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Un catalogo di virtù verdi
30.8.1987, Da "Il margine", intervento tenuto a Brentonico (Trento), nell'ambito del convegno Il politico e le virtù organizzato da "La Rosa Bianca" dal 27 al 30 agosto 1987.
Vorrei individuare senza alcuna pretesa di completezza alcune delle possibili virtù "verdi" che possono avere un loro peso anche nell'etica politica. La prima di queste virtù che voglio richiamare è la consapevolezza del limite. Sicuramente da questo punto di vista la presa di coscienza verde tende anche ad invertire un paradigma culturale egemone almeno negli ultimi due-tre secoli nel corso dei quali si e affermata per ragioni economiche ma anche per ragioni culturali la linea del "tutto quello che si può fare, si fa". E, anzi, si cerca di superare il limite e cioè "quello che ancora non si può fare, si fa in modo che tra un po' lo si possa fare". Da questo punto di vista la logica del continuo accrescimento, questa logica a spirale espansionistica ("produrre di più, consumare di più, dominare di più, controllare di più, regolamentare di più") e una logica che e oggi sicuramente in crisi e non solo perché le risorse ad un certo momento si mostrano finite e quindi limitate. Il riconoscimento del limite non e quindi solo dire "non mangiamo tutto oggi perché sennò domani non ne avremo più" ma piuttosto vuol dire: "forse è meglio non fare certe cose che oggi sono già fattibili ma che non siamo assolutamente in grado di dominare, e forse neanche di prevederne le conseguenze". Pensiamo per esempio alla quantità di sperimentazioni e di manipolazioni genetiche (e non solo su ani- mali) che oggi già sono possibili. Già oggi in America, in virtù di una clamorosa sentenza della Corte Suprema, si brevettano animali. Brevettare un animale costruito in laboratorio secondo le presunte esigenze (ad esempio molta carne e niente ossa, molta carne e poco grasso o una crescita precoce ecc.) e quindi un tipo di intervento oggi tecnicamente possibile. Credo pero che una virtù "verde" da questo punto di vista per la quale io veramente rivendicherei il carattere di virtù e quella della auto-limitazione e in particolare della rinuncia a tutto ciò che in qualche modo provoca conseguenze irreversibili generali. Oggi molte delle scelte che si compiono, e non solo nel campo della manipolazione genetica, ma anche in ambiti apparentemente più modesti come la costruzione di strade o il coprire chilometri quadrati di cemento, sono scelte che appaiono in larga misura anche se non totalmente irreversibili. In questo senso, forse, la virtù dell'auto-limitazione (insisto sul concetto di auto-limitazione che credo più virtuosa della limitazione subita per pressione) e probabilmente anche un atteggiamento di maggiore modestia rispetto alla possibile onnipotenza che oggi l'umanità o almeno una parte di essa riuscirebbe a dispiegare significano rivalutare un obiettivo che sicuramente tutti hanno un po' sottovalutato e cioè l'equilibrio. Noi oggi parliamo spesso di ripristino di equilibrio e dove questo non e possibile chiediamo di non aggravare per lo meno le condizioni di degrado. Probabilmente noi oggi, dal punto di vista ecologico, soprattutto in certe parti del globo e anche in certe parti del nostro paese, ci troviamo in condizioni di mutilazione ambientale e dobbiamo imparare a convivere con delle mutilazioni. Ma si può dire che in un certo senso assumiamo un atteggiamento abbastanza simile a quello della tossicodipendenza o dell'alcolista. Il tossicodipendente, o l'alcolista, sa benissimo che bere, fumare, prendere sostanze varie, gli fa male. Egli sa anche prevedere grosso modo entro quanto tempo certe conseguenze si manifesteranno, però non riesce a smettere perché e profondamente parte di un circolo vizioso. Da questo particolare punto di vista credo che una delle virtù "verdi" praticabili possa essere quella del pentimento, dove per pentimento intendo l'atteggiamento di chi ha sperimentato l'eccesso, la trasgressione, la violazione e se ne rende conto e non ha lo stesso atteggiamento di innocenza di chi non ha mai peccato.Da questo punto di vista la nostra civiltà (in particolare l'Europa, l'America, il Giappone, l'industrialismo trionfante e imperante oggi) non può far finta semplicemente di tornare alla natura e sicuramente non può neanche arrestare di colpo la logica di sviluppo e di