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Giorgio Mezzalira: Jörg Klotz il dialogo ha vinto

22.9.2019, Corriere dell'Alto Adige - editoriale

Nacque un giorno dopo la firma del trattato di Saint Germain che consegnava l'Alto Adige e il Tentino al Regno d'Italia. Era l'11 settembre 1919. Per lui, tirolese, che prima e dopo la seconda guerra mondiale fu nemico dichiarato del tricolore al Brennero, più che un brutto scherzo del destino deve essergli sembrato un vero e proprio affronto, un'onta da lavare. La sua immagine con il cappello piumato campeggia in questi giorni sulla pagina online del Südtiroler Heimatbund per la ricorrenza dei cento anni dalla nascita. Jörg Klotz ci appare nella classica divisa da Schützenmajor con la bella mostra di medaglie e croci al valore guadagnate da sottufficiale dei Gebirgspionieren della Wehrmacht in Norvegia e in Russia. La sua figura sarà ricordata oggi con una celebrazione pubblica organizzata dalla sua famiglia e dallo Schützenbataillon Passaier. Lui che, nella retorica della narrazione dei nostalgici “combattenti per libertà” (Freihetiskämpfer) e dei loro epigoni, viene dipinto come un grande idealista, un eroe romantico votato al sacrificio, quasi una sorta di inafferrabile primula rossa che seminava la paura tra i nemici. Le note biografiche che accompagnano il suo ritratto recitano infatti con enfasi: perseguitato dal potere dello Stato, cacciato da un intero esercito e temuto dall'Italia intera. Un profilo assai diverso da quello che esce dalle informative del ministero dell'Interno alla fine degli anni Cinquanta, che ce lo presentavano come un uomo di modesta cultura e di scarsa capacità organizzativa, una persona poco seria e poco amante del lavoro, di carattere deciso e talvolta violento. Veniva anche segnalata la scarsa stima di cui godeva nel circondario, pur avendo un discreto ascendente su “una modesta parte” della popolazione della frazione di Valtina a S. Leonardo in Passiria. Stando a questo identikit, Klotz non sembrerebbe proprio aver posseduto né la stoffa del leader né l'habitus dell'eroe.

Sua figlia Eva in una lunga e recente intervista rilasciata al Südtiroler Tageszeitung respinge l'idea che il padre possa essere definito un terrorista. Ma quale figlia potrebbe lanciare al padre una simile accusa? Lui che era militarmente esperto, se avesse voluto, ogni giorno avrebbe potuto causare un bagno di sangue ma non lo ha fatto. Eva lo ribadisce, ne è convinta. Ma non si tratta di provare se Jörg Klotz fosse o meno un sanguinario. Anzi, sicuramente non lo era. La questione è un'altra. Lui faceva parte dell'ala dura del Bas, quella tirolese, quella che aveva scelto la lotta armata per “liberare” l'Alto Adige dall'Italia. Una decisione presa con piena consapevolezza dei rischi e che non escludeva uno scontro sul piano militare, anzi lo presupponeva, insieme al suo carico possibile di vittime.

Definire oggi Klotz simbolo del combattente votato al sacrificio per liberare il proprio paese dallo straniero può aver senso per quanti oggi, come lui, vagheggiano – ormai fuori dalla storia – un Alto Adige libero dall'Italia e un Tirolo unito. Quella lotta politica, velleitaria e condotta negli anni caldi del secondo dopoguerra scegliendo lo strumento della violenza per affermare le proprie ragioni, è stata sconfitta dalla volontà di dialogo. E senza aver bisogno di eroi e di sacrifici umani. Dice bene Eva, ricordando il motivo delle scelte del padre: non lo ha fatto per questa nostra autonomia.

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