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"Il conflitto etnico "ben temperato" "

1.1.1986, da: Etnicità e potere, a cura di P. Chiozzi, cluep editore, 1986.
Flash storico: Il Sudtirolo (Alto Adige, provincia di Bolzano) è stato territorio austriaco ed asburgico per circa sei secoli.

Abitato prevalentemente da popolazioni di lingua tedesca e ladina, parte del Tirolo storico, e come tale elemento integrante di un'entità plurilingue. Al termine della prima guerra mondiale fu annesso, contro la volontà della popolazione, all'Italia. Questo fatto, nel corso degli 60 anni trascorsi da allora, comportò numerose e profonde modificazioni: l'immigrazione - favorita e promossa dallo Stato italiano - di una consistente popolazione di lingua italiana (oggi un terzo scarso degli abitanti della provincia), l'industrializzazione del fondovalle, la trasformazione in "minoranza nazionale" della popolazione tirolese originaria, il manifestarsi del fascismo italiano anche ed in particolare come oppressione snazionalizzatrice, l'identificazione relativamente forte dei sudtirolesi con il nazionalsocialismo (anche come reazione "tedesca" al fascismo!), la rinnovata appartenenza allo Stato italiano anche dopo il 1945, ma questa volta con un trattato internazionale tra Austria ed Italia che vincolava quest'ultima ad una maggiore tutela delle minoranze ed alla concessione di una speciale autonomia (1946; accordo De Gasperi-Gruber).

Il primo assetto autonomistico del 1948 fu sentito dai sudtirolesi come gravemente insufficiente, una lunga lotta (a tratti anche violenta) - organizzata dalla S.V.P. (partito popolare sudtirolese) - portò una ampia riforma dell'autonomia che venne territorialmente circoscritta al Sudtirolo ed arricchita di molte nuove competenze. Il c.d. "pacchetto per l'Alto Adige" fu varato dal Parlamento italiano alla fine del 1971, si trova tuttora in fase di lenta attuazione, prevede (anche in virtù di due risoluzioni ONU) una certa compartecipazione dell'Austria alla composizione della controversia e vede all'opera - ormai da anni - delle Commissioni paritetiche italo-sudtirolesi che, al riparo di ogni controllo parlamentare, elaborano i decreti con i quali si attuano le misure speciali concernenti l'autonomia sudtirolese. Tali "norme di attuazione dello statuto di autonomia", emanate dal governo italiano con forza di legge, ai fini della vita quotidiana nel Sudtirolo rivestono spesso una maggiore rilevanza che non le stesse norme statutarie, di rango costituzionale; esse comportano una quantità di regolamentazioni etniche (scuola, uso delle lingue, riserva etnica dei posti del pubblico impiego, rappresentanza di interessi etnici in giudizio, ecc.).

Il conflitto etnico

Negli ultimi anni si è registrata non una diminuzione, bensì un certo aumento di tensione etnica, malgrado fosse stata ampliata l'autonomia sudtirolese attraverso il c.d. "pacchetto" (in vigore dal 1972) e realizzati sensibili miglioramenti dei diritti linguistici e minoritari in genere in favore della popolazione di lingua tedesca e ladina. Alla fine degli anni '50 e fino ad oltre la metà degli anni '60 vi fu una serie di attentati ed atti violenti fino alla conclusione del "pacchetto", mentre oggi il conflitto etnico si manifesta in genere in forme più sottili. Ma il latente o palese contrasto etnico è la nota dominante di tutti i processi anche sociali e culturali che si sviluppano nel Sudtirolo. La dialettica etnica si rivela - nonostante, o forse invece proprio a causa di alcuni congegni del "pacchetto" - una dinamica apparentemente onnicomprensiva cui ogni altro elemento o impulso finisce per subordinarsi. Si può parlare di un etnocentrismo che caratterizza i rapporti tra i gruppi etnici e la loro situazione interna, seppure per ora in forme ed in misura differenziata ma sensibile. È prevedibile che il perdurare e l'intensificarsi del conflitto etnico tenda ad evidenziare forme sempre più analoghe - ma ovviamente concorrenti - di etnocentrismo tra le due maggiori comunità (quella di lingua tedesca ed italiana).

Se ci si chiede come mai nonostante la soluzione del "pacchetto", congegnata - si sosteneva - per disinnescare la conflittualità etnica, questa medesima conflittualità si sia acuita, si devono analizzare alcuni assai particolari i ben studiati meccanismi di difesa etnica, trasformatisi in fonti di potere etnico che sono stati concordati tra governo italiano e partito popolare sudtirolese (SVP) e che in parte sono stati via via perfezionati ed enfatizzati ben oltre le originarie intenzioni (perlomeno dichiarate).