crescita. Questo lo possono fare singole persone o comunità e lo fanno anche compiendo scelte molto rigorose di vita più conformi ad un rapporto misurato ed equilibrato con la natura, ma sicuramente non e pensabile un arresto in blocco ed immediato di tutto il nostro sistema produttivo, di consumi, di traffico, di organizzazione sociale. Ma e possibile forse un atterraggio morbido, rispetto al quale c'è molto da lavorare. Questo atteggiamento che chiamavo di pentimento, o forse di tendenziale conversione ecologica e sicuramente una virtù "verde" importante. La conversione non e solo un termine spirituale (lo e sicuramente in modo molto forte) ma e anche un termine produttivo, un termine economico. Riconvertire o convertire la nostra economia, la nostra organizzazione sociale verso rapporti di maggiore compatibilità ecologica e di maggiore compatibilità sociale, di minore ingiustizia, di minore divaricazione sociale, di minore distanza tra privilegi da una parte e privazioni dall'altra e certamente una virtù "verde". Un'altra virtù "verde" che vorrei richiamare e l'obiezione di coscienza. Lo faccio con particolare convinzione ed emozione in un ambiente che si richiama alla "Rosa Bianca". E la capacita di dire di no al potere (e non solo al governo, ai carabinieri, al ministero della Difesa che manda la cartolina di precetto o ad altre cose del genere), ma anche la capacita di obiezione anti-consumistica, di obiezione al conformismo televisivo, di obiezione di parte di operai o tecnici alla produzione di armi. Anche in Italia c'è stato qualche caso di operai o tecnici che hanno rifiutato di considerarsi solo un pezzetto di catena di montaggio, un pezzo di ingranaggio che non porta mai la responsabilità del sistema nel suo insieme. Con il ragionamento opposto si sono difesi, in ogni sistema criminale, tutti quelli che non erano al vertice, dicendo: "lo ero una rotella, non potevo influire sul meccanismo nel suo insieme". Sempre più oggi ci troviamo di fronte, per esperienza quotidiana di tanti, a dei meccanismi talmente perfezionati, talmente onnicomprensivi e totalitari che effettivamente non basta, secondo il mio giudizio e secondo la convinzione pratica di molti verdi, lottare perché cambi il sistema (cosa di cui non disconosceremo l'importanza fondamentale), ma occorre anche rifiutare di apportare il proprio contributo anche coattivo, anche estorto con la legge e a volte anche con la violenza un po' oltre la legge, che ci farebbe essere dei pezzetti di un ingranaggio. In questo senso sostengo, pur sapendo che è una lotta disperata, l'obiezione fiscale alle spese militari. Oggi ci sono un certo numero di persone io sono una di queste che ormai sono centinaia, che aspettano l'esecuzione giudiziaria del maltolto, cioè di quello che abbiamo in questo modo sottratto e destinato a progetti nel Terzo mondo o a progetti di elaborazione di modelli di difesa non violenta ecc. Accenno telegraficamente altri due aspetti di virtù (o meglio modi di pensare) che considero particolarmente importanti. Uno è privilegiare il valore d'uso al valore di scambio. Noi siamo oggi fortemente condizionati da un sistema talmente orientato al profitto e siamo talmente succubi di una logica meramente economica che ormai ogni cosa vale per quel che può dare sul mercato. Privilegiare il valore d'uso rispetto al valore di scambio può voler dire tante cose: dal riciclaggio delle cose già usate, fino al fatto di riconoscere un suo valore a tutto quello che usiamo, comprese quelle cose che sono ormai considerate alla stregua di merci, come l'acqua potabile o l'aria respirabile, che proprio la riduzione a puro valore di scambio (l'acqua per ora costa poco, l'acquedotto la fa pagare poco) fa si che si determinino effetti deleteri per cui ad esempio l'acqua si può anche lasciarla correre e buttarla via. Il secondo di questi modi di vedere che volevo richiamare che e un'applicazione di questa ipotesi, e la scelta di privilegiare la sussistenza rispetto al profitto, al mercato. Cosa vuol dire? Penso che su questo i verdi dovranno lavorare molto per vedere se esistono modelli praticabili anche in una società industrializzata, in cui l'economia sia principalmente funzionale alla sussistenza, cioè a campare, a vivere, con una qualità della vita probabilmente anche più frugale ma non per questo meno ricca di soddisfazione, invece che orienta- re tutto al mercato.
