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Irfanka Pasagic: Un premio che è un impegno
6.12.2005, L'europa nasce o muore a Sarajevo. Euromediterranea 2005
La prima sessione di euromediterranea è stata preceduta dalla cerimonia di assegnazione del Premio internazionale Alexander Langer 2005 a Irfanka Pasagic. Sento particolarmente il peso di una responsabilità, proprio perché qui ci sono i bambini e loro avvertono perfettamente la differenza tra bugie e verità.
Devo dire che quando sono entrati sono rimasta talmente sorpresa e all’inizio mi sono anche arrabbiata con Enzo che li ha portati qui, ma ora sono felicissima e penso che senza la loro presenza questa cerimonia (di consegna del premio n.d.r.) non sarebbe così bella. Prima di qualsiasi altra cosa vorrei dire alle persone in sala che in questo gruppo ci sono bambini di tutte e tre le nazionalità, e certo nessuno può distinguere tra loro chi sia mussulmano, croato o serbo… Penso che dobbiamo iniziare a imparare proprio da loro. Quando mi anno detto che mi sarebbe stato assegnato il premio Alexander Langer, in un primo momento mi sono proprio spaventata. Perché ricevere il premio Langer per me è un grande impegno.
Ho vissuto, durante e dopo la guerra in Bosnia e ho conosciuto tante persone che sono venute da noi, colleghi, psicologi, psichiatri che dopo essere venuti magari solo una volta hanno scritto anche dei libri. Ugualmente so che Alexander è venuto tantissime volte in Bosnia, si è trattenuto a lungo, e ha cercato di capire quello che anche per noi non era chiaro, ossia ciò che stava accadendo… Liliana ha già parlato di questo disegno, questa foto che ci affascinò all’istante, appena la vedemmo. Io volli subito averne l’ingrandimento, da mettere nella mia associazione, perché quello su cui dobbiamo continuare a lavorare è: permettere a questi bambini di avere il loro sogno. E in questa foto si vede molto bene il sogno di Alexander Langer. [Aggiungi immagine]
Io spero che tutti noi potremo continuare a darci da fare, affinché questi bambini (e altri che non hanno avuto, come loro, la possibilità di fare un viaggio di dieci giorni fuori dal loro paese) abbiano ancora l’opportunità di sapere, di poter conoscere altra gente nel mondo: non solo gente cattiva, ma gente che ha voglia di aiutarli. Qualche volta, devo dire, mi sento in colpa, mi sembra persino di sfruttare gli italiani. Molto spesso quando mi blocco o mi capita, anche come psichiatra, di non trovare una soluzione a un problema, chiedo un aiuto proprio ad amici italiani. Purtroppo la parola “donatore” è insufficiente a esprimere la ricchezza di ciò che significa. Però posso dire che grazie alla relazione tra questi bambini e le persone che li aiutano in Italia, questi bambini rappresentano ovunque i migliori ambasciatori della solidarietà che si intende manifestare. Penso che questa sia anche una testimonianza del fatto che per la solidarietà non esistono confini.
Noi a “Tuzlanska Amica” abbiamo contrapposto all’aggressione l’amore e la solidarietà. Penso che ci siamo riusciti. Questi bambini hanno diritto al loro sogno. Penso che dobbiamo assolutamente aiutarli, affinché i loro sogni diventino realtà.
Infine vorrei rispondere alla questione se l'Europa è morta o rinasce a Sarajevo. Io penso che Alexander Langer non sia rimasto abbastanza tempo con noi, purtroppo, altrimenti avrebbe visto che l'Europa non ha imparato la lezione della Bosnia e in particolare di Srebrenica. Non posso dire se sia nata o morta, posso dire solo che noi abbiamo visto com’è quest’Europa.
Nel decennale del genocidio di Srebrenica ci saranno manifestazioni in alcune città europee, parecchie, però non ci sarà una manifestazione ufficiale europea. Esiste poi un’iniziativa per la quale l’11 luglio a mezzogiorno si dovrebbe tenere un minuto di silenzio in ricordo di tutte le vittime di Srebrenica. Questa proposta è stata mandata ai parlamenti di tutti gli Stati: uno degli stati che non ha accettato di partecipare è stato l’Italia, il Parlamento italiano.
Quello che mi fa paura è che sicuramente si parlerà di Srebrenica nei media, nei dibattiti, eccetera, e che tutto questo durerà un mese al massimo, e poi tutto tornerà come prima. Posso dirvi solo che, fino a tre mesi fa, l’unico edificio nuovo, costruito Srebrenica è stato una stazione di polizia… Qualche casa è stata sì restaurata, ma l’unico palazzo nuovo è questa caserma di polizia, sistemata praticamente nel cortile di una scuola. In questi ultimi tre mesi però, quando si è appreso che ci sarebbero state manifestazioni, visite, delegazioni anche politiche, eccetera si è cominciato a fare qualcosa, Srebrenica ha cominciato a “sciacquarsi la faccia”, come quando ci si sveglia al mattino. Le strade di Srebrenica sono state finalmente illuminate e riparate, si è discusso di imbiancare le facciate per il decennale, ma questo non si riuscirà a fare. Da qualche giorno è stata aperta una “Casa della fiducia”, si allestiranno poi: una mensa pubblica, un centro sanitario per persone disagiate, anche i giovani hanno ottenuto un loro spazio, tutto questo negli ultimi tre mesi. Sarà infine aperta una piccola fabbrica di ricambi per automobili che offrirà lavoro a una ventina di persone. La domanda però è: che cosa si farà dopo l’11 luglio, dopo la ricorrenza?
Vorrei descrivervi la situazione attuale a Srebrenica. Qui, prima della guerra, viveva un 75% di popolazione mussulmana, il 20% erano serbi e il restante 5% vari altri. Oggi Srebrenica si trova nella Repubblica Serbska. Prima della guerra c’erano 36000 abitanti, oggi sono all’incirca 10000. Prima della guerra gli studenti erano 11000, oggi sono 1000.
Chiunque ha vistato nell’ultimo periodo Srebrenica ha avuto la sensazione che qui la guerra fosse finita… il giorno prima.
Mentre al Tribunale dell’Aia sono processati molti generali dell’esercito serbo per i crimini qui compiuti, la Repubblica Serbska non ne ha catturato neanche uno e i responsabili dei crimini del ’95 girano liberamente per la città.
Per tutto ciò penso che l'Europa non abbia imparato la lezione da quello che è successo.
Io spero che questo decennale possa essere un’occasione per cambiare questa visione, per fare di Srebrenica un simbolo del male e dell’efferatezza, di ciò che è successo, una sorta di monito permanente che ogni giorno ci metta in guardia, affinché l’accaduto non si ripeta.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando abbiamo visto i lager abbiamo detto: mai più. Eppure i lager li abbiamo visti di nuovo, in Bosnia. Spero che Srebrenica non si ripeta mai più.
Ringrazio la Fondazione Alexander Langer che ci ha dato la possibilità, anche a Srebrenica, di volgere alcune cose verso il futuro. Il 9 luglio si terrà un incontro internazionale di studenti, tra quelli che in questi giorni frequentano la scuola estiva di “Euromediterranea” e gli studenti di Srebrenica e del territorio circostante Tuzla. Il titolo dell’incontro è “Srebrenica domani”. Chiederemo ai giovani di scrivere le loro opinioni e proposte per cambiare e cercheremo di pubblicarle. Grazie.