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Giorgio Mezzalira: La vergogna dimenticata

14.3.2008, Corriere dell'Alto Adige e del Trentino - editoriale

Ad oggi in pochi, anzi pochissimi, hanno richiamato con preoccupazione la scomparsa, tanto dal nostro vocabolario quotidiano, quanto dal catalogo delle nostre pratiche del vivere civile, della parola vergogna. Norberto Bobbio, tra questi, lo riteneva un fatto grave; lo considerava come segno preoccupante di un vuoto di autorità morale laica, tale da mettere in crisi la stessa educazione civile dei cittadini e, con essa, del bene comune, del senso dello Stato. Un vuoto che appare riempito in misura crescente dalla religione. Diverse le cause: la perdita di autorevolezza delle figure del genitore, dell’insegnante, del politico, …; il declino delle vecchie tradizioni politiche e di pensiero che coniugavano valori e impegno civile (i grandi partiti del dopoguerra erano anche questo). Unico il risultato: la vergogna, ovvero ciò che si prova quando si sa di aver compiuto un atto che la coscienza morale condanna, pare scomparsa o, al meglio, consegnata al galateo dei “bei tempi andati”.

Legittimo chiedersi se il venir meno di quel sentimento che ci scopre vulnerabili alla disapprovazione sociale, implichi anche il venir meno del nostro riferimento agli altri, della stessa consapevolezza e del rispetto dell’altro, come individuo o gruppo che può esprimere con autorevolezza approvazione o disapprovazione nei confronti degli atti che compiamo. La vergogna infatti, a differenza del senso del peccato che può essere vissuto in solitudine e senza che implichi un danno in confronto ad altri, è un sentimento legato al senso di appartenenza, ad una condivisione di valori con altri. Quanta della cosiddetta libertà di auto-determinarsi, di rivendicare il diritto di decidere in proprio – oggi tanto in voga – nasconde il comportamento di chi non riconosce autorità morali a cui obbedire? Quanto coraggio e quanto orgoglio del sé (individuale o collettivo che sia) si confonde con il non provare vergogna? Quanti proclami libertari denunciano la scarsa capacità di responsabilizzazione?

La vergogna è un buon indicatore dello stato di salute del buon vivere comune perché ci dice, in sostanza, che una collettività è passata dallo stadio delle individualità poco e male coese, dal conformismo dell’appartenenza, a quello della condivisione di valori, della consapevolezza che debbano prevalere atteggiamenti non improntati all’individualismo, ma al bene dell’intera collettività.

Se guardassimo alla nostra società come si guarda ai processi di crescita di un bambino viene da dire in cattivo psicologhese che, invece di diventare adulti e maturi, si stia un po’ tutti regredendo. Quando la coscienza del sé non si sviluppa in consapevolezza si blocca il processo di crescita, ma in compenso a quel punto non c’è più niente per cui vergognarsi.

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