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Alexander Langer: la convivenza inter-etnica e la conversione ecologica nell'ottica della teologia politica di Salvatore Saltarelli

28.3.2024

ALEXANDER LANGER: LA CONVIVENZA INTER-ETNICA E LA CONVERSIONE ECOLOGICA NELL’OTTICA DELLA TEOLOGIA POLITICA

Euromediterranea 2023 – Vipiteno 2 marzo 2024

di SALVATORE SALTARELLI

 

1. INTRODUZIONE

La convivenza inter-etnica e la conversione ecologica, i due temi che mi sono stati assegnati per Euromediterranea 2023, sono centrali in tutta l’opera di Alexander Langer e sono stati ampiamente trattati in due famosi testi: “Il Tentativo di Decalogo della convivenza inter-etnica”, pubblicato nel mese di marzo del 1994, e “La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile” nei Colloqui di Dobbiaco dell’agosto del 1994.

Si tratta di due testi particolarmente significativi che, insieme alla lettera “Caro San Cristoforo”, testo di grande poesia scritto nel febbraio-marzo del 1990, sono i più famosi e sicuramente i più diffusi di Alexander Langer.

Vorrei sviluppare le due tematiche, convivenza e conversione, nell’ottica della teologia politica e cioè del profondo legame esistente tra religione e politica che per i cristiani cattolici, qual era Langer, sono e devono essere entità imprescindibili e fortemente correlate.

 

2. ALEXANDER LANGER, TRA RELIGIONE E POLITICA

“Vorremmo esistere per tutti, essere d’aiuto a tutti ed entrare un contatto con tutti. Il nostro aiuto è aperto a tutti, così come per tutti vale la nostra preghiera. Venite a noi, e vi aiuteremo con tutte le nostre forze.

Avete per caso difficoltà a scuola e i vostri genitori non possono permettersi di pagarvi delle lezioni private? Rivolgetevi a noi con fiducia, e vi aiuteremo. Avete problemi coi professori? Siamo pronti a mediare tra voi e loro. E per qualsiasi altra esigenza, venite e saremo a vostra disposizione.

Ma che cosa ci spinge a fare tutto ciò? L’amore per il prossimo. Dobbiamo prendere sul serio la tanto declamata carità cristiana, senza mezze misure. […]

Ecco perché ripetiamo: venite a noi, con fiducia, portandovi appresso tutti i vostri problemi, quali essi siano. Caritas Christi Urget Nos!

Non vogliamo trascurare il cammino della nostra santificazione personale, ma se vogliamo essere migliori e più perfetti, ci serve prima di tutto l’amore. […]

Dobbiamo portare il vangelo vivente nel mondo, nel nostro contesto quotidiano, nelle nostre case come nella nostra scuola e nelle nostre aule, ovunque! […]

“Noi” vogliamo essere giovani credenti nel senso pieno del termine, tanto nelle azioni quanto nel pensiero”.1

In questa lunga citazione, tratta dal mensile in lingua tedesca Offenes Wort (Parola aperta), organo della Marianische Kongregation fondato nell’autunno 1961, scritta da un Alexander Langer quindicenne, troviamo buona parte degli elementi che caratterizzeranno la sua vita futura ed in particolare sono presenti alcuni aspetti fondanti del suo singolare metodo politico.

In primo luogo la carità: “l’amore per il prossimo” ovvero “dobbiamo prendere sul serio la tanto declamata carità cristiana, senza mezze misure” ed in ultima istanza “Caritas Christi urget nos!”.

La carità, nella teologia cattolica, è una delle tre virtù teologali, con la fede e la speranza e, come scriveva Paolo di Tarso nel suo inno all’amore della prima lettera ai Corinzi, è la più importante (Corinzi 1,13): è, in buona sostanza, amore disinteressato e incondizionato nei confronti del prossimo e di Dio. Ma la carità cristiana, in questo contesto, assume un altro significativo aspetto: “Insegnami la dolcezza, ispirandomi la carità”, scriveva Aurelio Agostino d’Ippona che, con questa preghiera rivolta a Dio, connetteva in modo imprescindibile la dolcezza alla carità. È sicuramente in questa connessione tra dolcezza e carità che si situa la “sensibilità particolare” di Langer, sensibilità ampiamente descritta in numerose interviste di alcuni suoi amici. 2