Sulla base della considerazione - giustissima - che una minoranza, che per sua essenza non può aspirare a diventare maggioranza (come è appunto il caso delle minoranze etno-nazionali o religiose), ha bisogno di una particolare tutela ed autonomia, la minoranza tirolese di lingua tedesca chiese ed ottenne - quasi a mo' di risarcimento per la mancata autodecisione - un ordinamento che la metteva almeno settorialmente nelle condizioni di essere maggioranza, sul proprio territorio. In tal modo, viceversa, la comunità di lingua italiana divenne minoritaria a livello provinciale. Sia il gruppo tedesco che quello italiano, dunque, vivono al tempo stesso una condizione di maggioranza ed una minoranza, a secondo del quadro di riferimento; solo i ladini sono in ogni caso e soltanto minoranza, eccetto nei propri Comuni.

La cosiddetta "proporzionale etnica"

In numerosissimi ambiti della vita pubblica altoatesina si è venuto affermando, anche in sede normativa, uno specilissimo "principio regolativo", quello della c.d. proporzionale etnica. Si tratta di un sistema di quote, di contingenti etnici nella ripartizione di cariche ed uffici, posti di lavoro e prestazioni sociali, case, borse di studio, contributi, ecc.

Visto in astratto, tale principio serve a riparare ai torti precedenti (in danno della comunità di lingua tedesca) e dovrebbe garantire un sistema di giudizia distributiva assoluta (a prescindere agli attriti della fase transitoria). In realtà però tale principio tende soprattutto - per sua natura - a consolidare e perpetuare la conflittualità etnica, quando non addirittura a crearla dove precedentemente non esisteva e non si manifestava.

La SVP, il partito di raccolta del potere etnico

Sino a quando la SVP (il partito popolare sudtirolese) rappresentava come principale rivendicazione della popolazione sudtirolese l'istanza autonomistica, la sua conflittualità era tutta indirizzata contro la Stato centrale italiano. In tal senso la questione sudtirolese si presentava soprattutto come conflitto tra una minoranza etno-nazionale e lo Stato. La legittimazione della SVP come partito di raccolta e di rappresentanza unitaria dei tirolesi di lingua tedesca e ladina (con un'adesione intorno al 95%, allora; e che ancora oggi si aggira intorno all'85%) derivava e si rinnovava direttamente alimentandosi dal conflitto con lo Stato.

Da quando tuttavia l'obiettivo autonomistico è in gran parte raggiunto, l'ex partito di raccolta etnica si è progressivamente trasformato in un apparato di potere e di governo, che è sottoposto alle normali tensioni ed ipoteche che risultano dal composito giuoco degli interessi ed intenti economici, sociali, culturali e politici.

Per poter mantenere il proprio ruolo di rappresentanza totalitaria dei sudtirolesi di lingua tedesca (e ladina), questo partito si è sempre più trasformato, da "partito dell'autonomia" in "partito della proporzionale etnica": il conflitto etnico non più e non tanto nei confronti dello Stato, quanto tra i gruppi etnici all'interno della provincia autonoma; un conflitto che può essere evocato efficientemente in ogni occasione di spartizione di opportunità, di mezzi e di potere, e che fornisce a questo partito una nuova legittimazione etnica, al posto dell'ormai assai circoscritto contenzioso verso lo Stato centrale.

Così il Sudtirolo offre l'esempio di un esercizio del potere che agisce - o perlomeno asserisce di agire - in ogni momento in nome di premesse e criteri di tipo etnico, riuscendo ad indicare nel conflitto etnico interno (rispetto al gruppo italiano) ed esterno (verso lo Stato) la contraddizione prevalente o facendola diventare tale, anche dove non lo è affatto.

Due sono gli elementi essenziali che tengono in vita questo meccanismo:

1. La continua evocazione del pericolo (reale e/o immaginario) che minaccia la comunità tirolese. Quando manchino i pericoli reali a questo scopo si possono utilizzare ottimamente dei conflitti e delle controversie ad alto valore simbolico (p. es. questioni di toponomastica, di denominazioni in genere, di bandiera, ecc.); ogni occasione o pretesto di contrapposizione etnica e chiusura a blocco viene colta, enfatizzata ed addirittura ricercata. L'obbligo di iscrizione nominativa in uno dei tre gruppi linguistici, decretato nel 1981, era finora la più ampia e penetrante di queste occasioni.

2. Un numero più ampio possibile degli appartenenti al gruppo etnico deve poter fare l'esperienza che "conviene" accettare il corporativismo etnico; che in nome delle rivendicazioni etniche si riesce ad ottenere di più che non in nome di istanze p. es. sociali. Se dunque gli operai di lingua tedesca si rendono conto - o almeno lo credono - che le conquiste etniche anche in tema di lavoro, casa, salario ecc. risultano più vantaggiose che non le lotte e conquiste sociali, continueranno, nella loro maggioranza, a sostenere il potere etnico, sperando caso mai che la mancata redistribuzione sociale venga equilibrata e compensata da uno spostamento etnico di risorse a vantaggio anche dei ceti più deboli (ecco il funzionamento della "proporzionale etnica").

