Giorgio Mezzalira: Diamo spazio ai pensieri meridiani
La pubblicazione del nuovo libro su Alexander Langer «Fare ancora - Weitermachen» è una buona scusa per chiedersi a quale punto siano le idee di cui Langer è stato portatore e propugnatore.
A una società che si nutre della separazione come garanzia della propria sopravvivenza è arduo chiedere di diventare interetnica. Di più: è problematico perfino farle digerire pillole di interetnicità. Non è costituzionalmente attrezzata per simili «contaminazioni», sebbene queste ultime risultino per essa costituzionalmente insopprimibili.
Non è un gioco di parole, bensì una semplice constatazione: la società disegnata e normativamente prevista dallo Statuto speciale come beneficiaria delle garanzie e dei diritti autonomistici non esaurisce né rappresenta tutta la comunità. Ieri, oltre ai tre canonici gruppi linguistici, c'erano i mistilingue a rivendicare la loro alterità, oggi c'è un mondo intero: non serve che si sventolino cartelli per cogliere anche in provincia di Bolzano la ricca diversità dei suoi abitanti. Il censimento di quest'anno, nonostante le novità che lo caratterizzano, continuerà a non rimandarci il fedele ritratto di chi vive in Sudtirolo. Se la logica dei gruppi piega e spiega la realtà sociale, ne può venir fuori solo l'immagine deformata del «come dovrebbe essere», non certo l'articolazione che la sostanzia.
Si è continuato a imputare al termine «interetnico» un'intrinseca contraddizione che, in parole povere, suona nel seguente modo: non puoi essere tutti e due, o sei uno o sei l'altro. Un discorso assolutamente legittimo e logico. Ma se uno poi deve scegliere, non viene forse a galla questa forte e visibile duplice identità?
A guardare il Sudtirolo di oggi, si potrebbe dire che delle idee di Langer non se ne vedono molte in circolazione. I discorsi sulla convivenza paiono ormai quella quasi immancabile nota di colore con cui si confeziona il discorso politico. Eppure, sebbene incompiuto, rimane il tentativo di dare respiro ed «enciclopedia comune» a una cultura interetnica che oggi si offre come possibile passepartout per entrare nelle terre - tutte - dove il rapporto con l'altro diventa difficile e vero.
La politica qui c'entra poco, diventa invece centrale una costruzione del pensiero, una prospettiva del mondo, la scelta di dove situarsi per cogliere e fare esperienza dei mondi vicini. Dove più mondi si toccano ed entrano in contatto, c'è meno bisogno di geometrie etnocentriche e molto più bisogno di pensieri meridiani. Siamo in grado di far crescere anche questa nostra «specificità» culturale?