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Segni dei tempi

1.11.1967, Die Brücke - 11//67 traduzione Donatella Trevisan

Chi voglia tentare oggi di comprendere la cultura contemporanea e le grandi questioni del presente, deve abituarsi a trovare adeguate chiavi di interpretazione. Ciò che serve è soprattutto un'immersione onesta nella storia: il pensiero assolutista delle epoche trascorse - del Medioevo oppure del razionalismo barocco ed illuminista, ad esempio - versa in una crisi evidente e profonda, e l'umanità non si interroga più sulla 'cosa in sé', bensì sulla realtà esistenziale che passa per l'esperienza. Così, nessuna ideologia può oggi più permettersi di fondare la propria ragion d'essere su una 'essenzialità' extra-storica; e allo stesso modo anche i valori e le convinzioni del nostro tempo devono superare la prova della storia per dimostrare la propria validità.
Una conseguenza ovvia e del tutto naturale di tale impostazione è la struttura sempre più pluralistica di tutte le manifestazioni dell'esperienza umana: dalle dottrine religiose e politiche all'arte e alla letteratura, dalle strutture sociali ai valori e ai metri di giudizio applicati al presente. Non esistono più punti di riferimento universali, vincolanti per tutti, e purtuttavia gli uomini e le donne di oggi devono percorrere - molto più che in passato - strade comuni che passano attraverso il vivere ed agire insieme.
per questo motivo che oggi a ciascuno di noi è richiesta una sensibilità storica del tutto particolare, la capacità di guardare alla STORIA vera, quella degli avvenimenti presenti. Solo chi è in grado di leggere ed interpretare i 'segni dei tempi' è anche capace di comprendere se stesso, i suoi simili, il mondo in cui viviamo, e di intervenire su di essi in modo efficace e al passo coi tempi. Chi oggi pensasse di poter trascurare questi 'segni' non solo si precluderebbe ogni possibilità di creare una qualsiasi cultura autentica e perciò valida, ma rimarrebbe probabilmente spettatore inerte del proprio tempo, viaggiatore straniero nelle terre del presente. E ogni rimando a valori atemporali o metastorici altro non sarebbe che una fuga dal mondo, se non fosse accompagnato da una coraggiosa messa in relazione della propria esistenza con la storicità della stessa.
Temo che l'Alto Adige sia malato di questo morbo, ormai cronico, e che agli uomini e alle donne della nostra terra sia impedito, spesso per miopia ma spesso anche per precisa volontà, di volgere lo sguardo ai 'segni dei tempi', oppure che ne venga offerta un'immagine insopportabilmente limitativa (limitata). Proprio per questo motivo potrà forse servire se, in queste righe, si oserà guardare oltre lo steccato di casa (recinto), anche a rischio di tralasciare, per il momento, segni di maggiore prossimità. La mia sarà così una ricerca di segni più generali e diffusi, che mi sembrano serbare grandi speranze per l'umanità (il mestiere di essere uomini) e la cultura dei nostri giorni.
Il primo segno che intravvedo - e che deriva direttamente dal moderno pluralismo - è quello della coesisitenza. Questo vocabolo di uso corrente, non troppo bello e nemmeno molto significativo, è capace però di evocare un'idea: che uomini e donne di diversa opinione, ideologie di diverso tipo, stati di diverso ordinamento e sistemi sociali di diversa impronta possano esistere uno accanto all'altro, se solo rinunciano a rivendicazioni violente di un proprio presunto potere assoluto. Certo vivere gli uni accanto agli altri non è gran cosa se non si trasforma in un 'con gli altri', ma è pur sempre un primo passo nella direzione dello stare insieme umano. Spesso infatti la coesistenza si trasforma in autentica compartecipazione, dove ognuno ha diritto ad esprimersi e rispetta le opinioni e i desideri altrui: in ciò risiede il valore profondo e superiore alla contingenza politica della democrazia come forma di vita e come atteggiamento spirituale di comunanza umana. Che non rimanda dunque a questo o quel concreto ordinamento statuale, quanto ad un'impostazione (Einstellung) basata su e profondamente influenzata da opinioni politiche, culturali, sociali ed anche artistiche. Un segno del tempo carico di speranza per tutti coloro che, per millenni, sono stati esclusi da una vera partecipazione alla vita della comunità, coloro che non avevano nulla da dire o che dovevano semplicemente accontentarsi della pappa loro preparata o imposta dall'alto - 'per grazia divina'. La democrazia come mezzo importante per la realizzazione della dignità umana di tutti dunque, nonostante le difficoltà che indubbiamente scaturiscono da un atteggiamento intimamente democratico, appunto perché si deve tener conto di tutti. _ chiaro che la democrazia come forma culturale è qualcosa di diverso dal semplice prevalere della maggioranza.
