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Jacqueline Mukansonera: La forza della libera coscienza
1.10.1998, Città di Castello
Tanto per cominciare vorrei invitare tutti, ruandesi e non ruandesi, comprese le persone qui presenti, a chiedere perdono a Dio per il genocidio commesso nel mio paese perché, nonostante io non me ne intenda di questioni politiche, in questo genocidio mi sembra di aver capito che non sia coinvolta solo la popolazione ruandese, ma che ci siano anche grosse responsabilità da parte della comunità internazionale.Io sono una giovane donna ruandese di 36 anni; provengo da una modesta famiglia di contadini del Sud-Est del Ruanda. Dopo aver frequentato le scuole elementari ho seguito un corso di avviamento professionale di economia domestica. Rispetto a tutti voi io vivo nella parola e non nello scritto. Il mio unico testo, dal quale traggo insegnamento e riflessioni per guidare la mia coscienza, è la Bibbia.
Dopo aver terminato gli studi, mi sono trasferita a Kigali, capitale del Ruanda; per mantenermi preparavo marmellate e salse a casa mia, che rivendevo ai ristoranti della capitale.
Quando sono iniziati i massacri, non conoscevo ancora Yolande; l'avevo solo incontrata nel suo ambulatorio e mi aveva colpita favorevolmente, per la sua disponibilità e per il fatto che mi aveva dato indicazioni importanti riguardo alla somministrazione di alcune medicine, che mi erano state prescritte, senza spiegazione alcuna, all'ospedale di Kigali.
Quando mi sono trovata Yolande in casa, braccata come un animale, che mi chiedeva aiuto, mi sono attenuta al comandamento della Bibbia: "ama il tuo prossimo come te stessa". Ho seguito quanto mi diceva la mia coscienza. L'ho nascosta sotto un lavandino, là dove tenevo il carbone e mi sono occupata di lei come se fosse un bambino. Essendo io in possesso della carta d'identità etnica hutu, sono stata la sua guardia del corpo e l'ho aiutata a salvarsi.
Invito tutti a seguire la propria coscienza e a non dare retta ai dirigenti politici e religiosi, che potrebbero indurci a commettere il male. Questa esperienza mi ha insegnato ancor di più a non dare importanza all'appartenenza etnica o religiosa, perché coloro che si sono fidati ed hanno ubbidito ai dirigenti politici e religiosi, hanno commesso il male.
L'essere umano non è malvagio, ma può essere indotto al male come al bene. Per fare il bene occorre seguire la propria coscienza, sempre e subito, senza mai rimandare al domani le buone azioni.
Oggi il Ruanda è un paese che porta le stigmate, perché incarna il male. Oggi, dopo aver identificato i colpevoli ed i responsabili del genocidio, vorrei ricordare anche le persone che hanno agito per il bene, tutti coloro che non si sono resi conto di quello che stava succedendo; quelli che, in quei drammatici giorni, in cui avvenivano scontri ovunque, inconsapevolmente sono finiti nel campo sbagliato.
Non sono l'unica ad aver aiutato i Tutsi perseguitati; ci sono tante altre persone che hanno fatto la stessa cosa, che si sono
comportate come me.
Dopo i massacri sono tornata nel mio paese, dalla mia famiglia. Qui ho saputo che mio padre era stato assassinato nel corso del genocidio.
Attualmente lavoro in un centro di aiuto psicologico per tutte quelle donne traumatizzate dal genocidio: donne vittime di violenza carnale, che hanno perso la loro famiglia e, dopo lo stupro, hanno messo al mondo un figlio o hanno contratto l'Aids.
Pur non essendo una persona istruita, sento parlare spesso dei progressi della scienza e della tecnica. Vorrei che ci fosse semplicemente un progresso dell'amore verso il prossimo.
(Intervento alla Fiera Utopie concrete di Città di Castello, ottobre 1998)