Nel giovane Langer si trova già ampiamente delineata la rilevanza assunta dal dialogo, il linguaggio della relazione, e sarà una costante di tutta la sua vita: “vorremmo entrare in contatto con tutti”, “venite a noi e vi aiuteremo con tutte le nostre forze”, “Noi” vogliamo essere giovani credenti”. Il dialogo presuppone la fede nell’altro e la necessità di imboccare la strada dell’abbandono dell’“io” a favore della costruzione di un “noi” che, nel caso di Alex quindicenne, è la costruzione di un “noi credenti” nella parola del Signore. Attraverso il dialogo si può “portare il vangelo vivente nel mondo”.

Nell’articolo citato si trova delineato un altro importante elemento: l’unità imprescindibile tra pensiero ed azione: “Noi” vogliamo essere giovani credenti nel senso pieno del termine, tanto nelle azioni quanto nel pensiero”; “anche noi vogliamo essere apostoli” e il “sacerdozio laico” rappresenta la missione assegnata ai giovani studenti cattolici.

Il pensiero e l’azione in Langer, che costituiranno una rara sintesi, sembrano per alcuni versi ricollegabili a quella tradizione risorgimentale, forse di stampo mazziniano, che intravede nell’unione tra pensiero ed azione l’elemento fondante della ricerca della verità: il pensiero senza l’azione è una semplice idea; l’azione senza pensiero si perde totalmente nel nulla.

Accanto a questi prolegomeni di metodo politico, che costituiranno parte fondante della cornice del pensiero cristiano di Langer, nell’articolo in questione, si trova anche un brevissimo accenno al tema della mediazione. Tema che costituisce una singolare e primordiale costruzione del progetto di mediazione tra pari – la cosiddetta “peer mediation” - dove gli studenti stessi, attraverso il dialogo, cercano soluzioni e strategie necessarie alla trasformazione dei conflitti e non solo quelli che scaturiscano tra gli studenti e tra gli studenti e gli insegnanti. Obiettivo della mediazione è aumentare la convivenza e la coesione sociale all’interno del gruppo: e qui interviene l’altro tema centrale nel pensiero e nell’azione di Langer: il tema della convivenza.

Che cosa è la politica per Alex Langer? Si domanda Fabio Levi nella prima Lectio Langer dedicata ad “Alexander Langer. Un uomo del nostro tempo”, tenuta il 17.02.2022 a Bolzano: “era l’arte della convivenza”.

Il tema della convivenza, così centrale in tutto il pensiero e nell’azione di Langer, è anch’esso già presente negli scritti giovanili. Nel 1964, a soli 18 anni, poco dopo essersi iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università a Firenze, Alex interviene sul giornale degli studenti italiani dell’Alto Adige, Bi-Zeta 58, per avvalorare la decisione di fare di quel periodico un utile strumento bilingue. Scrive in lingua italiana:

noi giovani dobbiamo – è un imperativo di coscienza!- essere bilingui”.

E, sullo stesso numero della rivista, rivolgendosi in tedesco ai lettori di lingua tedesca, scrive:

“… dobbiamo impegnarci con tanta buona volontà e molto coraggio a fornire il nostro contributo perché si crei in Sudtirolo una società nuova: dobbiamo persino avere il coraggio di accettare di essere chiamati traditori. Chi usa tale appellativo probabilmente non si è mai sforzato di raggiungere una vera convivenza. Ci serve, infine, tantissimo idealismo, l’idealismo della gioventù” .3

Valeria Malcontenti, moglie di Alexander Langer, in una recente intervista, ricorda che Alex “è rimasto cristiano tutta la vita e anche il suo impegno politico era come un impegno religioso”.4

Negli anni dell’esperienza universitaria fiorentina questa propensione a identificare l’impegno politico con l’impegno religioso è ancora fortemente influenzata dalla radice francescana della sua formazione giovanile. Sono anni molto intensi e particolari per i cattolici: da una parte l’apertura del Concilio Vaticano II, che costituiva una profonda speranza di rinnovamento per chi vedeva nei poveri il volto di Dio e, dall’altra, l’importanza progressivamente assunta dalla politica nell’ambito della riflessione del Vangelo. “Era tutto mescolato – ricorda Valeria Malcontenti – la religiosità e l’azione politica”. 5

