Giorgio Mezzalira: Le montagne “zebrate”
L’ultimo numero dello Spiegel ha fatto parlare di sé per una scioccante copertina che grazie a un montaggio fotografico ritraeva Angela Merkel insieme a un gruppetto di gerarchi nazisti in divisa sullo sfondo del Partenone. Altrettanta impressione però avrebbero dovuto produrre i numeri snocciolati nell’articolo di Nils Klawitter dedicato al turismo nelle Alpi. Avrebbe dovuto far riflettere la constatazione di luoghi del turismo invernale trasformati in un parco dei divertimenti e degli eccessi, come racconta la storia di un hotelier austriaco di successo, Günther Aloys, capace di far dipingere 400 mucche con motivi di Picasso e Andy Warhol per offrire un tocco eccentrico ai suoi mega party in montagna, frequentati da star dello spettacolo. Follie capaci, dal un punto di vista del marketing, di generare risposte uguali e contrarie se una valle laterale dell’Osttirol si presenta ai turisti con un disarmante: “Venite da noi, noi non abbiamo niente”. Entrambi misure di una realtà ormai impazzita. L’inverno scorso un piccolo paese austriaco di 1.500 abitanti è arrivato a ospitare 1,3 milioni di persone ed è solo uno dei tanti esempi che sarebbe possibile fare. La Commissione internazionale per la protezione delle alpi ha calcolato la presenza in tutta l’area alpina di 18.000 piste, 12.000 impianti a fune che trasportano in montagna in un’ora fino a 10 milioni di persone. Anche noi nel nostro piccolo non scherziamo in quanto a numeri. Nella stagione invernale 2012-13, secondo l’Astat, sulle nostre belle montagne sono stati trasportati via fune quasi 124 milioni di persone, con una capacità di più di 500 mila persone l’ora (in sostanza tutti gli abitanti della nostra provincia). Dati che fanno tremare i polsi e parlano da soli circa la sostenibilità ambientale di simili trend: non a caso proprio ieri è stato avviato uno studio sul futuro del turismo. C’è da chiedersi quando arriveranno i costi da pagare, perché è impensabile che non succeda. Dalle ricerche e studi sull’impatto del cambiamento climatico sull’innevamento in montagna si deduce che in un periodo stimato tra il 2030 e il 2050 potremo contare su “neve certa” a partire dai 1.800 metri d’altitudine in su. Ciò significa, calcoli alla mano, che il 60% dei nostri impianti si troverà ad arrugginire in fretta, a meno che non si decida di sparare a ripetizione scie di neve artificiale tra il verde dei boschi. Sopportando però a questo punto un aumento dei costi energetici, in barba a qualsiasi agenda, convenzione o accordo sul risparmio energetico siglato nel frattempo. Se si può sciare anche a Dubai, perché non dovrebbe essere possibile farlo nel pittoresco skyline di belle montagne zebrate?