Giorgio Mezzalira: Gli incerti equilibri da salvare
Dopo che meno di un mese fa un'ordinanza di Kompatscher l'aveva trasformata in zona rossa, è annunciato che la provincia di Bolzano diventerà zona gialla dal 4 dicembre, parola del presidente della Provincia di Bolzano (nuovo Dpcm permettendo). Il lockdown decretato all'inizio di novembre, quale misura restrittiva, era in perfetta linea con le decisioni dei tecnici e del governo di Roma che lasciavano aperta la possibilità di introdurre a livello locale misure più rigide di contenimento del contagio, se necessarie. Ora la parziale riapertura di negozi, mercati, in parte le scuole, prevista per la fine di novembre pare preparare il terreno a un progressivo allentamento, fino a immaginare un ritorno a una quasi normalità con bar e ristoranti aperti. Ma soprattutto non si nasconde la speranza di far partire, pur con tutte le cautele, la stagione turistica invernale con impianti e alberghi in funzione. Alla vigilia del lockdown “salviamo il Natale” non era forse la parola d'ordine?
Lo screening di massa, cui è stata sottoposta la popolazione altoatesina, si è rivelato efficace per individuare gli asintomatici. Diciamo meglio una parte di questi, visto che a fronte di una popolazione provinciale di oltre 500.00 abitanti e continuando a stimare sull'1% i positivi che non sanno di esserlo, rimarrebbero in circolazione circa 1.500 possibili portatori sani del virus. Non proprio numeri da sottovalutare. In ogni caso i tamponi a tappeto hanno risposto a una urgenza e a una strategia. La prima, dettata dalla necessità di contrastare la curva esponenziale del contagio, alleggerendo in tal modo la pressione sul sistema sanitario, ospedali in primis. La seconda, invece, suggerita dal bisogno di aggredire la diffusione del virus per imprimere un'accelerazione verso il basso della curva dei contagi, tale da giustificare la progressiva revoca delle restrizioni previste, anche a beneficio di un sistema economico locale che sul turismo invernale si gioca 2,8 miliardi di euro. Fin qui niente di male, a patto che la legittima pressione dei settori più colpiti, che vorrebbero veder garantita almeno una parte di stagione, non comporti rischi per il contenimento dell'epidemia. Non è indifferente ad esempio capire come procederà l'andamento epidemiologico nelle aree di provenienza dei potenziali turisti, dentro e fuori d'Italia. Anche se il primo problema da risolvere sarà affrontare il deciso niet di Locatelli dell'Istituto superiore di sanità alla riapertura degli impianti sciistici, posizione su cui si è allineato anche il ministro alla salute Speranza. Chissà se il governo locale, sotto la pressione di albergatori e gestori di impianti, una delle più forti lobby economiche, punterà il dito contro Roma e seguirà l'Austria che, Europa d'accordo o meno, ha deciso di aprire comunque i propri caroselli invernali.
Sullo sfondo resta il braccio di ferro tra governo e regioni, ordinarie o speciali che siano, sulle misure da adottare per la lotta alla pandemia. Oltre alle fragilità del sistema sanitario nazionale, economico e dell'istruzione del nostro paese, il covid 19 ha fatto emergere anche quelle relative al quadro dei rapporti tra centro e periferia, tra governo e regioni, tra regioni e comuni. Più che dialogo è stato uno scontro di tutti contro tutti: ministri contro governatori, governatori contro sindaci e viceversa. Poi è arrivata la scelta di affidare agli esperti, ai tecnici, tempi, modalità e contenuti delle decisioni. Un'opzione che, pur dettata dall'emergenza, porta l'ombra di una politica debole, in difficoltà nel governare la complessità. Dall'altra parte, però, è proprio la pandemia a porre in assoluta evidenza l'esigenza di sviluppare politiche coerenti ed efficaci su materie che necessariamente richiedono la cooperazione tra centro e periferia.