La Chiesa, in quegli anni, non considera più la politica “lo sterco del diavolo”, secondo una tradizione interpretativa risalente al medioevo, ma la ritiene, con una celebre frase di Pio XI, la più alta forma di carità. L’affermazione di papa Ratti, ripresa da papa Montini nella Gaudium Spes, l´ha rappresentata come “vocazione alla realizzazione del bene della collettività”. Papa Francesco, infine, nell’enciclica Fratelli tutti, ne parla come “una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”. 6 

Profondamente ancorato alle radici cristiane ed al desiderio - ostacolato dal padre - di farsi frate francescano, la vocazione politica di Alex Langer è fondamentalmente una vocazione religiosa, dove teologia e politica trovano una mirabile sintesi particolarmente efficace a livello del pensiero, dell’azione ed anche nella costruzione di metodologie e linguaggi profondamente rinnovati.

L’esperienza fiorentina, dove Langer frequenterà la Facoltà di Giurisprudenza per laurearsi nel luglio del 1968 con una tesi con Paolo Barile, gli permetterà di entrare in diretto contatto con Giorgio La Pira, il sindaco Santo, modello di politico cristiano che si è particolarmente speso, a più livelli, per lo sviluppo della pace nel mondo e per la salvaguardia del bene comune. Alexander Langer “costruttore di ponti”, come scrive Loris Capovilla, segretario di papa Roncalli, rievoca l’opera del suo professore ed amico Giorgio La Pira. 7

Il “credo” politico di La Pira, inteso non come adesione ad un partito ma come sintesi di pensiero ed azione rivolti alla polis, ha in effetti molti aspetti comuni a quello di Langer ed in particolare: la totale dedizione al prossimo, l’ispirazione profetica dell’azione politica e l’instancabile lavoro a favore dello sviluppo della pace.

Per meglio comprendere le interrelazioni esistenti tra La Pira e Langer è assolutamente necessario analizzare, almeno per sommi capi, alcuni degli elementi salienti del loro vissuto ed impegno politico nel campo dello sviluppo della pace.

Per quanto concerne Giorgio La Pira si tratta di un’operazione non semplice; il monito di Giovanni Benelli, cardinale di Firenze, pronunciato ai suoi funerali in Duomo, è più che mai veritiero:

tutto si può capire di La Pira con la fede, niente si può capire di lui senza la fede”. Due le frasi celebri di La Pira, che caratterizzeranno, fra l’altro, tutto l’operato e la vita del sindaco di Firenze:

- “abbattere i muri per costruire i ponti

La Pira coniò questa frase nel 1967 quando, dopo aver incontrato il presidente egiziano Nasser uscendo dal palazzo presidenziale, vide alcuni muratori che, a seguito degli accordi di pace, stavano abbattendo i muri innalzati come difesa anti-aerea; mentre, per quanto riguarda la costruzione dei ponti, una parte del periodo dell’amministrazione comunale fiorentina fu dedicata a costruire i ponti distrutti dalla ritirata tedesca, il ponte Alle Grazie, quello di Santa Trinità, l’Amerigo Vespucci, il Giovanni da Verrazzano ed il ponte Marco Polo. L’espressione costituirà, inoltre, l’incipit di una famosa lettera indirizzata al papa Montini; La Pira gli scriverà ben 250 lettere.

L’altra frase cara a La Pira era la profezia di Isaia, il profeta definito “il Dante del Vecchio Testamento”:

- i popoli “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is. 2,4.)

La profezia intende rimarcare l’ineluttabilità dell’impegno per la realizzazione della pace. L’umanità, diceva La Pira, ha davanti a sé solo due scelte: o la distruzione totale o la pace universale.

La Pira diventerà Terziario dei domenicani, assumerà il nome di Frà Raimondo e, con una speciale e singolare dispensa, diventerà anche terziario francescano. Deciderà di impegnarsi in politica, scelta piuttosto sofferta data la sua natura profondamente votata al misticismo, esclusivamente per vocazione religiosa, una specie di chiamata, come lui la descriveva, che doveva essere indirizzata a modificare le profonde storture e le numerose patologie del sistema economico:

“Non posso essere indifferente […] che i miei fratelli siano costretti a vivere in un regime economico che contraddice la loro natura di uomini. O se i miei fratelli sono costretti a vivere in un regime giuridico e politico che viola i loro fondamentali diritti. Se facessi così, non negherei quella paternità divina e quella fraternità umana che confesso con le labbra?

