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Giorgio Mezzalira: Quei simboli sono parte di tutti noi

12.1.2008, Corriere dell'Alto Adige - editoriale

Chissà se l’assessora Kasslatter Mur quando ha proposto di togliere il bassorilievo di Piffrader dal palazzo piazza del tribunale si è ispirata alla legge sulla Memoria Storica approvata da poco dal Parlamento della Spagna di Zapatero. Secondo l’articolo 15 di questa nuova legge viene fatto obbligo di rimuovere i simboli franchisti a tutte le amministrazioni pubbliche del Paese. Lo stesso articolo stabilisce, inoltre, che “le amministrazioni pubbliche potranno ritirare sovvenzioni o aiuti ai proprietari privati” che non elimineranno i simboli della dittatura esposti sui propri immobili. Inevitabili le polemiche nei confronti di un atto tanto coraggioso, quanto tardivo (sono passati più di trent’anni dalla morte del generalissimo) rispetto alla necessità di fare i conti con il passato regime franchista. E che forse, azzardiamo, dovrebbe essere pensato come l’ultimo passaggio di un processo di confronto e di riflessione pubblici che porti prima a maturare una storia condivisa, sulla quale possano depositarsi e non scontrarsi le diverse memorie.

Per queste ultime considerazioni e per l’esperienza che ci deriva, e non solo ricordando le polemiche sul Monumento alla Vittoria, dall’aver sperimentato in Alto Adige che non si può cancellare la storia, se non a patto di negarla e negarne le memorie che le stanno attaccate, vanno accolte con sollievo e buon viatico per il futuro dei nostri “simboli”, oltre che per la pacifica convivenza, le dichiarazioni del neo-sovrintendente Andergassen. Speriamo finiscano realmente, i nostri “simboli”, a fare da innesco ai fuochi del nazionalismo e alle fiammate della politica. Anche molti storici locali, credo, sarebbero contenti, perché potrebbero svolgere il proprio compito di coscienza critica civile e contribuire al superamento della percezione di avere due storie separate, senza dover vestire sempre i panni dei pompieri. Il primo atto di deponteziamento dei simboli in fin dei conti è proprio trattarli per quello che sono, ovvero parte della nostra storia: senza che “nostra” significhi quella di uno e non dell’altro e senza che “storia” possa confondersi con una sola memoria.

 

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