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Reinhold Messner: Heimat e tradimento

24.2.1982, Da "Tandem", 24 febbraio 1982
"Finché faccio la scimmia che abilmente arrampica, mi spetta quasi l'ammirazione dovuta ad un eroe nazionale, ma non appena mi permetto di esprimere opinioni e convinzioni anche sul vivere sociale, sulla politica, da cittadino pensante, mi si da addosso",

dice Reinhold Messner, considerato da tutti oggi il più grande alpinista del nostro tempo. "Ma io con la polemica sul "tradimento dei sudtirolesi" al momento delle opzioni del I939 credo di aver reso alla comune patria un servizio più grande che non con tanta pubblicità che magari si e trasformata in flusso turistico, e ne sono con- tento. Anche se mi e toccato il ruolo ingrato del capro espiatorio. Forse qualcuno vorrebbe che io me ne andassi dal Sudtirolo, ma lo faro solo se mi bruciano la casa o se mi cacciano con la violenza. Ho pero fiducia verso lo spirito di tolleranza della gente: questo non succederà mai". Reinhold Messner, che siamo riandati a trovare nella sua casa in cima alla Valle Villnöss (Funes), tra un ritorno dal- l'Inghilterra ed una partenza per l'Australia, ha passato contro ogni sua previsione un "inverno molto sudtirolese": e stato costretto dagli eventi ad occuparsi delle vicende della sua terra e della sua gente molto più di quanto non avesse mai fatto o pensato di fare in passato. Tutta colpa di quella mezza frase detta in Tv, in un servizio della RAI di Piero Agostini e Georg Schedereit, trasmesso sul primo canale in ottobre; era un'inchiesta sulla convivenza in Alto Adige, molto criticata, per lo spazio dato ad ipotesi assurde come quelle del sociologo Acquaviva, teorico della "spartizione" ancora più rigida della gente e del territorio sudtirolese, ma anche apprezzata per le voci originali che si sono sentite. Tra queste, appunto, lo scalatore Reinhold Messner, che se l'era presa con il continuo abuso del mito di "Heimat", della propria terra patria, che in bocca sudtirolese ufficiale ed ufficiosa viene fatto, "da parte di un popolo che come nessun altro, ha anche tradito la propria "Heimat", quando nel 1939 a stragrande maggioranza aveva optato per la Germania, disponendosi a lasciare la propria terra". Da quel momento in poi Messner non aveva più avuto pace, anche se molte polemiche le ha captate solo a distanza, visto che da mesi stava in giro per il mondo, lontano da casa. Il "Dolomiten", con il suo neo-direttore Josef Rampold, reduce della "Wehrmacht" e fustigatore dei costumi e delle convinzioni sudtirolesi, dieci giorni dopo la fatidica trasmissione aveva scatenato, ai primi di novembre, l'indignazione "popolare" sapientemente raccolta, ordinata e distillata in forme di lettere al giornale. "Non i tirolesi hanno tradito la patria, bensì Messner e un traditore del Sudtirolo, con queste sue opinioni stravaganti ed autolesioniste", era il tono generale delle reazioni pilotate dal quotidiano dell'Athesia. Non solo: in molte lettere, fedele eco del giornale su cui usci- vano, si metteva in dubbio la facolta di raziocinio di Messner: "Forse l'aria sottile degli 8.000 metri senza apparecchio di ossigeno ti ha guastato il cervello". Anche gli insulti più o meno pesanti e soprattutto i richiami al dovere di ogni sud-tirolese alla compattezza etnica ed ideologica si sprecavano, con più di un sottofondo nazista nei sostenitori indefessi delle opzioni pro-germaniche di allora. Reinhold Messner non ha mai dimenticato che l'opzione di moltissimi sudtirolesi per la Germania fu soprattutto una reazione all'oppressione fascista, e lo dice a chiare lettere, ma secondo lui un popolo non deve comunque mai lasciare la propria terra, qualunque regime tirannico sarà sempre transitorio rispetto alla vita di un popolo e del suo paese. E per poter sostenere le sue ragioni pubblicamente, aveva chiesto a Rampold, direttore del "Dolomiten", un pubblico contraddittorio o un'intervista su quel quotidiano: proposta respinta. Fu a quel punto che la RAI, con il Sender Bozen, si era offerta come sede di sfida e di confronto: una tavola rotonda con Messner, Rampold e l'ex senatore Volgger, trasmessa alla fine di gennaio, e stata seguita da decine di migliaia di sudtirolesi, che con grande attenzione e in una chiave forse mai prima ascoltata sentivano Rampold difendere gli optanti ed i sudtirolesi soldati di Hitler in Russia o in Finlandia, e Messner chiedere una presa di coscienza ed autocritica collettiva per la follia di allora, quando propagandisti nazisti in tre mesi riuscirono a far cambiare parere alla stragrande maggioranza dei sudtirolesi, mettendo al primo posto la scelta di un "gerrnanesimo" lontano e bellicoso ed accettando in cambio l'abbandono della propria terra al regime fascista (forse con la speranza di una successiva riconquista germanico-nazista, per molti)... Quella "Vergangenheitsbewältigung ", la rielaborazione autocritica del passato nazista o fascista, che in Italia si era realizzata in qualche modo con la resistenza antifascista ed in Germania rappresentava il più grande sforzo intellettuale collettivo dopo la seconda guerra, nel Sudtirolo non era mai stata compiuta. Ora che un personaggio famoso come Messner, finora stimato per le sue imprese e capacita eccezionali, pretende dai suoi concittadini di rendersi conto di un passato assai pesante che non può essere letto soltanto in chiave vittimistica (i sudtirolesi oppressi e venduti da Mussolini e Hitler), la reazione di molti e soprattutto dell'apparato ufficiale e di dichiararlo nemico, metterlo al bando, sottoporlo qua- si a perizia psichiatrica. Gli stessi ambienti che in Germania o in Austria rinfacciano ai vari Kreisky e Brandt, Thomas Mann e Brecht, di essere (individualmente!) emigrati sotto il nazismo e, del resto, lo facevano per poter continuare a combatterlo difendono a spada tratta la scelta dolorosa e suicida di oltre 40 anni fa, pur di non mettere in dubbio il sistema di valori di allora e di oggi, e la continuità che per certi versi unisce questi sistemi di valore. Reinhold Messner non e dispiaciuto di aver suscitato tanto pandemonio, di essere finito alla gogna del "Dolomiten". Ha ricevuto anche molte lettere e telefonate incoraggianti, e sa di non essere solo. Non intende tornare al ruolo dello scalatore "puro" che si disinteressa di tutto quanto avviene laggiù nelle valli, nelle città. Ha segnato il suo dissenso persino in una scadenza come il censimento: lui si e dichiarato "tedesco, italiano e inglese", "perché sono queste le lingue che parlo e nelle quali mi sento a casa; mi stupisce solo il fatto che si sia subito potuto sapere in giro, visto che dovrebbe essere segreto". Ed è molto contento del successo che ha avuto nel suo recente giro di conferenze in Italia: "Mai vissuta una c osa del genere. Migliaia e migliaia di persone che mi seguivano a Torino, a Roma, a Milano con entusiasmo, ma non perché raccontavo delle scalate; avrei potuto parlare persino di una comunissima passeggiata sui prati sudtirolesi, ma ci univa un comune discorso sulla natura, sull'ecologia, persino sull'impegno umano e civile. Ne sono rimasto molto colpito".


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