[…] Devo intervenire perché la fraternità, alla quale io credo, sia trascritta nelle istituzioni sociali, diventi fraternità di fatto.

La nuova politica esige una generale e profonda revisione e trasformazione dei concetti, dei fini e dei metodi della teoria politica e dell’azione politica. Esige, in particolare, l’abbandono della metodologia teorica e pratica del machiavellismo (ordinato alla divisione e alla guerra) e l’assunzione della sola metodologia teorica e pratica capace di edificare, nella unità e nella pace, una società nuova, proporzionata a questa nostra epoca”.8

Nell’ambito di questo rinnovato credo religioso e politico costituiranno motivo di scalpore e stupore, nell’Italia del dopoguerra, ma soprattutto nei giovani post conciliari, alcune iniziative che Giorgio La Pira aveva preso sia nel campo dell’amministrazione della città di Firenze e sia nel campo diplomatico dove tutta la sua azione era stata indirizzata a favore del disarmo e della pace. L’impegno politico istituzionale era stato il seguente: nominato nell’Assemblea costituente per la DC - con i costituenti Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati e Amintore Fanfani della “comunità del porcellino” -, eletto nel 1948 alla Camera dei Deputati, era diventato sottosegretario al Lavoro e Previdenza sociale nel governo De Gasperi - ministro Amintore Fanfani, sindaco di Firenze nel 1951-1957 e nel 1961-1965.

È nel corso del periodo dedicato all’amministrazione comunale di Firenze che si esplicheranno le principali azioni a sostegno ed a favore dei poveri: si veda, fra l’altro, il singolare caso della comunità di San Procolo. Si era guadagnato, Giorgio La Pira, oltre all’appellativo di “Sindaco Santo”, anche quello di “amico degli operai” e, con un certo disprezzo, di “comunista da sagrestia”. Sul versante dello sviluppo economico-industriale della città, accanto alla fondazione della Centrale del Latte e alla costruzione del Mercato Ortofrutticolo di Novoli, si ricordano, in particolare, i suoi interventi a favore degli operai della Pignone (divenuta, grazie al suo impegno, Nuova Pignone con il coinvolgimento di Enrico Mattei), quelli a favore delle Officine Galileo (dove precettò la proprietà e partecipò all’occupazione della fabbrica), quelli a favore delle Fonderia delle Cure (fabbrica requisita dal Comune di Firenze e, dopo una sottoscrizione di raccolta fondi, data in gestione ad una cooperativa di lavoratori), oltre a Italfibre, Manetti&Roberts…; nello stesso periodo l’Amministrazione comunale aveva provveduto a requisire i terreni di Novoli, di proprietà della Società Massalombarda, le case e le ville sfitte per risolvere il caso dei 9.000 sfratti esecutivi pendenti su parte della popolazione fiorentina. Non meno scalpore avevano fatto le iniziative di La Pira a favore dello sviluppo della pace: nel 1947 scriveva una famosa lettera a Stalin per scongiurare la guerra in Corea; nel 1952 organizzava il Primo convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana; nel 1955 riuniva a Palazzo Vecchio i sindaci di 44 capitali del mondo che avrebbero firmato un patto di amicizia e solidarietà verso i paesi del cosiddetto “Terzo mondo”; nel 1958 organizzava i Colloqui mediterranei che si svolgono tuttora; nel 1959, dopo un pellegrinaggio a Fatima, parte per Mosca e, nonostante il disappunto del Ministero degli Esteri, è il primo occidentale a parlare il 15 agosto, giorno dell’Assunta, al Soviet Supremo; durante la guerra del Vietnam organizza a Firenze un simposio a favore della pace; riceve in forma ufficiale, a Palazzo Vecchio, i rappresentanti della Repubblica Popolare Cinese inviati da Pechino (la Repubblica italiana riconosceva solo Taiwan, come unico governo legittimo cinese); nel 1965, con Mario Primicerio, giovane professore di matematica, parte per Hanoi ed incontra Ho Chi Minh, il comunista-terrorista, ed insieme lavoreranno alla formulazione di una bozza di accordo bilaterale di pace che viene rifiutata dal presidente USA Lyndon Johnson. Johnson riceverà La Pira e Fanfani, all’epoca Presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU; solo nel 1975 dopo milioni di morti in più, la bozza La Pira-Ho Chi Minh diverrà accordo di pace e porrà fine alla guerra del Vietnam; nel 1967 verrà eletto Presidente della Federazione Mondiale delle Città Unite (“Unire le città per unire il mondo”; altra frase famosa di La Pira); nel 1971, su invito di Salvador Allende, si recherà in Cile e si farà promotore di accordi con i democratici cileni, particolarmente pesante il telegramma inviato al generale Pinochet; nel 1976 verrà eletto deputato per la terza volta e lascerà questa terra il 5 novembre del 1977.    

