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Giorgio Mezzalira: Cultura dei diritti a rischio

25.7.2019, Corriere dell'Alto Adige e del Trentino - editoriale

Null'altro che tutela della legalità, del bene e della salute pubblici. Così almeno si presenta il contenuto della direttiva del 15 luglio scorso del ministro dell'Interno Matteo Salvini, il cui oggetto recita “Insediamenti di comunità Rom, Sinti e Caminanti”. Nel suo asettico linguaggio burocratico il documento parla della necessità di una “concreta soluzione” alle situazioni di illegalità e degrado che “frequentemente si registrano negli insediamenti in oggetto e che spesso configurano un concreto pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica”. La soluzione cui si fa cenno è lo sgombero. Un semplice provvedimento amministrativo che non ha nulla a che fare con un censimento dei Rom? Il testo della direttiva parrebbe suggerirlo, ma come si fa a non allegarvi le dichiarazioni presenti e passate del nostro ministro dell'Interno che un anno fa chiedeva un censimento sui Rom e aggiungeva che “quelli italiani purtroppo ce li dobbiamo tenere”. C'è ancora qualche dubbio circa il fatto che per Salvini tra una politica di espulsione e una di integrazione prevalga la prima? E tutto in una sostanziale linea di continuità con quanti prima di lui – si pensi a Maroni altro ministro dell'Interno leghista – sono stati gli interpreti della politica della ruspa contro i campi nomadi. Usando una metafora loro cara, è tutto nel “dna” della Lega.

Ma se i problemi da combattere sono abusivismo e degrado, perché stringere i controlli solo sui Sinti e i Rom? Non si chiama discriminazione? Singoli episodi a parte, la presenza dei nomadi in Italia – molti dei quali sono cittadini italiani – rappresenta davvero un'emergenza tale da giustificare accertamenti a tappeto sui loro insediamenti (autorizzati e non)? Vuoi che le autorità di pubblica sicurezza non trovino qualche irregolarità, passibile di pena, pure durante le ispezioni negli insediamenti autorizzati?

Radames Gabrielli, presidente dell'associazione “Nevo Drom”, intervistato da questo giornale ha evocato le persecuzioni razziali contro gli “zingari” nel Terzo Reich. Un richiamo, il suo, che tiene alta la soglia di attenzione sui diritti delle minoranze. Di certo non siamo nell'anticamera del ritorno al fascismo in Italia. Confondere ciò che sta accadendo con quanto è successo quasi un secolo fa, non aiuta a capire bene ciò che è sotto ai nostri occhi. Fascismo e nazismo sono stati fenomeni storici, nati dentro specifici contesti politici, sociali ed economici. Ma se non siamo nell'anticamera del ritorno a quei regimi, è innegabile che oggi ci troviamo nella cucina della democrazia della non uguaglianza, alle prese con le ricette di un governo, quello italiano nella fattispecie, pronto a dare una stretta ai diritti fondamentali quando si tratta di migranti, Rom, Sinti e a far passare l'idea che prima vengono gli interessi degli italiani.

Stiamo correndo il rischio, tutti, di un progressivo arretramento della cultura dei diritti; la loro tutela, come ha osservato il costituzionalista Francesco Palermo, tende a diventare selettiva e a distinguere chi prima (e al posto di chi altro) ne può godere. Si tratta di forme di discriminazione che colpiscono inevitabilmente i gruppi più deboli e vulnerabili, quelli non protetti, da ghettizzare o, più radicalmente, da espellere. Come i Sinti e i Rom.

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