Un altro segno di speranza mi pare essere la riscoperta del valore di comunità. Alcuni agitano lo spauracchio della massificazione e dell'uniformazione, ma si tratta quasi sempre di fautori di un individualismo d'altri tempi oggi difficilmente sostenibile, oppure degli ultimi 'aristocratici' che parlano di livellamento ogni volta che temono di veder resi accessibili a tutti alcuni valori che prima erano riservati a pochi. _ vero che spesso il processo non si attua senza un certo appiattimento, ma in fondo si tratta semplicemente di decidere a quale valore si debba dare la precedenza. Chi crede nella dignità di tutte le persone non avrà certo difficoltà a scegliere. - Comunità significa percorrere il proprio cammino insieme agli altri, dividere le proprie esperienze con gli altri, significa fare delle persone quella famiglia che, preconizzata in epoche passate forse solo da predicatori e sognatori, è divenuta oggi, a fronte dell'andamento demografico e della situazione mondiale, una semplice necessità. Ed è così che nel bel mezzo del pluralismo (e grazie ad esso) emergono una serie di spinte all'unità: ma di unità nella libertà si tratta, e non di unità nell'imposizione di uniformità.
La comunità (comunanza) e la democrazia possono giungere a piena maturazione solo laddove le persone siano riuscite a conquistare responsabilità individuale e libertà. _ ormai tramontata l'epoca del paternalismo, della cieca fiducia nell'autorità, dell'accettazione passiva di esperienze o prescrizioni altrui, del potere 'subíto' e della delega del comando e della responsabilità ad altri, senza alcun controllo. Al contrario, sembra delinearsi una nuova morale che non misura più la semplice 'buona intenzione' (secondo la tradizione cristiana) oppure il successo nella storia (secondo la tradizione marxista), bensì la responsabilità individuale delle persone, senza togliere loro il fardello delle proprie azioni e senza condannarli all'estraniamento. - Anche sul piano sociale la responsabilità del singolo assume un peso sempre maggiore: basti pensare all'importanza (anche in politica) delle strutture sociali piccole e medie, le sole in grado di garantire il mantenimento delle particolarità e delle diversità all'interno di una comunità sempre più numerosa.
Un segno dei tempi di intrinseca ricchezza che assume oggi un significato centrale è il riconoscimento del valore essenziale della cultura come fattore imprescindibile per un'esistenza autenticamente umana. Nel passato spesso la cultura veniva considerata un lusso, e vi sono luoghi dove questo passato ancora perdura. Vi erano e vi sono persone che vedono nella cultura la semplice conservazione di determinate tradizioni e che quindi ritengono di dover porre dei limiti al rinnovamento attraverso avvedute manovre di indirizzo. In tutti questi casi si pone la persona in funzione della cultura (invece che il contrario), oppure si abusa della cultura utilizzandola come arma contro la persona. A me pare che in realtà la cultura sia, al pari della maturità, un necessario completamento (compimento?) della personalità, senza il quale responsabilità individuale e democrazia non sarebbero nemmeno pensabili. Cultura è in ultima analisi capacità autonoma di valutare, comprensione di sé e del presente, senso delle cose e della storia, creatività umana, coraggio delle proprie idee e accettazione dei propri limiti. Se la cultura è un valore essenziale per l'umanità, allora a ciascuno dovrà essere data la possibilità di 'fare' cultura, e non di 'essere riempito' di cultura.
Accanto alla cultura anche la politica si è tinta di un nuovo significato ed entra a buon diritto a far parte dei segni del tempo. Anch'essa infatti non può più essere considerata privilegio (o ricco pascolo privato) di pochi, cui la maggioranza semplicemente delega la propria partecipazione alla comunità, quanto, giustamente, partecipazione alle e conoscenza delle questioni che riguardano il bene comune. Chi si oppone alla 'politicizzazione' desidera in realtà far perdurare uno stato di cose in si può discutere pubblicamente solo di ciclismo oppure di musica leggera, mentre le questioni essenziali sono lasciate alla contrattazione privata di pochi, senza che la comunità sia interpellata, informata oppure possa in qualche modo partecipare al dibattito. Chi sostiene di fare il proprio dovere senza interessarsi di politica manifesta una grande miopia. E così si continua a risolvere irrilevanti problemuccoli contingenti senza essere nemmeno sfiorati dall'idea che il compito della politica è invece di individuare e guidare, in una prospettiva di ampio respiro e lungo termine, le questioni di rilevanza generale. Si parla di politica sporca e ladra salvo poi fare di tutto perché i delinquenti possano continuare a vivere indisturbati tra di noi. E gli avvenimenti della vita pubblica e politica spesso sembrano non toccarci, come se stessimo su un'altra barca.
