L'intervento di Shirin Ebadi all'Accademia Europea di Bolzano il 3 luglio 2009. A cura di Rosanna Sestito
“Non fate di me un’eroina. … Questo paese, l’Iran, ha già patito troppo del culto delle leggende viventi, fonte di dispotismo. Gli eroi muoiono, falliscono, tradiscono. Siate gli attori del vostro destino. Che cosa vale un cambiamento sociale basato su un solo essere?” aveva detto Shirin Ebadi nell’anno in cui le è stato attribuito il premio Nobel per la pace.
Il 2 Luglio Shirin Ebadi ritira il premio assegnato a Narges Mohammadi dalla Fondazione Alexander Langer nella città di Bolzano, alla quale è stato negato il passaporto. Sarebbe dovuto venire anche il marito di Narges, Taghi Rahmani, ma è stato arrestato il giorno successivo alle elezioni… Shirin Ebadi, 61 anni, avvocata, madre di due figlie, s’impegna soprattutto per la difesa dei diritti delle donne e dei bambini. Le sue attività sono l’assistenza legale agli accusati e condannati per crimini politici e supporto ai loro famigliari, la pubblicazione di rapporti annuali o trimestrali sulla situazione dei diritti umani in Iran, soprattutto delle donne. Queste le parole pronunciate dalla signora Ebadi a Bolzano il 2 luglio nell’ambito dell’iniziativa Euromediterranea “Equal rights Iran”: “Siamo nel terzo millennio e nonostante il progresso tecnologico non possiamo purtroppo dire che anche la civiltà umana è altrettanto progredita, tanto che non c’è parità tra uomini e donne. E questa disparità esiste in tutto il mondo, anche in occidente. Prendiamo ad esempio l’Italia, quante donne ci sono al parlamento o nei posti dirigenziali? Poche, e perché? Sono stata invitata in Nord Europa per un convegno e ho sempre pensato che in questi paesi la situazione fosse veramente all’avanguardia. Ma ho scoperto che anche lì non c’è parità. Per partecipare al convegno mi è stato dato un badge dove c’era disegnato un quarto di euro. Mi è stato spiegato che quel quarto di euro voleva dire che le donne hanno meno riconoscimento a livello di salario. In molti paesi africani oltre alle leggi discriminatorie ci sono le convinzioni tribali: esistono ancora le mutilazioni genitali femminili. Molte ragazze africane non vanno all’università perché viene detto loro che non serve a niente studiare ed è insegnato loro a cucinare. Nel mondo islamico, ovviamente, la situazione è diversa a seconda del paese considerato.In Arabia Saudita fino a qualche anno fa le donne non avevano neanche la carta d’identità. Oggi ce l’hanno ma non hanno tanti altri diritti, ad esempio non possono guidare. Sono cittadine di seconda serie, non hanno gli stessi diritti degli uomini, le donne sono rispettate in base al numero di figli maschi che partoriscono. In alcuni paesi musulmani le donne per poter studiare devono avere il permesso del marito o del padre. Nonostante nuove leggi, in Afghanistan, la cultura patriarcale è talmente forte che quando una parlamentare donna osa criticare il paese viene mandata via. Solo a Kabul le donne si sentono un po’ libere, nel resto del paese le donne portano ancora il burka e i talebani hanno bruciato molte scuole femminili. In Iraq l’integralismo ha colpito soprattutto le donne.Ora parlerò dell’Iran.In questi giorni sono stati proiettati dei filmati e avete potuto vedere che le donne portano un velo per la legge che è stata varata dopo la rivoluzione islamica. Tutte le donne devono portare il velo, altrimenti compiono un reato: la fustigazione come punizione, cioè ottanta frustate. Voglio darvi qualche altro esempio per dirvi come vivono le donne in Iran.Un uomo può avere fino a quattro donne; la vita di una donna vale metà di quella di un uomo; la testimonianza di due donne vale quanto quella di un uomo; le donne per viaggiare hanno bisogno del permesso scritto del marito; spesso per la donna è impossibile divorziare. Però siamo di fronte a leggi che non sono adeguate alla situazione culturale.Più del 65% degli studenti universitari in Iran sono donne, dunque un paese dove ci sono più donne istruite che uomini. Le donne iraniane hanno ottenuto il diritto al voto ancora prima delle donne svizzere. Abbiamo trenta deputate al parlamento. Le donne sono presenti a tutti i livelli nella vita pubblica. Si sono imposte anche in presenza degli integralisti, l’attuale presidente ha una vice che è donna, ma anche la vice del presidente se deve andare all’estero deve chiedere il permesso scritto a suo marito. Già duemila anni fa abbiamo avuto due imperatrici donne. Le donne in Iran, essendo così istruite e occupando cariche importanti, non possono accettare queste leggi discriminatorie e per questo lottano e cercano di manifestare il loro dissenso. In questi giorni c’erano molte donne per le strade di Teheran. Tutta questa gente manifesta contro i brogli elettorali, contro le condizioni di vita chiedendo in maniera pacifica il cambiamento della loro situazione. Quando qualcuno ha dichiarato di voler fare questo, cioè portare un cambiamento in questo paese, lo hanno votato. Ma prima di finire lo spoglio elettorale il leader supremo religioso Khamenei si è congratulato con l’attuale presidente. E le donne