Tredici anni dopo Dayton: Considerazioni introduttive
- Tredici anni dopo Dayton:Quale futuro per Srebrenica e la Bosnia Erzegovina?
Bolzano 17 maggio 2008 – Auditorium EURAC
Considerazioni introduttive
Tredici anni dopo…
Gli Accordi di Dayton, ratificati nell´autunno del 1995, mettevano fine a cinque anni di guerra nella ex-Jugoslavia. Solo pochi mesi prima, la comunità internazionale abbandonava al proprio destino la cittadina di Srebrenica, proclamata zona protetta dalle Nazioni Unite, dove vennero uccisi dall'esercito di Ratko Mladic oltre ottomila uomini. Gli Accordi di Dayton, ai quali si è giunti pochi mesi dopo quel massacro, definito dal Tribunale Penale dell'Aja per la ex-Jugoslavia un genocidio, hanno fotografato la situazione sul campo, determinata dalle efferatezze commesse dai diversi eserciti prima e durante quel 1995.
Gli Accordi hanno avuto il grande pregio di porre fine alla guerra, che nella sola Bosnia Erzegovina aveva causato oltre centomila morti e due milioni di profughi. Essi sono stati l’inizio di una transizione infinita che ha portato il Paese ad avere una struttura istituzionale rigida e poco funzionale e la creazione di due entità : la Federazione Bosnia Erzegovina e la Republika Srpska, costruite su base etnica con molteplici livelli decisionali che si ostacolano a vicenda con diritti di veto paralizzanti. La sua Costituzione, inoltre, esiste ufficialmente solo in lingua inglese come allegato degli Accordi.
La presenza estesa e penetrante della comunità internazionale e il delicato equilibrio di poteri creatosi con le comunità nazionali non può proseguire indefinitamente. L'assetto costituzionale della Bosnia Erzegovina non è né efficiente né sostenibile e, conseguentemente, il Paese fatica a tornare alla normalità, nonostante la recente approvazione di un testo di compromesso sulla riforma delle forze di polizia, che ha aperto la strada alla firma dell'Accordo di Associazione e Stabilizzazione con Bruxelles. Pesano inoltre sul suo futuro la persistente latitanza dei principali criminali di guerra, la divisione etnica nelle scuole, nei media e nelle istituzioni.
Da Srebrenica al Trentino Alto Adige - Südtirol
Ecco perché ci è sembrato importante parlare di Dayton, tredici anni dopo. I Balcani sono nel cuore dell’Europa e, forse, uno deve proprio partire da lì per cercare un futuro diverso. Lo facciamo continuando un percorso che la Fondazione Alexander Langer ha avviato insieme all’associazione Tuzlanska Amica ormai da tre anni, a partire dall’assegnazione del Premio Alexander Langer 2005 a Irfanka Pasagic. Un esempio è stata l’organizzazione della Prima Settimana Internazionale di dialogo "Cooperation for Memory"nell’estate scorsa a Srebrenica: oltre centoventi persone da tutta Europa riunite nel luogo simbolo del dramma bosniaco, per riflettere sul ruolo della memoria come fondamento di un futuro di pace.
E’ un percorso che oggi tocca il Sudtirolo, luogo che ha fatto dell’autonomia e dell’autogoverno territoriale strumenti di forte tutela delle minoranze verso una convivenza tra gruppi linguistici in passato difficile. Significativo quindi che la stessa Presidenza della Provincia Autonoma di Bolzano sostenga questo convegno, nella cornice simbolica della Giornata Europea che si celebra il 9 maggio.
Il convegno è ospitato e co-organizzato dall’Accademia Europea di Bolzano, al cui interno l’Istituto per lo Studio del Federalismo e del Regionalismo e l’Istituto sui Diritti delle Minoranze offrono alla comunità scientifica internazionale importanti contributi sui temi oggetto del convegno. Partendo dall’esperienza e dal continuo monitoraggio dell’autonomia altoatesina, gli Istituti si occupano di studi e ricerca applicata nell’ambito delle tendenze governative nel contesto europeo e globale. Particolare attenzione è dedicata allo studio di conflitti etnici e alla loro risoluzione; ciò ricorrendo ad analisi politologiche, giuridiche e giurisprudenziali volti alla protezione della diversità culturale e territoriale.
Il convegno è inoltre parte integrante del Master per mediatori dei conflitti e operatori di pace internazionali a Bolzano, promosso dall’Università di Bologna e dalla Formazione professionale italiana. Un’occasione di formazione per chi vuole investire il suo futuro nella cooperazione internazionale e nel campo degli interventi di pace, a partire dall’esperienza concreta di Srebrenica e della Bosnia Erzegovina.
Sono ospiti di questa giornata, oltre ad importanti relatori, una trentina di giovani da diverse aree dei Balcani: Bratunac, Prijedor, Srebrenica e Tuzla in Bosnia Erzegovina, Kraljevo in Serbia e Pec-Peja in Kossovo. La loro presenza a Bolzano e Trento, possibile grazie al contributo della Provincia Autonoma di Trento, permetterà tre intense giornate di studio della realtà locale e di incontri con altri giovani. Si tratta forse di un auspicio per un dialogo possibile e un impegno per le associazioni e le istituzioni locali a mantenere e rafforzare le proprie relazioni con l’Europa che sta al di là dell’Adriatico.
Dal Sudtirolo all’Europa
Lo Statuto d’Autonomia dell’Alto Adige-Südtirol è stato in più occasioni presentato come un possibile modello “costituzionale” per uscire da conflitti di natura etnica. Così è stato per esempio in Irlanda, nei Paesi Baschi e in Catalogna, nel Kurdistan e in Tibet, nel Kosovo di ieri e di oggi. Non perché qualcuno si illudesse di poter semplicemente trasferire o imporre dall’esterno una soluzione che è nata da specificità irripetibili, ma perché affascinavano almeno due elementi: lo scambio tra una forte autonomia territoriale e la rinuncia a rivendicazioni separatiste da una parte; e, dall’altra, alcune garanzie formali per i gruppi minoritari che salvaguardano il rispettivo del patrimonio culturale-linguistico e garantiscono una equa suddivisione dei beni di natura pubblica.
Pur con tutte le differenze del caso, l’essenza dell’accordo di Dayton del 1995 aveva la medesima ambizione: avviare un percorso di pace individuando sfere di competenze ben precise per i singoli gruppi etnici e garantendo temporaneamente la pace tramite una rigida separazione tra i gruppi.
Ora, a distanza di tempo, si può constatare che quegli accordi hanno però troppo accreditato e rafforzato i leader più nazionalisti all’interno di ciascun gruppo, allontanando la prospettiva di uno Stato unitario, pur di natura federale, e mettendo in grande difficoltà le minoranze nelle singole zone del paese (che sono magari maggioranze in altre zone), coloro che vengono da famiglie miste e i singoli cittadini stanchi di vedersi risucchiati in un passato nazionalista che non sembra aver mai fine.
Tra le tante incertezze su come rielaborare l’assetto costituzionale affinché possa servire per accomodare l’eterogeneità etnica, linguistica, religiosa e storico-culturale in Bosnia Erzegovina, una cosa è certa: l’integrazione europea con la vasta gamma di strumenti volti a proteggere minoranze e diversità rappresenta oggi la prospettiva decisiva per la Bosnia Erzegovina e i suoi abitanti.