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Giorgio Mezzalira: Una risposta articolata

1.3.2007, Corriere dell'Alto Adige - editoriale

Come si garantisce agli immigrati la frequenza nelle scuole pubbliche, visto che è un diritto per i bambini di famiglie provenienti da altri Paesi e un dovere per l’amministrazione pubblica? Ovvero, come si favorisce l’integrazione linguistica e scolastica? Il problema è serio, non ci sono né formule magiche, né preconfezionate. E si tratta, con tutta evidenza, di una domanda che non ha bisogno di scorciatoie, né di essere male interpretata.

Le scorciatoie da evitare sono quelle che potrebbero portare all’istituzione di classi-ghetto, al rischio che nella scuola - che fa professione di integrazione e interculturalità - si introducano modelli di esclusione, camuffati da princìpi di inclusione, oppure test sulle competenze linguistiche che finiscano per funzionare come uno sbarramento per entrare nel normale ciclo scolastico. Non è fuori luogo ricordare, a tal proposito, che secondo i dati del Rapporto sull’integrazione degli alunni stranieri del Ministero dell’Istruzione (febbraio 2005) scuole e classi “polarizzate”, cioè a forte presenza straniera, non depongono a favore del successo scolastico, tanto meno se esse vedono la presenza di una sola nazionalità.

La cattiva interpretazione è quella che porterebbe a giustificare simili soluzioni, adducendo che solo attraverso un’adeguata conoscenza della lingua è possibile garantire il successo ed il livello scolastico tanto dei bambini immigrati quanto degli altri. Affermazione di per sé ovvia, quest’ultima, ma che non vuole fare i conti con il problema.

Le esperienze fatte in alcune regioni italiane ci dicono, innanzitutto, che la questione dell’accoglienza e dell’integrazione linguistica e scolastica non è disgiunta dall’attenzione verso i processi di integrazione sociale delle famiglie degli immigrati e dall’individuazione di una molteplicità di soggetti (dalla regione, ai comuni, alle scuole, all’università, alle associazioni degli immigrati, al volontariato, …) capaci di dare una risposta articolata ad un problema complesso. E’ questo è un primo dato che sarebbe utile tener presente anche noi.

Per il momento registriamo dalle parole del presidente Durnwalder che la questione è diventata un problema comune alle due scuole, sia a quella di lingua italiana - interessata da tempo dal fenomeno - sia a quella di lingua tedesca.

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