Giorgio Mezzalira: Il naufragio di un sogno
In una cittadina lussemburghese, al confine con la Francia, lunedì verrà inaugurata la Giornata della cooperazione europea 2015. Il Consiglio dell'Unione e la Commissione Europea celebrano così 25 anni di cooperazione transfrontaliera. Cinque lustri di progetti pensati per crescere insieme oltre le frontiere; per superare, sempre insieme, i confini tra gli Stati. Nel frattempo, nella stessa Europa, si rafforzano i presidi e i controlli alla frontiera del Brennero, tornato ad essere quel confine caldo che la retorica del centenario della Prima Guerra mondiale vorrebbe cancellato per sempre. Austria, Germania, Slovacchia, Olanda chiudono le loro porte; gli stati dell’Est fanno muro contro i profughi mentre l’Ungheria il suo muro l’ha costruito materialmente e di filo spinato. Il trattato di Schengen più che sospeso pare congelato. Argini destinati a non reggere l’inarrestabile flusso della migrazione. Contraddizioni di un’Europa che naviga a vista e affonda insieme alle migliaia di migranti nel Mediterraneo.
Quella che continuiamo a definire malamente emergenza immigrazione sta scuotendo alle fondamenta alcuni dei capisaldi della costruzione europea: la libera circolazione, l’abbattimento delle barriere tra gli stati e lo spazio dei diritti della persona. Erano i primi anni Novanta del secolo scorso quando le ondate di profughi e migranti raggiungevano le nostre coste. Oggi ricorre il mesto ricordo di 25 anni di lungo naufragio del sogno di un’Europa unita e solidale. Non serve che ce lo dicano gli analisti americani, l’Europa continuerà per molto tempo ancora a essere l’approdo per moltitudini di migranti economici e profughi e la convivenza con popolazioni di altre lingue, culture e religioni sarà la norma. Anzi, lo è già. E prima lo capiamo, prima impariamo a governare il problema.
In provincia di Bolzano la macchina della prima accoglienza pare funzionare; abbiamo strutture da mettere a disposizione e possiamo contare su presidenti e sindaci che non si mettono di traverso. Ma, dopo i primi aiuti, il monitoraggio di questa macchina deve essere costante e accurato. E’ proprio nelle molte pieghe della gestione dei migranti che si nasconde il rischio di fare danni. “Perché sei andato via dal tuo paese e sei venuto in Italia?” chiede un membro della commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato ad un giovane del Bangladesh attualmente ospitato a Bolzano. “Per fare una vita bella” riporta il traduttore alla commissione dopo aver ascoltato il ragazzo che parla nella sua madrelingua. Peccato che il ragazzo abbia invece detto “per sopravvivere”. Glielo daranno lo stesso il riconoscimento di rifugiato?