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La Fondazione Alexander Langer Stiftung e l'anno che verrà, di Giovanni Accardo

29.2.2020, autore, report pubblicato sul quotidiano Alto Adige

Il 22 febbraio Alexander Langer, scomparso il 3 luglio del 1995, avrebbe compiuto 74 anni, per l’occasione gli amici della Fondazione a lui intitolata sono arrivati da tutta Italia a Vipiteno, sua città natale, per ricordarlo e fare il punto sulle attività future in una serie di incontri che si sono tenuti anche domenica 23.

Era la prima volta che la città accoglieva un incontro della Fondazione e la risposta dei cittadini e dell’amministrazione, rappresentata dall’assessora Verena Debiasi, è stata estremamente positiva. Nei locali della Biblioteca civica, messi a disposizione dalla direttrice Karin Hochrainer, è stato intanto annunciato da Giorgio Mezzalira, che se ne occupa da tempo, che l’archivio Langer è stato riconosciuto di interesse nazionale dalla direzione generale archivi del Ministero per i beni e le attività culturali. E che è stata avviata una collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, che tra l’altro conserva le carte di Mauro Rostagno sul ’68, con l’obiettivo di valorizzare l’archivio e avviare la sua progressiva digitalizzazione per aree tematiche, attraverso seminari e convegni, ma anche raccogliendo e catalogando altri materiali, come ad esempio le numerose (circa 400) registrazioni audio e video di interventi pubblici e istituzionali di Alexander Langer rsccolti da Radio Radicale.

Uno degli obiettivi che la Fondazione vuole perseguire è la diffusione del pensiero del politico sudtirolese, facendolo arrivare nelle scuole e all’estero, attraverso la traduzione in varie lingue di uno dei suoi saggi più importanti, ovvero il Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica, scritto nel 1994, probabilmente uno dei suoi testi più “profetici”, capaci di cogliere la profonda trasformazione in atto nelle principali nazioni europee. Già nel primo punto Langer scrive che «La convivenza pluri-etnica, pluri-culturale, pluri-religiosa, pluri-lingue, pluri-nazionale... appartiene dunque, e sempre più apparterrà, alla normalità, non all'eccezione. Ciò non vuol dire, però, che sia facile o scontata, anzi. La diversità, l'ignoto, l'estraneo complica la vita, può fare paura, può diventare oggetto di diffidenza e di odio, può suscitare competizione sino all'estremo del "mors tua, vita mea".»

Sulla capacità, visionaria più che profetica, di cogliere in anticipo le trasformazioni in atto e di saper vedere lontano, è intervenuto Michael Seeber, il proprietario della Leitner ropeways, amico d’infanzia di Langer, al quale lo lega anche la città di Sarajevo, a cui l’europarlamentare dedicò gran parte del suo impegno politico per spezzare l’assedio deille milizie serbi e dove l’anno scorso è stata inaugurata la cabinovia costruita proprio dall’azienda di Vipiteno e che collega la città bosniaca col monte Trebević. «Alex aveva capito con largo anticipo che l’Europa stava imboccando una direzione sbagliata, basta leggere o rileggere il suo articolo L’Europa muore o rinasce a Sarajevo. Alex è stato un rivoluzionario visionario però fortemente legato alla sua città natale, ogni 23 dicembre veniva a cena a casa mia e spesso le nostre discussioni sfociavano nel conflitto, visto che non sempre le nostre idee coincidevano, però lui non era uno di quei Verdi spaventati dal progresso e che si limitano a dire no, lui ascoltava e si sforzava di capire il tuo punto di vista.»

Ritornando ai progetti della Fondazione, uno prevede di organizzare una serie di lezioni esemplari, sul modello di quelle organizzate dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi, sui dieci punti del Decalogo, cercando collaborazioni con Università ed enti di ricerca disponibili ad assegnare borse di studio a giovani studiosi interessati ad approfondire il pensiero di Langer. In collaborazione con “Antenne migranti” la Fondazione continuerà il monitoraggio della situazione dei migranti e dei richiedenti asilo a Bolzano e in Trentino Alto Adige, soprattutto dopo che i decreti Salvini hanno aggravato la situazione, gettando molti di loro nell’illegalità, e mettendo in condizione di non poter svolgere le loro attività diverse associazioni, onlus e cooperative. Attraverso il lavoro di Federico Faloppa, linguista dell’Università di Reading e collaboratore della Fondazione, proseguirà lo studio sui linguaggi d’odio nel web e nell’informazione, in collaborazione con enti e istituzioni nazionali e internazionali, per prevenire i sempre più diffusi fenomeni di razzismo, xenofobia e discriminazione.

Grazie a Simone Zoppellaro, collaboratore di “Gardens of the Righteous Worldwide”, onlus di Milano che si occupa di far conoscere i giusti in tutto il mondo, Langer sarà ricordato in Germania, una terra con cui aveva numerosi legami politici, umani e culturali. A Stoccarda ci sarà un concerto dei Donatori di musica, mentre l’Università di Tubinga ha dato la sua disponibilità a ospitare un convegno per far conoscere Langer al di fuori della sua attività politica, concentrandosi piuttosto sul suo pensiero.

L’altro fronte su cui la Fondazione lavora da anni e su cui intende investire ancora è la Bosnia, sia la collaborazione con “Adopt Srebrenica”, l’associazione che cerca di ricostruire una convivenza multietnica nella città vittima del genocidio del 1995 (avvenuto proprio pochi giorni dopo la morte di Langer), sia potenziando i legami con Tuzla, città alla quale Langer era molto legato e dove opera la psichiatra Irfanka Pasagic (insignita del premio internazionale Langer nel 2005) che dal 1992, con l'associazione Tuzlanska Amica, lavora con le vittime della guerra e dei lager, in prevalenza donne e minorenni. «In Bosnia», racconta Valentina Gagic di “Adopt Srebrenica”, «la violenza non è mai scomparsa ma opera in maniera più o meno sotterranea e simbolica, pronta ad esplodere alla prima occasione. Ancora oggi il potere politico manipola e separa etnicamente le persone, usando strumentalmente la storia e senza alcuna possibilità di arrivare a una narrazione condivisa dei fatti accaduti. Addirittura i criminali di guerra sono visti come eroi, mentre coloro che hanno rischiato la vita per salvare delle persone non lo possono neppure dire. Agli inizi di gennaio alcuni ragazzi di 12 anni hanno pubblicamente glorificato i cetnici, cioè le bande armate serbe responsabili di terribili violenze, con l’appoggio dei loro genitori e anche di alcuni esponenti della chiesa ortodossa. Ne è derivato un conflitto verbale nel quale ognuno auspicava l’eliminazione dell’altro. Anche per questo la Bosnia si sta svuotando, ogni anno emigrano 30-40 mila persone.» Grazie alla collaborazione con Alfredo Sasso, ricercatore di storia contemporanea e all’Istituto storico per la Resistenza di Torino, l’associazione sta raccogliendo foto, filmati, oggetti personali, lettere, documenti con l’obiettivo di restituire alla città di Srebrenica non solo una memoria ma anche il ricordo e l’esempio di un’epoca, quella precedente alla guerra degli anni ’90, in cui la convivenza era la normalità.

 

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