Zoran Herzeg: 11 luglio 1995, la morte delle Nazioni Unite
L'11 luglio del 1995 è la data della caduta dell'enclave bosgnacca di Srebrenica in mano all'esercito dei serbi bosniaci e dell'inizio di quello che il Tribunale penale internazionale ha definito come atto di genocidio. La cattura e le esecuzioni di massa di maschi di Srebrenica, inclusi ragazzini di 13 anni e anziani, avviene davanti agli occhi del contingente olandese delle forze di pace delle Nazioni unite. L'11 luglio, infatti, è per me la data della morte delle Nazioni unite, dell'idea stessa di una giustizia internazionale e di un ordinamento legale che è possibile difendere dal più forte, con uno sforzo congiunto mondiale. Il massacro di più di 8000 persone avviene in piena vista, dato che Srebrenica in quel momento è una delle "zone protette demilitarizzate" instaurate proprio dall'Onu. In pratica, questo significa che i bosgnacchi sono stati sì disarmati (parzialmente), ma poi non sono più stati protetti dalla carica di quello che all'epoca è, secondo alcuni, il quarto esercito più forte del mondo sul piano degli armamenti (l'esercito dei serbi bosniaci è infatti aiutato materialmente dalla Serbia, seppur questo fatto sia stato riconosciuto soltanto indirettamente, dal Tribunale penale internazionale). Due anni fa, mi trovavo a Srebrenica in occasione della Settimana della memoria, organizzata dall'associazione Adopt Srebrenica e dalla Fondazione Alexander Langer Stiftung. Durante un pranzo, mi trovavo allo stesso tavolo con un abitante di Srebrenica di etnia serba, un vero monumento della storia della Bosnia, un ex funzionario molto altolocato del governo comunista, e con un "serbo progressivo" di oggi, un giornalista da fuori Srebrenica che non ha mai fatto fatica a riconoscere pubblicamente la sussistenza del genocidio, contrariamente a quasi tutti i suoi connazionali che ancora negano i fatti. Eppure, anche lui, a un certo punto, si è avvicinato al nostro commensale e gli ha chiesto sottovoce: "sì, va bene tutto, ma davvero hanno massacrato OTTOMILA persone in una settimana?" Dall'espressione del nostro amico anziano si vedeva che questa non era la prima volta che gli facevano questa domanda. In risposta, ci ha raccontato di questa signora di Srebrenica che abitava proprio là, in quel palazzo davanti al ristorante, in pieno centro di Srebrenica. Bene, lei aveva un figlio di circa 15 anni e quando è arrivato l'esercito serbo, l'ha travestito da ragazza, mettendogli lo chador, ed è salita assieme al bus che avrebbe dovuto trasportare le donne a Tuzla. A un posto di blocco è entrato né più né meno che il loro vicino di casa. Anzi, proprio il tizio che abitava sul loro stesso pianerottolo. Ora nelle vesti dell'esercito aggressore. "Cara vicina", le ha detto, "che piacere vederla". E a questo punto, nella donna sono probabilmente esplosi mille sentimenti, inclusa la speranza che forse ce la potevano fare. "Ma, sa che non mi ricordavo che lei avesse una figlia. Io mi ricordo del suo figlio, invece", ha continuato il vicino, prima di prendere il ragazzo per mano e portarlo fuori dal bus. La donna non l'ha mai più rivisto. "Ecco", ha detto il mio monumentale amico serbo di Srebrenica, "io non voglio entrare nel merito dei numeri. A me questa storia basta per capire come sono andate le cose"