Mi pare poi che oggi nessuno possa più ignorare la nuova dimensione assunta da tutti i problemi. Il discorso qui è simile a quello della politica: un egoismo e un provincialismo tramandati da generazioni - e che spesso si travestito da indifferenza - restringe talmente la visuale da limitare la vista a piccolissimi ambiti delle molteplici questioni che ci riguardano. Non c'è dunque da meravigliarsi se i tirolesi non vedono oltre i confini del Tirolo e gli svizzeri appena un po' oltre i confini del rispettivo cantone! Sino a quando non ci abitueremo a considerare i nostri problemi nell'ottica più ampia del contesto mondiale continuerà a mancarci il senso storico del tempo e degli avvenimenti. Nessuno può più permettersi di far finta di abitare su un'isola. Così, non potrà sfuggire un altro segno importantissimo dei tempi - anche se forse è più una speranza che non una realtà: il moltiplicarsi degli sforzi di pace. _ infatti chiaro che oggi tutti i valori, dai più grandi ai più piccoli, dipendono dalla pace e sono quindi più a rischio di quanto non siano mai stati in passato. Anche valori apparentemente inconciliabili (come ad esempio la giustizia e la sicurezza) dipendono dalla pace. La costruzione della pace, a tutti i livelli e in tutte le aree (anche in Sudtirolo, quindi), è quindi un compito urgente. Ormai non si può più giocare col fuoco per verificare le reazioni, è diventato troppo pericoloso.
Altro segno caratteristico del nostro tempo è ancora il dialogo. Affermazioni unilaterali e prediche monologanti non convincono più. Anche in questo caso la dignità umana chiede che ricerca ed espressione passino per la via della compartecipazione, e infatti si moltiplicano ovunque le occasioni didialogo. Voler fermare questo processo oppure chiudersi di fronte ad esso sarebbe senz'altro sbagliato. Si deve invece saper ampliare e sfruttare le possibilità di incontro e di dialogo, evitando di accampare argomentazioni insensate, come ad esempio che non si possa avviare un dialogo fino a che non sia stato chiarito ogni più piccolo dettaglio e non ci si sia attestati su una posizione precisa. Ciò significherebbe infatti voler 'convertire' (o violentare) l'altro oppure partire dal presupposto che il dialogo migliore sia quello tra sordomuti.
Anche l'insicurezza che certamente appartiene al nostro tempo va secondo me interpretata in senso positivo, come un segno di speranza: essa infatti ci rende più modesti, più aperti, più disponibili nei confronti degli altri, meno esposti ai rischi di un appiattimento o imbolsimento spirituale (intellettuale). Chi trova il coraggio di costruire la propria esistenza nel mare mosso dell'incerto riuscirà più facilmente a trovare il proprio spazio nel presente di chi invece tenta di gettare l'ancora verso i lidi di epoche passate.
Tutti questi segni dei tempi, che ho elencato in successione quasi casuale tra quelli che mi sembrano significativi e carichi di speranza, sono strettamente correlati e intrinsecamente congiunti. Tuttavia mi pare che essi ruotino intorno ad un unico, grande cardine, probabilmente il più importante di tutti: la riscoperta del valore dell'individuo, della sua persona e della sua dignità. Se è vero che gli altri segni citati possono assurgere a metro e punto di riferimento del presente, rimane comunque il fatto che l'evento centrale dei nostri giorni è proprio la valorizzazione dell'esistenza umana. Altri valori sono andati in crisi e hanno perso il loro significato generale. Eppure, da questa perdita, si è andato formando un nuovo nucleo che è comune a quasi tutti si sistemi di valori (che vorrei chiamari 'umanesimi') del nostro tempo: l'uomo (la donna). Trascurare questo segno del tempo sostituendolo con valori secondari (p. es. la nazione) sarebbe imperdonabile ed avrebbe certamente conseguenze drammatiche.
Rileggendo quanto ho scritto mi pare ora che i segni cui ho fatto riferimento si prestino abbastanza bene a costituire un nuovo sistema di valori a se stante - naturalmente solo provvisorio e di validità storicamente determinata: una specie di denominatore comune per le persone di buona volontà, siano esse credenti oppure no (i valori si trovano nel mondo come nella chiesa), indipendentemente dalle loro impostazioni filosofiche o ideologiche. Penso che in un'epoca di pluralismo come la nostra vi sia bisogno di tali 'denominatori comuni' per potersi ritrovare gli uni con gli altri, per potersi riconoscere, anche al di là delle parentele elettive (affinità intellettuali) o delle alleanze.
Mi rende triste dover constatare che la maggior parte dei segni dei tempi che ho elencato siano (nel migliore dei casi) ignorati quando non addirittura avversati e visti con sospetto in Sudtirolo. Sono altri valori, forse meno urgenti e non sempre scaturiti da una reale sensibilità storica, valori che spesso mi paiono fittizi oppure persino disvalori, a tenere banco. Forse sarà troppo tardi, se attenderemo che a formulare un giudizio siano i futuri manuali di storia.

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