Giorgio Mezzalira: Estraniati in un riparo sicuro
L’appello lanciato ai partiti dai teologi Golser e Renner affinché prevalga il dialogo e la solidarietà, merita di essere ripreso e sostenuto. In una prospettiva più laica che religiosa, la salvaguardia del creato, l’amore e la carità verso il prossimo, dovrebbero diventare la salvaguardia (quindi la tutela) del bene e dello spazio pubblici,nonché, più specificamente il rispetto dei diritti della persona umana. Due fondamenti del vivere civile che hanno subito crescenti processi di logoramento, anche grazie al prepotente emergere del “privato”, coniugato spesso e volentieri come individualismo e deresponsabilizzazione.
Il pericolo che la figura del diverso/nemico, a cui i due teologi si richiamano, ingombri i pensieri e condizioni i nostri comportamenti non solo è concreto, ma inevitabilmente connesso con la sensazione di insicurezza e di paura che si respira un po’ dappertutto, anche qui da noi. Semmai, in Sudtirolo, c’è una ragione in più a rendere ancora più pressante l’appello, si chiama senso di appartenenza ad una comunità.
Provando a schematizzare un po’ grossolanamente, si può dire che maggiore è l’ansia e il senso di insicurezza, più avvertito è il bisogno del riparo sicuro, più stretto ed esclusivo diventa il legame della comunità, maggiori diventano la separazione e l’estraniazione. Un meccanismo che sicuramente appaga e rassicura i membri della comunità, perché li protegge e ne salvaguarda gli interessi, ma che li rende anche meno liberi e approfondisce la distanza tra il noi e il diverso da noi. L’immagine della cittadella fortificata, del muro, dei condomini cintati e guardati a vista, ma anche gli slogan elettorali che fanno forza sul territorio che “ci appartiene”, sono luoghi fisici e culturali della separazione e della separatezza, declinano più il territorialismo che il territorio, l’esclusività più che l’inclusività.
A noi, che siamo molto sensibili al richiamo del gruppo e che abbiamo una storia piuttosto ricca a riguardo, dovrebbero rimanere ben presenti le possibili chine etnocentriche, così come, d’altra parte, dovrebbero essere altrettanto presenti le esperienze di convivenza interetnica. Sarebbe bene anche ricordare cosa è stata, politicamente e culturalmente, la stagione del “più ci separiamo, meglio ci comprendiamo”.