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Il referendum elettorale taglia male le parti

14.4.1993, da "Alto Adige" - Il viaggiatore leggero
Non riesce a mobilitarmi questa primavera referendaria. Stavolta mi scopro a pensare che mi piacerebbe se molti preferissero andare al mare o in montagna. Trovo dovunque gente frastornata, dubbiosa, scettica. Personalmente mi convince solo il referendum per levare il carcere ai tossicodipendenti consumatori, non spacciatori di droga; lì spero che vinca il sì. Per il resto non ho condiviso l'eccitazione referendaria neanche al momento della raccolta delle firme, e tutto continua ad apparirmi un falso scopo. Una linea divisoria artificiosa che non potrà non fare le parti sbagliate, e quindi rischia di confondere, non di qualificare i fronti per una vera bonifica della politica italiana.

Sorvolando sui troppi e troppo disparati quesiti referendari, mi concentrerò su quello più politico: abrogare o no il sistema proporzionale per l'elezione del Senato. Prescindendo dai capi del fronte del sì (i Segni, i Pannella, i Barbera, forse i Bossi), mi rendo conto che per tanta gente comune il sì sulla scheda equivarrà a quel "viva Verdi" che nel secolo scorso, al tempo degli austriaci, si scriveva sui muri per dire "Viva Vittorio Emanuele re d'Italia" e per pronunciarsi in favore dell'unificazione d'Italia. Il sì referendario mi sembra un segnale - poco appropriato, ritengo, ma visto da molti come l'unico disponibile - per invocare la riforma e la pulizia della politica in Italia. Un sì alla fine della partitocrazia, delle tangenti, dell'immobilismo. Una ratifica della caduta dei muri. Ma perchè mai proprio una consistente "iniezione di maggioritario" dovrebbe portare a questi giusti obiettivi, e non piuttosto una forte dose di decentramento e di federalismo, la costruzione di nuove leadership e nuove forze politiche (meno generiche di quelle cui il sistema maggioritario obbligherebbe), e magari un drastico vincolo di compatibilità ambientale ancorato nel sistema? La cacciata dei mercanti dal tempio, già iniziata sia dall'elettorato che dalla magistratura, non può essere portata a termine con un sistema che semplicemente comporta una diversa dislocazione delle loro bancarelle, e magari un passaggio dai piccoli bottegai alle catene della grande distribuzione! Non riesco ad avallare con un mio sì la fede taumaturgica nel sistema maggioritario: l'alternanza era bloccata non dalla legge elettorale, bensì dalla paura del comunismo e dalla rigidità del sistema dei blocchi. E non riesco ad assecondare la trasformazione della politica ancor più da contenuti in schieramenti, da sostanza in imballaggio. Ma riconosco che molta gente affida al sì un messaggio di speranza e di cambiamento, al quale non me la sentirei di contrappormi, riconoscendolo anche mio.

Sul fronte del no, invece, mi disturba fortemente un alto tasso di moralismo e di militanza a denti stretti e muscoli contratti. I duri e puri che non riescono a uscire, neanche loro, dalla demagogia, per trovare il linguaggio della gente e riconoscere dignità al comune sentimento ed alle mille forme di partecipazione civile "apolitica". Talmente impegnati a svelare gli imbrogli del falso rinnovamento e della vacua agitazione referendaria, finiscono non solo per difendere davvero il proprio orticello di partiti e partitini, ma anche per non interrogarsi mai sul perché non riescono ad aggregare alleanze più larghe, schieramenti meno ideologici, impulsi più variegati al cambiamento. Denunciando, fondatamente, il populismo ed il sostegno drogato e spesso qualunquistico che tanta opinione pubblica fabbricata dai media concede al sì, i partigiani del no sembrano davvero una sorta di fronte del rifiuto, poco capaci di essere propositivi e convincenti. Una riforma istituzionale complessiva, con un sistema elettorale simile a quello tedesco (che a me parrebbe oggi la soluzione più conveniente per l'Italia), un programma politico, sociale, ambientale ed economico di risanamento - comprensivo anche di duri sacrifici e di un vero e proprio rimescolamento degli schieramenti - non appare come un probabile risultato della vittoria dei no.

Così non mi resta - con parecchi altri, che ho interpellato e trovato sulla stessa lunghezza d'onda - che disertare buona parte delle urne del prossimo 18 aprile, sperando che la differenza tra i sì ed i no del referendum elettorale sia la più tenue possibile, e che gli impulsi di vero e di falso rinnovamento che si mescolano in entrambi i campi trovino poi altre e più veraci occasioni per misurarsi, scontrarsi, filtrarsi ed alla fine ricomporsi in alleanze politiche oltre l'accanimento sul sì e sul no.

Forse una scelta, come la mia, così debole sul piano del voto potrà poi rivelarsi fruttuosa sul piano della ricomposizione di forze ed idee per ripartire da ciò che veramente conta: cosa fare per ripulire l'Italia, per rinobilitare la politica e per promuovere una convivenza più solidale e più giusta, piuttosto dal come conteggiare i voti e trasformarli in seggi parlamentari.


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