Diario da Srebrenica - L'inizio - di Maja Huseijc (1)
Srebrenica, 23.02.2009
Siamo nel pieno dell’inverno qui, in giro si dice “non ricordo un inverno più freddo e lungo di questo” … ma chi ha la pazienza di ascoltare i vecchi si sentirà dire “avete poca memoria”.
Srebrenica è coperta da un manto di neve che la rende lenta, affaticata eppur sempre attiva. Di giorno brulica di studenti che a Dom Kulture fanno lezione e ricreazione. L’ufficio di Adopt Srebrenica resta aperto di lunedì ed attira la curiosità di chi fino ad ora era abituato a vederlo al buio. Il benvenuto l’ha dato la prima mattina la direttrice del Dom auspicando una collaborazione duratura (ma non ha nominato la questione affitto che fra un po’ si dovrà pagare). Anche i/le ragazz* del gruppo passano dalla sede nei momenti di pausa. In questi giorni la scrivania è stata sommersa di cartelle piene di documentazioni per la richiesta del visto… controlli incrociati, dettagli mancanti hanno fatto sì che una volta che siamo riusciti a consegnare tutto e farci sentir dire: tutto ok! dall’altra parte del vetro blindato del consolato francese, abbiamo tirato un respiro di sollievo collettivo. I passaporti con i visti stampati saranno restituiti i primi di marzo, ma la distensione si percepisce di già, il viaggio è meno miraggio e più realtà. In questi giorni avremo un incontro del gruppo per aggiornarci sul viaggio, sulla visita alle istituzioni e sulla propria presenza e presentazione durante gli incontri. Per ora ci stiamo dedicando alla socializzazione e conoscenza reciproca...così anche l’inverno passerà prima! Almeno lo spero.
“Questi sono i veri inverni bosniaci" prosegue il vecchio, “ai miei tempi quando ci si scaldava insieme allo stesso fuoco, si mangiava dalla stessa scodella, si restava isolati sulle montagne per periodi interi, allora sì che era dura... non come ora che avete il televisore e l’elettricità, o quegli altri affari collegati con il mondo intero... ma cosa avete da dirvi sempre di tanto importante??” Ha ragione, rifletto in me, peccato solo che misurandola in sofferenza io e lui siamo coetanei”.