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Pannellate o donazioni di sangue per l’Europa?

1.7.1989, Kommune luglio 1989

Il talento di Marco Pannella nel vivacizzare, mescolare e confondere la politica italiana è ormai ben noto. Che il suo partito radicale, con provocazioni sempre fertili, riesca a portare la sua nota libertaria, individualistica, radical-liberale e democratico borghese attraverso tutti i ranghi di partito, anche questa non è una novità – benché taluni esponenti verdi o di sinistra, in Italia come a nord delle Alpi, trovino ciò sconveniente e pericoloso. Ma che il partito di Pannella, pur senza presentarsi alle elezioni europee, rischi di portare a Strasburgo più deputati che nel passato (ne ha avuti tre sia nel 1979 che nel 1984), e nel frattempo divenga all’estero, e specialmente nell’Est europeo, una sorta di marchio di fabbrica, mentre in Italia parla di autoscioglimento, questo va oltre ogni normale facoltà di discernimento politico e potrebbe diventare la più sconcertante delle tante “pannellate” (così si chiamano in Italia i suoi tiri mancini), cui si sia finora assistito. La sua politica di attraversamento dei partiti e di oltrepassamento dei confini è effettivamente da capogiro, e sa anche un po’ di alambicco, tuttavia costituisce un piccolo miracolo politico.

Già da tempo è chiaro a Pannella che con il 2-3 per cento dei voti è sì possibile (in Italia) entrare nel Parlamento, ma da ciò non discende ancora una politica, se ci si limita ad aspettare di crescere, o a presentare di continuo proposte che vengono regolarmente cassate, certificando ogni volta a se stessi di volere il meglio, ma senza mai trovare la necessaria condivisione. Inoltre è evidente che la fase ascendente dei radicali – il cui primo ingresso in Parlamento, nel 1976, con quattro deputati e 1,3 per cento dei voti, ebbe un valore simbolico paragonabile a quello dei Verdi tedeschi alla loro prima prova elettorale – è ormai definitivamente tramontata, e le liste verdi di nuova costituzione intercettano molto di quel potenziale che altrimenti approderebbe ai radicali. Così già da alcuni anni Pannella, il cui partito oggi è rappresentato in Parlamento da 12 deputati, col 2,6 dei voti, persegue una politica di sistematica autotrasformazione e autoscioglimento. In ciò egli gioca contemporaneamente su più registri. I contorni di questa politica si potrebbero definire così: contrabbandare il patrimonio di pensiero radicale (e le relative persone) in quanti più possibili partiti; spingere altri e più corposi partiti a fare propri determinati progetti radicali, per portarli alla maggioranza parlamentare; esercitare in anticipo tutta la gamma di possibili coalizioni in rapporto con gli obbiettivi di volta in volta perseguiti; destabilizzare l’equilibrio politico ogni qualvolta si manifestino segni di stagnazione e di routine, e i partner comincino a cullarsi nell’illusione di avere addomesticato e ricondotto alla ragione i radicali.

Attualmente il contenuto principale della politica di Pannella si esprime nel tentativo di rendere possibile un’alternativa politica alla Democrazia Cristiana, e di legare il più strettamente possibile la politica italiana all'Europa. “Stati Uniti d’Europa – subito!”, è la parola d’ordine dei radicali. Per lungo tempo essi hanno riposto le loro speranze nella crescente affinità con i socialisti di Craxi e con i piccoli partiti liberaldemocratici, ma rivolgendosi anche ai Verdi, con l’obbiettivo di raggiungere un pacchetto azionario del 20 per cento nella politica italiana. Ma poiché Craxi non ha per il momento nessuna voglia di permettere a un partner tanto imprevedibile di oscurare la sua posizione centrale nello scacchiere politico, e preferisce investire tale rendita di posizione in modo spesso apertamente ricattatorio, ora Pannella fa il possibile per intralciare l’ascesa di Craxi e per costringerlo a una maggior collaborazione con radicali e verdi. Con tutto ciò, Craxi e Pannella conservano lo scopo comune di corrodere e mettere in questione i due maggiori partiti, la DC e il PCI, cosa che tuttavia fino ad oggi è riuscita soltanto nei riguardi del PCI.

Così ora Pannella ha fatto decidere dal suo partito, che lo segue quasi ciecamente, il ritiro dei radicali dall’agone diretto della politica interna italiana, sì che il partito in quanto tale non si sottoponga più ad alcun test elettorale, dal quale ben che vada risulterebbero solo piccoli numeri percentuali e dunque il confinamento in una sfera di influenza assai ridotta. Al posto di questa misera prospettiva si è annunciato: 1. la trasformazione in partito “transnazionale”, che cerca aderenti anche all’estero e si vota a missioni sovranazionali (dal buco nell’ozono ai diritti umani nell’Est), senza presentarsi direttamente all’elettorato nazionale; 2. la trasformazione in “partito transpartitico”, che concepisce se stesso come donatore di idee e riserva politica per altri partiti, ai quali caso per caso i radicali si associano per fare meglio agire il loro lievito.

La metamorfosi “transnazionale” è stata decisa intorno a Pasqua in un congresso fortemente simbolico tenuto a Budapest, autorizzato dal governo ungherese e da esso usato come una sorta di manifestazione propagandistica della liberalizzazione interna di quel regime. In quegli stessi giorni venne annunciato il ritiro delle truppe sovietiche, si diede un inizio visibile allo smantellamento della “cortina di ferro”, e la Gioventù Comunista fu trasformata in una organizzazione pluralistica – tutti eventi che da Pannella furono prontamente registrati sul conto dei successi.

La penetrazione di diversi partiti da parte delle idee ma soprattutto dei candidati radicali ha raggiunto il suo culmine in vista delle elezioni europee. Dopo un lungo tergiversare, dovuto prevalentemente alla inquietudine circa il futuro che aveva colto i parlamentari radicali, ora troviamo candidati di Pannella in almeno quattro liste. Il maestro in persona e alcuni dei suoi fedeli sono approdati alle liste federate di repubblicani e liberali; qualche esponente di spicco del partito – tra questi il dissidente ucraino Leonid Pliutsch – si è associato ai Socialdemocratici italiani (non proprio i più ben visti nel mondo), per impedirne la cannibalizzazione ad opera degli appetiti espansionistici di Craxi; altri radicali, assieme ad ambientalisti di sinistra e ad ex esponenti di Democrazia Proletaria, hanno improvvisato la lista concorrente dei “Verdi Arcobaleno”; buon’ultima è arrivata una lista di “antiproibizionisti”, che si battono per la legalizzazione controllata delle droghe, contro le politiche proibizioniste e “contro la criminalità politica e comune”. Anche verso i comunisti e i verdi i toni si sono distesi, e poco è mancato che anche lì comparissero importanti candidature radicali. Tutto ciò in relativa reciproca armonia, col sottofondo di “radio radicale” che propaganda i candidati radicali di tutte le liste. L’operazione, sconcertante per il pubblico, è ancora difficile da decifrare per i partiti politici così baciati dalla fortuna: a questi non è ancora affatto chiaro se hanno accolto nei rispettivi nidi un uovo di cuculo, difficile da controllare, o se alla fine i radicali si riveleranno donatori di sangue, che per questa via trasfondono parte del loro impegno e della loro popolarità nella circolazione sanguigna della politica, salvo restarne essi stessi dissanguati. In ogni caso un esperimento politico insolito, che forse potrebbe indicare una via anche per altri.

Alexander Langer

(Tradotto da Clemente Manenti in "Lettere dall'Italia" - Diario 2005

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