Giorgio Mezzalira: La memoria ha un corpo fragile
Quando il 27 gennaio 1945 si aprirono i cancelli del Lager di Auschwitz, gli orrori se ne andarono per il mondo. E il mondo se ne dovette fare carico. Era un’immensa colpa e gravava sulle ragioni stesse dell’essere dell’uomo. Adorno si chiese se dopo Auschwitz sarebbe stato ancora possibile scrivere poesia. Hannah Artendt ne ricercò le sue origini, fino a giungere ad interrogarsi sul contrasto fra il potere smisurato dell’uomo sull’intero universo e la sua incapacità a vivere in un mondo modellato dalla sua forza e a comprenderne il senso. Per alcuni storici Auschwitz è il Novecento, il paradigma di un secolo intero. Una rottura tra progresso e umanità che per la prima volta si è compiuta in modo consapevole. La Shoah, sostengono, l’eliminazione scientifica di un intero popolo, di milioni di persone, ha dimostrato che il progresso economico ed industriale può entrare in contraddizione con il progresso umano e sociale e generare uno spaventoso cortocircuito. In modo ancora più stringente Auschwitz ci fa riflettere sul fallimento delle istituzioni e delle società, fallimento su cui ha poggiato una simile ed inaudita violenza.
Sono significati ed interpretazioni, di evidente l’importanza, che non possono essere disgiunti dalla memoria di quell’evento e dalla sua custodia. La testimonianza dei protagonisti e dei sopravvissuti diventa centrale per rivelarne il carattere “radicale” ed “unico”. La testimonianza che ci riconsegna, nel flusso della memoria, la fotografia autentica di quell’esperienza, è ciò che è in grado di dissolvere la zona d’ombra che accompagna Auschwitz ed i suoi orrori e sfugge all’ambizione stessa della storia di darne un disegno.
Dobbiamo chiederci oggi in quale contesto di valori collochiamo l’imperativo morale di non dimenticare, che sta nel monito di Levi. In quale tensione morale della nostra società? La memoria, ammoniscono gli storici, è un corpo fragile: quella dello sterminio lo diverrà ancora di più quando anche gli ultimi testimoni se ne saranno andati.
Nel vuoto pneumatico che viviamo in Alto Adige/Südtirol rispetto a quanto accade fuori dai nostri confini, siamo riusciti sui resti del muro del Lager di Bolzano a far diventare l’anniversario di quella data un appuntamento che si celebra nel segno di una memoria condivisa. Salvaguardiamolo come un bene prezioso e teniamolo fuori dalla retorica.