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Giorgio Mezzalira: Noi e gli altri. La lezione di Gulliver

30.1.2010, Corriere dell'Alto Adige - editoriale

Nei suoi viaggi Gulliver aveva incontrato molti mondi, incomunicabili e incompatibili tra loro, separati l’uno dall’altro. A Lilliput si era trovato gigante tra i nani, mentre nell’impronunciabile paese di Brobdingnag era nano tra i giganti. I suoi viaggi erano esperienze che cancellavano, una dopo l’altra, le concezioni del mondo che si era costruito. Si tratta di un esempio letterario, peraltro citato spesso, di quanto sia incerto il principio di verità e di quanto siano forti l’abitudine e il pregiudizio. Basta un cambio di prospettiva per farli apparire diversi o addirittura contrari, quei mondi. Ed è un esercizio che dovremmo riuscire a praticare con maggiore assiduità se, come tutti sappiamo, una prospettiva è in grado di determinare la visione delle cose.

La riflessione serve per capire come rispondiamo - nel piccolo e nel grande, in città e nel Paese - all’incontro con la realtà dell’immigrazione. Da tale punto di vista, viene anche legittimo chiedersi quale prospettiva culturale e politica abbia una comunità, in cui la visione prevalente del fenomeno dell’immigrazione sia quella della sicurezza.

Più in generale, si tratta di una riflessione opportuna per attrezzarci a saper vivere in realtà multietniche e multiculturali, compresa quella in cui viviamo noi, nella consapevolezza che qualsiasi incontro con persone di altri paesi, altre culture e lingue ha un carattere performativo. In altre parole, ci cambia, sia che l’incontro lo si rifiuti e si decida che è meglio chiudersi, sia che lo si auspichi e si scelga di aprirsi.

Tendiamo ad affibbiare l’etichetta del “diverso” con la stessa facilità e rapidità, con cui gli scopritori del nuovo mondo hanno dato il nome di Americhe a quei territori, che molto diversamente si chiamavano ed esistevano prima della loro scoperta. Sono semplificazioni che tradiscono l’assenza di un concetto, l’omologazione di una realtà che non si è imparato o non si è voluto conoscere bene, ma sono anche lo sguardo di chi osserva l’”altro” non abbandonando il centro del proprio io.

Noi che abitiamo in questa provincia sappiamo bene quanto sia difficile - e per certi aspetti doloroso, se pensiamo alla figura di Langer e all’accusa rivoltagli di aver tradito il vincolo dell’appartenenza - spingersi oltre gli steccati dell’etnocentrismo per raggiungere i confini del proprio io-mondo e disporsi, da questa prospettiva, ad osservare in entrambe le direzioni: dentro e fuori. Sappiamo però anche che si tratta di uno sforzo che può essere premiato dalla ricchezza che porta con sé il rapporto con l’”altro” e con le altre culture; ci aiuta a capire inoltre che il nostro non è necessariamente il migliore dei mondi possibili.

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