più ampia illuminazione democratica ed autonomista.

Così la lezione di Gatterer ai sudtirolesi era un costante impulso a non considerarsi un caso talmente speciale e sui generis da non essere comparabile ed analizzabile con categorie più universali. Da qui poteva discendere, per chi avesse avuto orecchi per intendere, una ben diversa ricerca di alleati e di sostenitori democratici, nel panorama italiano: Gatterer avrebbe senz'altro preferito e ritenuto più confacente che i sudtirolesi in Italia non si facessero percepire semplicemente come protettorato o austriaco o democristiano-trentino, ma come parte di un più largo movimento autonomista e democratico, legando più strettamente le sorti della loro condizione a quelle delle minoranze in tutta la Repubblica. In questo senso Gatterer esigeva dai sudtirolesi - un po' come fece "die brücke", la rivista del dissenso democratico altoatesino negli anni '60 - che si impegnassero anche sul fronte del decentramento e del regionalismo in Italia, dove proprio nel corso degli anni '60 si lottava per quella che poi sarebbe divenuta la tardiva e maldestra attuazione di una Costituzione repubblicana che aveva prefigurato uno Stato con delle Regioni serie e forti.

Agli italiani - che salvo rarissime eccezioni non lo leggevano affatto - Gatterer avrebbe avuto altre lezioni da impartire. Innanzitutto un invito a conoscere le numerose e variegate minoranze sul territorio della Repubblica, a non considerarle come molesto impiccio o penoso grattacapo, bensì come una vera ricchezza ed una risorsa "nazionale". Molto del diffuso fastidio sudtirolese verso la plateale ignoranza italiana nei confronti delle etnie minoritarie traspare anche in Gatterer. Talmente volgari e falsi erano gli stereotipi correnti che provenivano allora da pulpiti anche autorevoli che la semplice conoscenza di un minimo di storia dei sudtirolesi o di altre comunità minoritarie appariva già come una conquista. Andava per la maggiore e veniva tranquillamente propalato l'argomento che chi non voleva sentirsi italiano, poteva sempre scegliere di andarsene oltre il Brennero (argomento che ripeteva inconsciamente proprio ciò che era stato pattuito tra Mussolini e Hitler, a proposito dei sudtirolesi), ed i luoghi comuni della cultura fascista - per la quale gli altoatesini erano in fondo dei latini da recuperare al loro vero "status quo ante" - facevano largamente opinione. Gatterer avrebbe invece voluto che gli italiani fossero fieri di una eredità storica che aveva permesso (magari grazie alle maglie larghe della trascuratezza statale e dell'oblio amministrativo) a numerose comunità etno-linguistiche minoritarie di sopravvivere nei secoli: dagli arbresh e dai grecanici nel Meridione ai franco-provenzali o ai mocheno-cimbri nel Settentrione. Avrebbe desiderato che la parte migliore e più seriamente riformista del Paese accogliesse nel suo patrimonio culturale-politico e nelle sue rivendicazioni la questione delle minoranze e delle autonomie. Avrebbe augurato agli italiani una coscienza meno nazionale e più repubblicana, meno statale e più locale; l'avrebbe augurata soprattutto a quelle forze politiche che per lui incarnavano gran parte della gente (popolari e socialisti, nell'accezione austriaca, dove i comunisti italiani potevano ancora rientrare) e nelle quali lamentava una deplorevole cecità a questo proposito, a dispetto di alcune loro migliori tradizioni, alle quali Gatterer tentava di richiamarle. Non a caso egli valorizzava, viceversa, le componenti democratiche e culturalmente solide dei diversi autonomismi, distinguendo - nei fatti - le correnti puramente etno-corporative da quelle con un patrimonio di valori più ampiamente generalizzabile. E pur facendo lo storico, non il moralista, e non piegando la storia a semplice supporto di una tesi da dimostrare, l'esame che Gatterer compie dell'articolata battaglia contro Roma (ricordando che quella dei tirolesi nel passato si era rivolta anche contro Vienna) rivela proprio questi tratti: una sorta di inventario dell'autonomismo, un campionario delle buone ragioni locali, etno-linguistiche e democratiche contro l'omologazione forzata e la riduzione a periferia, a provincia da governare dal centro, con ampio ricorso a prefetti, questori, funzionari, spie e militari.

Per la cultura democratica italiana che - salvo poche eccezioni - ignorava Gatterer, qualche lezione poteva essere capita prima e qualche errore evitato, se si fosse studiato a suo tempo "Im Kampf gegen Rom", che invece dai più fu percepito al massimo come uno dei tanti libri austriaci che si pubblicavano in appoggio alla causa sudtirolese: alla stregua dei volumi dei Ritschel o degli Huter, cui si contrapponevano, da parte italiana, le opere dei vari Toscano o Cajoli.

Oggi, in tempi - come si diceva - di furore etnico e leghista, in cui l'appello alle identità differenziate spesso fa da trampolino a rivendicazioni di spostamento o moltiplicazione delle frontiere, ci si può interrogare se l'approccio di Gatterer abbia perso valore o credibilità, e valga dunque solo come riferimento storico, per capire come eravamo e perchè le cose andarono come andarono, o se viceversa possa ancora fornire spunti ed ispirazione valida.

Al di là delle singole situazioni prese in considerazione, forse oggi al lettore italiano il libro di Gatterer può servire proprio a questo: fargli capire l'incredulo stupore dell'osservatore estraneo, ma simpatizzante, che si interroga come mai un Paese così ricco di diversità e di tradizioni democratiche locali (comunali, regionali, ecc.) abbia potuto accettare - seppure a fini di unificazione e di promozione nazionale - una così diffusa reductio ad unum, una così sorprendente rinuncia a far sentire cento voci e far fiorire cento fiori. E fargli intravvedere quanto impoverimento della cultura democratica di un Paese può derivare dall'ignoranza o dalla sottovalutazione di quella parte del proprio patrimonio genetico o comunque acquisito che consiste nell'autonomismo, nel pluralismo linguistico e culturale (e magari religioso), nella stessa sapienza dei campanili spesso ingiustamente vituperati e disprezzati.

Forse ci si sarebbe potuta risparmiare qualche dispendiosa ed ancora non del tutto calcolabile esagerazione del pendolo anti-centralista, anti-statale ed anti-unitario, se si fosse capita e seguita in tempo la lezione dei diversi maestri - che anche in Italia non mancavano - regionalisti, autonomisti, federalisti. Gatterer, ovviamente, tale maestro non avrebbe mai potuto essere per l'Italia, ma permette comunque agli italiani di guardarsi con occhi diversi da quelli scontati e conosciuti, e di leggere in controluce non solo alcuni capitoli del loro difficile rapporto con i sudtirolesi, ma con tutti quelli che rivendicano e praticano il diritto alla diversità ed all'autogoverno locale.

Introduzione alla traduzione italiana di "Im Kampf gegen Rom" pubblicato dalla casa editrice bolzanina Praxis 3 con il titolo "In lotta contro Roma", febbraio 94
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