Giorgio Mezzalira: Una questione di misura
E’ una riflessione contro mano quella che porta a ragionare di misura e di conversione ecologica, proprio quando si celebra il lungo rito ferragostano, quando cioè la figura del vacanziere-consumatore campeggia su un mondo che, a sua immagine e somiglianza, continua ad essere consumato.
La si può condividere come piccolo e postumo atto di contrizione, dopo aver goduto fino in fondo i piaceri della vacanza, oppure considerarla come l’anticamera di una non rinviabile scelta. E, in quest’ultimo caso, si tratta di posizionare il proprio pensiero e la propria visione del mondo non in una prospettiva qualunque.
Pare di poter dire che sia questione di misura. Come lo è per le scelte tra opulenza e scarsità, tra dismisura del consumo di risorse e auto-limitazione, che portano a determinare uno stile di vita, lo è anche per la ricerca della misura “giusta” di cui abbiamo bisogno, per saper cogliere il significato e la scommessa della differenza, della diversità. Sia che la coniughiamo come scarto tra un mondo ricco e uno povero, sia che la pensiamo come distanza tra noi e gli altri.
Trovare la misura giusta è frutto di un esercizio, di esperienza, una ricerca continua. Alexander Langer lo aveva emblematicamente incarnato crescendo sui confini e scegliendo di costruire sui confini, che fossero identitari, politici o quali altri. Se vogliamo, scegliendo la diversità come luogo di adozione e percorrendone consapevolmente la tortuosità e la bellezza dei suoi sentieri, le sue tinte forti.
Esercizio ed esperienza si diceva, ma si potrebbe meglio dire esercizio dell’esperire, con un rimando ai significati più profondi a cui questo termine pure richiama: tentare, muoversi a traverso, spostarsi da un luogo all’altro. Difficile avere cognizione della diversità, della differenza, se sto fermo, se mi ancoro e se mi accontento di osservarla da lontano, se non uso la distanza per approssimarmi, per essere vicino all’altro, un vicino dell’altro. Rischio anche di farmi un’idea sbagliata del prossimo – e questo termine a proposito di misura e di distanza è eloquente in sé – facendolo oggetto magari della mia carità, ma non riconoscendo il suo bisogno di giustizia, ovvero senza avergli dato ciò che è suo.
E allora, forse, la misura “giusta” è ciò che raggiungiamo quando la diversità, la differenza diviene vissuto e coscienza, di aperta e ricca contraddizione all’ordinato, omologato, uniforme procedere del nostro mondo, di messa in discussione dei nostri stili di vita, tanto opulenti da permetterci magari quote di carità a buon mercato.
Questo esercizio, questa esperienza, permettono al dialogo, alla nostra responsabilità nei confronti dei destini del mondo che viviamo, di non diventare delle parole vuote.