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Come non sono diventato comunista

1.3.1986
Magari per sensi di colpa, magari per sensibilità sociale cristiana, magari per istinto di giustizia sento molto interesse "per i poveri" e per questioni sociali. Con altri organizzo un servizio per portare legna a vecchi indigenti. Do lezioni gratuite a ragazzi poveri. Mi piacerebbe anche sapere (e far sapere) come sono i comunisti. E benché da noi del comunismo ci si faccia un'idea piuttosto per aver sentito parlare di Budapest o di Praga che non del sindacato o della resistenza, prendo il coraggio a quattro mani e vado a intervistare per il nostro periodico di liceo ("Offenes Wort", parola aperta, da me fondato) il segretario della federazione giovanile comunista Anselmo Gouthier, uno che poi farà carriera fino alla segreteria del partito e al parlamento europeo. Si parla in italiano, sono fiero di riuscire a condurre un'intervista in una lingua non mia. Gouthier parla di frontiere inviolabili, e che se si mette in discussione il Brennero, vacilla anche l'Oder-Neisse. Cerco di capire cosa fanno i comunisti, e vengo a sapere che tengono "attivi". Per essere un'intervista che a scuola e presso i francescani mi costa caro, mi sembra molto magra e deludente. Forse se mi avesse spiegato in termini semplici che il mondo non si divide solo in italiani e tedeschi, credenti e non credenti, buoni e cattivi, come magari io lo vedevo, ma anche in classi, e che questo lo si poteva riscontrare anche nella realtà sudtirolese, chissà. Così invece mi appariva più concreta la San Vincenzo. E solo molti anni dopo ho saputo che a Bruneck (Brunico) in quegli anni qualcuno aveva fatto del marxismo uno strumento critico per capire meglio la situazione in cui agiva. Ma era stato a studiare fuori.


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