Nella comunità italiana si nota un progressivo scivolamento verso la stessa dinamica, e nella attuale lotta per la salvaguardia dei posti di lavoro nelle fabbriche (italiane) della zona industriale di Bolzano si invocano sempre più apertamente, anche da parte sindacale, ragioni etniche (pro-italiane).

Per non scendere nei dettagli della quotidiana conflittualità sulla casa, il pubblico impiego ed altri aspetti della vita sociale regolati dalla "proporzionale etnica" che ha precedenza (anche legale) sulla qualificazione ed il bisogno.

Il conflitto etnico "ben temporato"

Una della conseguenze (ed assai probabilmente, al tempo stesso, il vero obiettivo) di questo modello di potere così fortemente canalizzato in senso etnico, nel quale anche la partecipazione politica e la stessa distribuzione di cariche di governo avviene in chiave etnica che ha la priorità sui criteri di rappresentanza politica, è il perdurare del predominio sostenzialmente incontrastabile della SVP, ma anche i toni via via più nazionalistici dei "partiti italiani" che ormai a loro volta invocano a propria legittimazione soprattutto la difesa degli interessi "italiani", a titolo etnico. Solo una tradizione politica più differenziata ed articolata, e la necessità di non perdere i collegamenti con la realtà nazionale italiana, impediscono per ora che si realizzi compiutamente anche sul versante italiano un partito di raccolta etnica, e non c'è da stupirsi troppo se i tentativi inter-etnici di comunisti e socialisti sono sostanzialmente falliti: in fondo il potere politico del Sudtirolo è organizzato in modo tale da postulare il "partito etnico" come elemento immanente del sistema. Persino nel terzo gruppo etnico, quello ladino, oggi si registrano sensibili tendenze verso un'autonoma rappresentanza etnico-politica.

Visto che il partito etnico per eccellenza è la "Südtiroler Volkspartei", e che il suo potere si fonda essenzialmente sul conflitto etnico, e visto che tale modello esercita il suo fascino ormai anche in campo italiano, non ci si può attendere che da quelle forze venga un impulso a modificare il sistema.

Il quale presenta, tuttavia, un inconvienente intrinseco: così come il potere etnico sin qui descritto verrebbe messo in crisi dall'allentamento della tensione etnica - obiettivo perseguito dalle forze del c.d. "altro Sudtirolo" che si battono per il superamento di molte barriere etniche - esso correrebbe pericoli anche da un'eccessiva acutizzazione del conflitto etnico, che finirebbe per mettere in forse il potere e l'autonomia finora aquisiti. Una ritrasformazione della SVP da partito dominante e di governo in battagliero partito della minoranza etnica in lotta contro lo Stato pare difficilmente immaginabile e non potrebbe avvenire senza profonde crisi. Analogo ragionamento varrebbe per l'ipotesi di un abbandono in massa dei partiti italiani nazionali, da parte della loro base italiana, in favore di una sorta di formazione etnica italiana localistica (un "melone" tricolore di triestina memoria).

"L'attuale ordinamento autonomistico - per dirla con il prof. Anton Pelinka dell'Università di Innsbruck - comporta che le forze dominanti debbano essere interessate al mantenimento del conflitto etnico non deve né perdere la sua importanza, né uscire dal controllo di queste forze".

Contro-tendenze

Oggi sembra che la tranquilla perpetuazione del modello di potere etnico basato sulla persistenza di una conflittualità etnica né troppo bassa, né troppo alta, sia messa in forse da una radicalizzazione che negli ultimi recenti anni e mesi è stata sotto gli occhi di tutti gli osservatori locali ed esterni. D'altra parte sembra inevitabile che un modello basato sulla conflittualità etnica immanente non possa sempre contenerne le spinte, tanto più che i contrasti etnici (e religiosi) sono quanto di più incontrollabile e coinvolgente si possa immaginare.

Tuttavia si sono anche rafforzate delle tendenze contrarie alla permanente contrapposizione e mobilitazione etnica; c'è chi lavora per superare il senso di reciproca minaccia e pressione e tra i gruppi etnici e tenta di affermare obiettivi, temi ed iniziative comuni, al di là dei confini dei gruppi stessi e cercando di affermare dialettiche anche diverse da quella etnica. Sostanzialmente si tratta di quell'"altro Sudtirolo" che - rappresentato anche sulla scena politica - si batte per l'affermazione positiva di un modello di convivenza pluri-etnica e pluri-culturale, pur mantenendo l'identità delle tre comunità linguistiche esistenti.

In questa prospettiva è evidente il forte peso che va attribuito al bilinguismo, inteso come conoscenza almeno passivo, ma possibilmente anche attiva dell'altra lingua (tedesca o italiana) e quindi come strumento attivo di convivenza, di segno di disponibilità da una cultura della convivenza.

Il potere istituzionalizzato nel Sud-Tirolo
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