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PCI: solve et coagula

19.11.1989, da "L'Unità" - Il viaggiatore leggero
Fortunato il partito che di fronte agli scossoni democratici e pacifici che sconvolgono l'assetto europeo consolidato nella "guerra fredda" tra blocchi contrapposti, riesce a vivere altrettanto al proprio interno! E doppiamente fortunato se lo farà in modo sincero, profondo e democratico, senza aver paura delle contraddizioni e delle lacerazioni che tutto ciò senz'altro comporterà. Nessuno, infatti, di fronte alla nuova carta geografica ideale, politica e persino etica che si sta delineando, può semplicemente constatare che "in fondo l'aveva sempre detto" e passare trionfalisticamente all'ordine del giorno.

Non è certamente scontato l'esito del tumultuoso processo di trasformazione del PCI che in questi giorni vive una sua fase particolarmente calda, e mi sembra un bene che tantissime compagne e compagni comunisti prendano la parola, riflettano, protestino, vogliano farsi valere - magari davvero in un referendum. Così come mi pare importante che altri interlocutori, non necessariamente candidati ad aggregarsi nel medesimo processo ri-costituente, accettino di inter-agire con spirito franco ed amichevole.

Dunque: nel PCI si discute quale contributo dare allo scioglimento dei blocchi (non solo internazionali). Ben venga questa intenzione. La logica dei blocchi blocca la logica, ce l'ha insegnato il movimento pacifista. E per coagulare sul serio percorsi ed ispirazioni diverse in uno sforzo comune (non necessariamente in un partito comune!), bisogna che prima di tutto le rigidità e gli spiriti di bandiera si attenuino e magari si dissolvano. "Solve et coagula", sciogliere e coagulare, dicevano gli alchimisti rinascimentali. Oggi persino i nuovi governanti dell'Europa dell'est riconoscono che occorre un concorso di culture e di esperienze davvero diverse, e che nuove priorità fino a ieri forse neanche immaginate (tra le quali, probabilmente al primo posto, quella della salvaguardia ecologica della biosfera) scombussolano ogni precedente ovvietà. Questo deve portare a conseguenze anche "visibili".

Non servirebbe, certo, un puro cambio di nome della seconda forza politica italiana, per poi magari ricadere nella ricerca di alleati-satelliti, come troppe volte le esperienze di sinistra unitaria, indipendente o simili denominazioni sono state. Molto utile, viceversa, mi sembrerebbe quel contributo alla laicizzazione della politica italiana che oggi nel PCI coraggiosamente si dibatte: fare, cioè, della competizione politica ed elettorale non principalmente un momento di affermazione di identità, quasi di professione di fede, ma piuttosto vedervi un'impresa politica, con obiettivi precisi in tempi definiti. E con la consapevolezza che fa molto bene avere davanti a sè anche un orizzonte ideale ed una prospettiva di più ampio respiro, ma che l'auto-proiezione di una chiesa o setta ideologica serve a ben poco nella costruzione della politica possibile. In quest'ottica forse sarebbe un'utile sperimentazione dei cambiamenti in atto se alle prossime elezioni amministrative si promuovessero liste di alternativa democratica, ecologista, solidale e civica ("Nathan"!), con nomi e connotazioni di volta in volta rispondenti al quadro in cui operano. Ovviamente solo in quelle città o regioni dove ciò realmente si rivelasse rispondente alla realtà locale ed agli intenti di un arco sufficientemente trasversale di protagonisti (altrimenti non avrebbe senso, una nuova lista frontista non convincerebbe). E naturalmente non come sommatoria tra sigle esistenti o appena ribattezzate, ma come risultante del concorso di soggetti che esprimano davvero processi di scioglimento e di ricoagulazione.

Chissà se il PCI alla fine del processo in atto avrà il coraggio di mettere in discussione non solo la sua denominazione "comunista", ma anche il suo "essere partito", l'essere cioé corpo compatto, organizzato e permanente della lotta politico-elettorale e con ciò inevitabilmente anche separato rispetto alla società civile, come capita a tutti i partiti. Nella nuova traiettoria di quello che oggi è il PCI immaginerei bene una proficua convivenza ed interazione tra persone che si ispirano al marxismo e si riconoscono nell'essere o forse più spesse nell'essere state comuniste, e tante altre che invece tali non si sentono. Ma non so se un partito nel senso classico sin qui conosciuto - seppure rifondato e trasformato - ne possa essere lo strumento più idoneo, o se non si debba pensare piuttosto ad aggregazioni più specifiche e più temporanee (da comitati di iniziativa a liste elettorali, di volta in volta specifiche), realmente pluraliste. Perchè gli odierni "comunisti", con il loro spesso prezioso bagaglio ideale e politico, non tentano più frequentemente la libera navigazione al di fuori dei porti e delle rotte del partito, mettendo in circolazione le loro idee e proposte in un "mercato" più ampio, dove senza l'ombrello del partito risulterebbero magari più "spendibili" di quanto non si pensi?

Poche parole per concludere. A me, come a molti miei amici dell'area ecologista, pacifista e solidaristica, capita spesso di guardare in particolare a Pietro Ingrao, per la sua alta sensibilità morale e la sua costante attenzione ai nuovi movimenti ed alle loro ispirazioni. Si può ben comprendere la sua battaglia per evitare il pericolo di liquidazione di un patrimonio militante, schierato contro ogni ingiustizia, quale molti comunisti sentono come loro tessuto ideale ed esistenziale ancor prima che politico. Ma perché identificare la (giusta) radicalità dell'impegno per cambiare il mondo in meglio, verso giustizia e pace, verso l'integrità della biosfera e la solidarietà persino con generazioni non ancora nate, con un marchio che troppo spesso ha contraddistinto esperienze atroci e fallimentari? E perchè lasciare la bandiera del cambiamento a coloro che - ce ne sono, senz'altro anche nel PCI, a dispetto del nome che esso oggi ostenta! - non aspettano altro che omologarsi finalmente agli orizzonti delle carriere e dei mercati, dell'efficienza e dell'espansione, della competizione e del rendimento? No, caro Pietro Ingrao, nello sforzo di andare oltre i vecchi confini e di sciogliere il mondo dei blocchi, a persone come te spetta un ruolo di iniziativa e di stimolo. E vedrai che il disarmo degli uni non potrà non influire anche sugli altri.

da "L'Unità", 19.11.89
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