Come non trovare delle analogie con l’impegno politico profuso da Alexander Langer nel campo dello sviluppo della pace, della convivenza e per la difesa dell’ambiente?

L’impegno politico istituzionale di Alex Langer si svolge a livello di consiglio provinciale/regionale e successivamente a livello di parlamento europeo: eletto tre volte nel Consiglio regionale/provinciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol per la Provincia Autonoma di Bolzano – 1978 con la lista Neue Linke, nel 1983 con Alternative Liste für das andere Südtirol/Lista alternativa per l’altro Südtirol e nel 1988 con la Grüne-alternative Liste/Lista verde alternativa). Due volte per i Verdi al Parlamento europeo (nel 1989 e nel 1994 nella circoscrizione Nord-Est), nel 1991 assume la presidenza della delegazione del Parlamento europeo per i rapporti con l’Albania, la Bulgaria e la Romania e, insieme a Claudia Roth, viene eletto co-presidente del Gruppo parlamentare verde.

Fondamentale, nella vita e nell’impegno di Alex Langer come pacifista, il rapporto con la Jugoslavia. Nel 1991 fa svolgere il consiglio federale nazionale dei Verdi a Porto Rose, nella Slovenia non ancora separata, nella speranza di poter contribuire alla “rifondazione del patto federale”: ma, come dirà, “il demone nazionalista è così forte: si diffonde con grande rapidità”.9 Attraverso la Carovana europea della pace (settembre 1991) ed il Forum di Verona per la pace e la riconciliazione (1992), Langer intensificherà i rapporti e l’impegno sulla ex-Jugoslavia. Numerosi saranno gli appelli, incontri ed articoli dedicati a quel conflitto, nella maggior parte raccolti nel testo Viaggiatore leggero, antologia di scritti curata da Adriano Sofri ed Edi Rabini: “Carovana europea di pace nell’ex-Jugoslavia: meglio un anno di trattativa che un giorno di guerra” 10; “Ex-Jugoslavia, cittadini di pace” 11; “Non apriamo il versante italiano della ferita jugoslava” 12; “Uso della forza militare internazionale nella ex-Jugoslavia” 13; “Sulla creazione di un tribunale internazionale contro i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia” 14; “L’Europa e il conflitto nella ex-Jugoslavia” 15; “Di fronte ai giovani massacrati a Tuzla”.16

Propone, in collaborazione con Ernst Gülcher - consigliere per Pace e Disarmo del Gruppo Verde del PE - la creazione di un Corpo Civile di Pace: il progetto porterà, successivamente, al riconoscimento del CPCE da parte della Commissione Europea 17; promuove nel settembre del 1991 la “Carovana europea di pace” e, l’anno successivo, il “Forum di Verona per la pace e la riconciliazione”; scoppiata la guerra in Bosnia, mantiene stretti rapporti con Selim Beslagic, sindaco di Tuzla, città inter-etnica; il 26 giugno del 1995, con una delegazione europea presenta a Cannes, dove si svolge il vertice dei capi di Stato e di governo europei, l’appello “L’Europa nasce o muore a Saraievo” 18; incontra il presidente francese Jacques Chirac, appena succeduto a Francois Mitterand, e gli chiede un intervento di polizia internazionale in Bosnia dove Saraievo è da tre anni sotto assedio: Chiraq risponde negativamente. Una settimana dopo, il 3 luglio 1995, muore a Pian dé Giullari - Firenze - di morte volontaria.   