hanno cominciato a manifestare il loro dissenso e Neda (ragazza uccisa durante le manifestazioni) purtroppo è diventata il simbolo innocente del nostro popolo ma è anche il simbolo della donna iraniana. Il primo giorno quando abbiamo visto la gente tornare a casa dopo la manifestazione, dall’ultimo piano di un palazzo del governo sono partiti dei colpi e sono state uccise otto persone: così è cominciata la violenza di Stato. Il filmato di quest’episodio è in internet. Il regime invece dice che è stato il popolo a sparare e a creare confusione accusando l’occidente di aver pagato queste persone per fomentare disordini nel paese. Il giorno dopo, alle tre del mattino, hanno attaccato la casa dello studente dell’Università di Teheran. Cinque persone sono state uccise. Quello che per il nostro popolo è molto importante è la solidarietà degli altri popoli del mondo, dell’Europa in particolare, gli iraniani non si sentono soli e questo premio testimonia il vostro interesse per ciò che succede in Iran. Molte sono le donne iraniane che sono state premiate ma, quasi a tutte, sono stati sequestrati i passaporti. Molte persone in Iran perdono il permesso di espatrio e il regime ritira i passaporti, senza che vi sia una legge che garantisca questo diritto. La nostra difficoltà, con questo regime, è che noi rispettiamo le leggi che loro fanno. Essi, invece, non si preoccupano di rispettarle. Il popolo iraniano sa che non sarà lasciato solo, spero che sia duratura l’amicizia tra l’Iran e il popolo italiano.Le donne in Iran chiedono pari diritti. Il nostro movimento chiede uguaglianza e si tratta di un movimento molto forte. Movimento che non ha una sede e non ha un leader. Da dove arrivano queste leggi discriminatorie? Alcuni pensano che alla base di tali leggi ci sia la shariah, la legge coranica, tanto da portare qualcuno ad affermare che finché ci sarà l’Islam non ci sarà parità. Non sono d’accordo. In tutto il mondo non c’è parità per le donne. Ad esempio le mutilazioni genitali femminili sono praticate anche in comunità cristiane. In India le donne che non hanno una dote da portare si suicidano perché non trovano marito: e le indiane non sono tutte musulmane, molte sono di religione indù. Anche in Cina uccidono ancora le bambine e c’è ancora l’aborto se il feto è femmina. I cinesi non solo non sono musulmani ma da anni vivono l’ideologia comunista. In Europa ci sono chiese che accettano i matrimoni tra omosessuali e chiese che non li accettano. Anche nell’Islam la situazione è diversa a seconda dei paesi. In alcuni paesi come il Pakistan le donne sono coinvolte nella vita politica, in Arabia Saudita non è così. In Iran e in Arabia Saudita lapidano ancora le donne, in altri paesi musulmani no. Il vero problema in realtà è la cultura patriarcale che permette quest’interpretazione dell’Islam. Bisogna separare lo stato dalla religione. Non dobbiamo dimenticare di combattere questa cultura patriarcale. Purtroppo le donne nonostante siano le vittime di questa cultura patriarcale, ne sono anche le portatrici. Io paragono la cultura patriarcale all’emofilia, che si trasmette da madre in figlio. Ogni donna deve combattere questa cultura patriarcale, in famiglia e nella società. Tale cultura non può accettare la democrazia.Veniamo ancora all’Iran. I diritti delle donne hanno un rapporto diretto con la democrazia. In Iran non c’è democrazia. Pensiamo alle elezioni, non c’è libertà di voto. Prima delle elezioni c’è l’idoneità del candidato. In giugno ci sono state le elezioni: 430 persone si erano iscritte come candidati, solo quattro sono risultati idonei e uno tra questi era il presidente uscente, quindi solo tre. Non possiamo dire quindi che si tratta di libere elezioni e la gente nonostante ciò è andata alle urne e ha votato. La violenza di stato è iniziata perché la gente chiede delle elezioni libere e trasparenti. Il regime sostiene di aver arrestato 1200 persone ma noi sappiamo che sono molto di più. Il regime non permette alla gente di manifestare per strada e per questo ogni sera dalle finestre delle loro case la gente urla “Allah akbar”, Dio è grande. Ha espulso tutti i giornalisti stranieri e quelli iraniani sono stati censurati: 34 i giornalisti incarcerati. Un paese che non accetta parità tra uomini e donne, non accetta la parità tra le persone.
Bisogna continuare a parlare di ciò che Ahmadinejad sta facendo nel mio paese.” Quando le chiedo “ Signora Ebadi si dice che sviluppare politiche a favore delle donne e dei loro bambini vuol dire investire in una società più sana e in futuro di pace” lei, con tutta l’energia che la spinge a continuare nonostante le tante minacce ricevute, mi risponde: “E’ così. Le donne sia come cittadine sia come garanti dell’educazione dei figli influenzano le future generazioni. Come si può pretendere che una donna cresca e educhi i suoi figli se si abusa di lei socialmente?” La speranza sul futuro viene dalle donne e il livello di democrazia di un paese va misurato in base ai diritti delle donne: coraggio signora Ebadi, bisogna continuare così ad andare avanti insieme.
Rosanna Sestito, ostetrica, Medici senza Frontiere