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Giorgio Mezzalira: Dignità un bene prezioso

26.1.2021, Corriere dell'Alto Adige e del Trentino - editoriale

Veniamo dalle macerie del Novecento. Un secolo che si era aperto con le più grandi speranze riposte sulle attese del mondo nuovo, sulle sorti progressive del progresso, sull’espansione senza limiti, sulle idee di emancipazione e libertà ma che si è presto rovesciato nel suo contrario, toccando il punto più basso della storia dell’uomo. Due guerre mondiali, trasferimenti forzati di intere popolazioni, dittature, leggi razziali, lavoro coatto, sfruttamento dell’uomo sull’uomo, campi di concentramento, la Shoah. E alle soglie del Duemila altre guerre nel cuore dell’Europa, rigurgiti xenofobi, genocidi e la tragica conta dei morti nel Mediterraneo, chiamata a traghettarci nel nuovo secolo quasi a rappresentarne il marchio di continuità. Al centro si pone la domanda di cosa rappresenti concretamente, per noi oggi e per la società in cui viviamo, il principio della dignità della persona umana che si è voluto alla base delle regole che ci siamo dati per costruire, sulle rovine del secondo dopoguerra, una società più giusta e solidale. Su quel principio i padri Costituenti hanno sviluppato l’intera Carta e, come afferma Gherardo Colombo, hanno voluto imperniare tutta la nostra vita: “è un principio né arido né astratto. Ci riguarda da vicino: parla di chi siamo e di che cosa possiamo (e abbiamo il compito di) fare”. Un fondamento riconosciuto anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e posto in testa alla Costituzione tedesca del 1949, dove all’art. 1 recita: “La dignità dell’uomo è intangibile. E’ dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”. Da dove venivano questa comune visione e volontà, se non dalla negazione e dallo spregio dei diritti umani che avevano condotto ai totalitarismi, alla barbarie dei campi di concentramento, allo sterminio e riecheggiavano nella cronaca dei processi di Norimberga (1945-1947) ai gerarchi e ai medici nazisti che avevano dovuto sollevare la coperta sugli orrori di cui erano stati capaci. Fu anche l’onda d’urto delle bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki a scuotere allora le coscienze del mondo intero e spingerci a proclamare solennemente: mai più! Quando nel 2000 fu scritta la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ricorda Stefano Rodotà che ne fu uno degli architetti, fu ancora la dignità della persona ad aprirla. Non era più lo spirito di chi reagiva agli orrori del passato, bensì la consapevolezza che la persona non poteva essere separata dalla sua dignità, così come la dignità non può essere separata dalla libertà, dall’eguaglianza, dal rapporto con gli altri nel vincolo del rispetto dell’altrui dignità.

Nel giorno della memoria guardiamo al passato per non dimenticare, per ricordare come siamo usciti dal buco nero della storia e prometterci che non ne saremo più inghiottiti, per dirci chi siamo stati e cosa abbiamo fatto. Ma domani, agli occhi dei nostri figli, noi come ci presenteremo? Non siamo forse coloro che hanno reso arido e astratto il principio della dignità della persona umana, rimanendo semplici spettatori dell’immane strage consumata (e non ancora finita) nel Mediterraneo e testimoni muti del disprezzo dei diritti umani che si perpetua lungo le rotte dei migranti, sempre più simili alle marce della morte? Sta scritto nel Talmud che chi salva una vita salva il mondo intero. E noi di quanti mondi persi siamo responsabili? Figli di una società opulenta in declino, interpreti di un’idea di dignità e libertà della persona che pare più attratta dal richiamo di un egoistico individualismo proiettato sull’oggi che dalla solidarietà, a noi il compito di cambiare rotta, di dimostrarci realmente capaci di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono il rispetto e il pieno sviluppo della persona umana. E non solo in osservanza del dettato costituzionale.

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