Ora, per tornare al rapporto con Giorgio La Pira, è interessante quanto ricorda Peter Langer, il fratello minore di Alex: La Pira “deve essere stato un uomo che lo ha colpito molto, non tanto come studioso ma come persona, personalità”. 19

Se il parallelismo è molto invitante per le evidenti corrispondenze fra cristiani impegnati nel dialogo inter-religioso, nella ricerca e nello sviluppo della pace, è anche importante sottolinearne le differenze. Sono differenze anch’esse collegate al primo periodo fiorentino, in parte derivate dalla permanenza universitaria di Alex. Derivano dalla disobbedienza civile professata, a più livelli, dal dissenso cattolico fiorentino ed in particolare da don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, da don Enzo Mazzi, parroco della comunità dell’Isolotto, e dallo scolopo padre Ernesto Balducci direttore della rivista Testimonianze. La disobbedienza, per questi religiosi impegnati, è strettamente legata alla vita religiosa e si presenta fondamentalmente come testimonianza di fede:

“Il dissenso – scrive Enzo Mazzi – è come l’anima della vita, della storia e non ultimo della fede. Senza dissenso c’è sudditanza, servilismo, dipendenza, idolatria. Senza possibilità di esprimere dissenso c’è regime, autoritarismo, dominazione”.20

E lo stesso Balducci, intervistato da Mario Pancera, all’insidiosa domanda se il popolo può esimersi dall’obbedire alla gerarchia ecclesiastica, dice:

“L’obbedienza è diventata uno strumento per l’alienazione della coscienza. E una volta alienata la coscienza, l’uomo è in stato totale di soggezione al potere. Il Vangelo invece annuncia la liberazione dell’uomo… Annunciare il Vangelo senza annunciare la liberazione dallo stato di dipendenza significa usare il Vangelo come oppio dei popoli”21

È noto che Langer, nel corso della sua vita, e soprattutto nell’ambito del suo impegno politico, ha pienamente applicato la massima di don Milani che “l’obbedienza non è più una virtù”: sulla questione, tuttavia, non ci ha riflettuto più di tanto, la disobbedienza l’ha semplicemente praticata.

Nelle “Domande” trovate sul suo computer, oltre a quella più angosciante che rappresenta per molti aspetti la sintesi finale di una vita di disobbediente, Alex scrive:

“Tu che ormai fai “il militante” da oltre 25 anni e che hai attraversato le esperienze del pacifismo, dalla sinistra cristiana, del ‘68 (già “da grande”), dell’estremismo degli anni ‘70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e con l’America Latina, col Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell’ecologia – da dove prendi le energie per “fare” ancora?22

E, tra le 22 “Domande” datate 4 marzo 1990, l’unica che di fatto non è una domanda è:ì

“potenzialità della disobbedienza civile...”. 23

Nell’ambito delle esperienze universitarie fiorentine si situano anche gli intensi rapporti di Langer con la Chiesa Valdese 24: Tullio Vinay, pastore e teologo della chiesa valdese fiorentina, anche se aveva da tempo lasciato il suo incarico di pastore, esercitava ancora un forte influsso sui giovani nell’ambito delle tematiche del disarmo, ambientalismo e diritti dei lavoratori 25: aveva fondato il centro ecumenico Agape - quando ancora non si parlava di ecumenismo, costituito la comunità siciliana di Riesi e fondato il MIR - Movimento Italiano della Riconciliazione. Langer, grazie alla collaborazione dei valdesi fiorentini, promuove a Bolzano (con Loretta Mussi, Christian Mayer, Trude e Lisl Saltuari, Ulrich Runggaldier ed Edi Rabini) il convegno “Coscienza cristiana e problema sudtirolese”, svolto alla Casa del giovane lavoratore dall’1 al 3 settembre 1967, a cui partecipano, fra gli altri, il pastore valdese Giorgio Girardet, mons. Josef Gelmi, Lidia Menapace, Albert Mayr-Nusser e i professori fiorentini Umberto Segre e Giorgio Spini 26; Edi Rabini ricorda che insieme ad Alex si trovarono l’11 settembre 1973, giorno del colpo di Stato in Cile, presso la comunità valdese di Torre Pelice con Giorgio Rochat.27      