Oggi ormai noi abbiamo, in paesi come il nostro, zone abbastanza ridotte di economia di sussistenza. Certo in molte zone alpine, in molte zone del Meridione esistono ancora molte cose che non si comprano e che non si vendono: dal mutuo soccorso vicinale a molti prodotti dell'agricoltura all'assistenza alle persone malate o anziane. Sappiamo benissimo che la tendenza e di rendere tutto mercificato, di comprare tutto, di vendere tutto. Privilegiare la sussistenza rispetto al mercato vuol dire opporsi e in qualche modo cercare una riconversione rispetto a questa tendenza dominante. Per tentare ora una sintesi, vorrei sottoporvi una considerazione. Può darsi che dica una cosa arrischiata e ancora non abbastanza verificata, ma forse la quintessenza di quello che siamo abituati a chiamare progresso e a enfatizzare come progresso e la crescente capacita che grazie alla tecnica e alla scienza l'umanità, per lo meno quella industrializzata, ha raggiunto, di svincolare tra di loro, di allontanare il più possibile i costi dai benefici. Mi rendo conto che detto cosi e astratto e cercherò di spiegarlo. Oggi, per esempio, chi apre il rubinetto e fa venir fuori l'acqua ha i vantaggi dell'acqua potabile, ma tutto quello che c'è a monte e a valle, tutta l'economia idrica, tutto ciò che ci vuole perché abbiamo l'acqua e tutto ciò che succede con l'acqua dopo che l'abbiamo usata esce dal nostro orizzonte. Analogamente le manipolazioni genetiche rispetto agli ani- mali sono il tentativo di ricavare solo i vantaggi e di ridurre al minimo gli svantaggi. Più in generale, il nostro sistema capitalistico e industrialista ma questo vale anche laddove la gestione non e capitalistica (anche se talora in misura minore) ha raggiunto un'alta capacita di devolvere i costi su altri rispetto a coloro che ne ricavano i benefici. Su altri, nel senso di rimandare i nodi, di rimandare il pagamento in la, ad altre classi sociali, ad altre aree geografiche come il Sud, il Terzo mondo ecc., o anche molto più in la nel tempo, alle generazioni che verranno dopo. Qui nella nostra regione abbiamo oggi del- le zone, in cui i boschi tagliati a suo tempo dai veneziani per allestire le loro flotte per andare in Oriente, i disboscamenti di allora, mostrano ancor oggi i loro effetti dannosi, ma confrontati con i danni che facciamo noi oggi sono ancora piccolissima cosa. Questa e allora la scissione tra costi e benefici, benefici a noi e costi scaricati altrove. Tutti i nostri cicli economici ne so- no una riprova, mi pare, nel senso che il nostro sistema economico ha fittiziamente trasformato i costi in denaro, per cui il costo vero non risulta più da nessuna parte. Questo sistema di scissione e sicuramente molto difficile da modificare anche perché coinvolge la quota che ognuno di noi sa di avere a disposizione e spesso anche consuma. Se noi la moltiplicassimo per 5 miliardi, quanti siamo sulla terra, sicuramente il nostro standard energetico, cioè la nostra "spesa" energetica non in termini di soldi ma di energia non nostra che consumiamo, non basterebbe per tutti. Anche in questo caso c'è chi consuma troppo. L'idea di far arrivare tutti a uno standard energetico come il nostro e oggi chiaramente incompatibile, a meno di non voler disseminare di centrali nucleari il mondo. Da questo punto di vista, mi pare che ci sia una grande difficoltà (e questa si e una domanda politica) per trovare in qualche modo un luogo, una sede dove conciliare le ragioni ecologiche, le ragioni di sopravvivenza ecologica presente e futura anche con le ragioni della democrazia. La democrazia come la conosciamo oggi e la democrazia dei grandi consumatori di energia, e la democrazia di quelli con la pancia piena. Rispetto al resto del mondo e la democrazia di chi amministra la parte relativamente avvantaggiata della società e del pianeta, spesso con criteri di scarsissima responsabilità ecologica verso l'insieme del pianeta e dell'umanità. Credo allora che la dimensione nella quale si può in qualche modo ancora stabilire un nesso percepibile e quindi convincente per la gente tra le ragioni ecologiche e le nostre scelte non possa che essere una dimensione locale. Solo in una dimensione fortemente locale uno, per esempio, può anche dire: si io non inquino l'acqua non perché c'è il poliziotto che fa la multa, ma perché ci sono tutti gli altri che la devono usare e dopo di me verranno altri ancora. Solo in una dimensione comunitaria percepibile, non astratta, non finta, non puramente cartacea, non idealmente pensata, credo che una ragione ecologica e quindi una ragione che invita all'autolimitazione ed alla pratica di alcune virtù che prima avevo richiamato può essere convincente. Allora può affermarsi non perché c'è il dittatore ecologico illuminato che dice " tu devi bere poca acqua, devi usare poca corrente elettrica, devi usare poco la macchina, ti diamo il divieto di andare sulle strade forestali, mettiamo il carabiniere accanto ai funghi per controllare che tu non ne prenda troppi", ma per un libero convincimento. Una logica di pura amministrazione burocratica o autoritaria o repressiva delle risorse e del nostro equilibrio ecologico e sociale del pianeta e una logica che difficilmente può convincere per motivare. Da questo punto di vista credo che occorra una forte spinta etica in positivo, non solo la paura di non farcela a sopravvivere, ed anche una dimensione percepibile, una dimensione vivibile, entro la quale l'equilibrio ecologico ha un senso che un po' tutti possono condividere e verificare. Questo penso che abbia anche delle forti contro-indicazioni. Molto spesso la comunità locale può essere quella che dice "purché vengano i turisti, noi facciamo anche 7 sciovie e se c'è bisogno costruiamo anche un nuovo monte, perché il vecchio non basta più per la quantità di turisti che vorremmo ospitare". Non e che automaticamente la comunità locale, l'autonomia locale sia risolutiva, ma se non si trova un ambito entro il quale (come in una qualsiasi comunità percepibile reale) le autolimitazioni hanno un senso, cioè non sono soltanto la paura della multa o della pena o della repressione, il discorso non regge. Se non si trova una dimensione in cui la ragione ecologica possa coniugarsi con la democrazia, allora probabilmente le virtù di cui parlavo prima rischiano di essere un nobile e minoritario esercizio di ascesi ecologica, un nobile esercizio di solidarietà, ma un esercizio probabilmente con in grado di invertire la tendenza, o per lo meno di rallentare o arrestare il degrado, cosa che d'altra parte vorremmo tentare di fare.