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Giorgio Mezzalira: Il palleggio delle responsabilità sui profughi

14.10.2014, Corriere dell'Alto Adige - editoriale

Continuiamo a definirla emergenza profughi anche se gli sbarchi sulle coste italiane sono una costante almeno dagli anni novanta dello scorso secolo. E’ una storia di migrazione costellata da migliaia di vittime; la somma di tante singole tragedie che si sono ripetute ma che non abbiamo mai deciso di considerare “annunciate”. E la morte in quei viaggi che si chiamano della speranza è diventata una variabile fissa per chi, perseguitato o spinto dal desiderio di realizzare per sé e i propri cari un futuro migliore, decide di raggiungere l’altra sponda del mondo. Secondo Borderline Europa (Premio Langer 2014), un’associazione no profit attenta ai diritti umani e alle sorti di migranti, profughi e rifugiati, nel cimitero del Mediterraneo nei primi nove mesi del 2014 ci sono state oltre 3.000 morti registrate; in nessun’altra parte del mondo – si aggiunge – c’è stato negli ultimi anni un simile numero di vittime tra chi fuggiva. Con la sostituzione dell’operazione Mare Nostrum il conto è destinato a crescere. Dei “fortunati” che arrivano, ce ne facciamo carico spesso malamente: per il regime di restrizione della libertà di movimento a cui sono sottoposti, per l’inadeguatezza delle strutture di accoglienza, per lo stato di abbandono a cui li consegniamo, per l’incapacità che dimostriamo nel capire che l’assistenza non può trasformarsi in detenzione e negazione del principio di autodeterminazione del singolo. Molti di questi, tra il resto, a dispetto di un’opinione comune diventata molto permeabile alla xenofobia e all’ignoranza che l’accompagna, non hanno alcuna intenzione di fermarsi in Italia.

La disciplina europea in materia non aiuta e le criticità del regolamento di Dublino con l’obbligo di identificazione nel primo paese di arrivo ne sono la conferma. Ma pur senza nulla togliere alle responsabilità dell’Europa che si rivela incapace di sviluppare una politica concertata, la questione dei migranti più in generale risulta una spia di tutte le criticità italiane (dal sistema di accoglienza allo sfruttamento sul lavoro, dall’inefficienza politica alla criminalità). Nei confronti dell’Europa, che ha celebrato se stessa con l’abbattimento delle barriere tra stato e stato, ripropone invece in modo insistente il tema dei propri confini esterni e interni, pronti a rialzarsi anche al Brennero nel caso dei respingimenti.

L’attuale crisi siriana sta costringendo anche noi, come città e come provincia, a confrontarci di nuovo con il problema; già nel periodo del conflitto balcanico erano stati infatti aperti centri di accoglienza nelle caserme di Malles e Monguelfo. Oggi si parla di circa 300 profughi arrivati in Alto Adige dall’inizio dell’anno, un numero non esorbitante ma che allarma le amministrazioni comunali locali, fa scattare il palleggio delle responsabilità tra comuni, provincia e stato, e fa temere una futura possibile inerzia politico-istituzionale.

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