Nel maggio 1969 gli evidenti anacronismi della Chiesa cattolica sembrano chiudere un importante ciclo nel pensiero teologico-politico di Alex Langer: quello relativo al rapporto con la Chiesa cattolica e con le sue istituzioni. Lasciata Firenze, tiene a Tübingen, in Germania, una relazione alla Paulus Gesellschaft, associazione cattolico-marxista, che poi viene pubblicata dalla rivista “Testimonianze”28 con il titolo “Contro la falsa democratizzazione della chiesa”. L’analisi di Alex sul rinnovamento della chiesa, assolutamente necessaria per “avvicinarla alla sua missione di testimonianza e di profezia”, è di carattere prevalentemente sociologico: muove dal concetto di “istituzione” e, precisamente, di “istituzione totale” come formulato da Erving Goffman e da Michel Foucault: ne descrive le regole di funzionamento e le modalità tramite le quali l’istituzione-chiesa prende decisioni fondamentali sulla vita degli individui.29 Nella chiesa, scrive Alex: “le strutture autoritarie e di potere, ormai cristallizzate in secolari incrostazioni, sono allarmanti”; le sue strutture sociali, ovvero l’organizzazione della collettività ecclesiastica, “si trova con due secoli di ritardo”; le recenti discussioni riguardano: “il dibattito sul celibato, la crociata contro il divorzio, il governo della chiesa e la regolamentazione della liturgia”. Dopo una serrata analisi critica, l’articolo si conclude con l’auspicio di un “chiesa deistituzionalizzata” che, rispetto a quella attuale, sia più vicina al Vangelo. Langer intravede nella comunità dell’Isolotto il modello di chiesa conciliare:

“Teologia politica potrà dunque essere una funzione della comunità cristiana di base, non più istituzionale. Altrimenti si può essere sicuri che i potenti troveranno un’altra volta la strada per tappare la bocca con concordati e privilegi […]- mentre solo una chiesa diffusa e di base potrà essere il luogo di una critica e profezia liberatoria”.30

Nello stesso periodo dell’articolo, grazie all’atteggiamento conservatore e reazionario, espresso in particolare dai cardinali Ermenegildo Florit e Giuseppe Siri, si diffonde la convinzione che la Chiesa non fosse più in grado di ‘interpretare’ la vita quotidiana: incapace di collocarsi sulla scia della difesa dei diritti umani e di sostenere i poveri, anche l’auspicata spinta del rinnovamento conciliare sembrava esaurita.

“Io – dice Valeria Malcontenti – venni via dalla Chiesa pensando che non c’era nulla da fare. Tantissimi uscirono dalla Chiesa ma rimanemmo a fare il doposcuola nelle case del popolo. Anche Alex venne via, non ricordo più se subito quando me ne andai io perché c’era appunto questa storia che voleva farsi prete. Quindi fu complicato per lui.” 31

Ma si tratta di un allontanamento temporaneo. Negli ultimi anni della vita di Langer il connubio tra politica e religione torna alla ribalta e, con esso, anche un rinnovato interessamento alla vita della Chiesa. Il riavvicinamento si deve soprattutto a Wilhelm Egger, vescovo della diocesi di Bolzano-Bressanone dal 1986 al 2008.32 Egger e Langer erano “coetanei”, ovvero, nell’accezione data a questo concetto da Karl Mannheim, condividevano alcune esperienze culturali che in qualche modo avevano condizionato la produzione e riproduzione delle loro conoscenze. Wilhelm Egger, con suo fratello gemello Kurt, era nato a Innsbruck nel 1940: a causa della morte del padre si era trasferito, nel 1945, con la madre a Vipiteno e, nel 1949, a seguito della morte della madre, era stato affidato alla zia Maria Gogl-Egger; nel 1956, col fratello Kurt, era entrato nell’Ordine dei cappuccini proprio quando Alex Langer era entrato dai Francescani di Bolzano. Wilhelm Egger, che dirà di essere “unito da un rapporto di amicizia personale33 con Alex , da raffinato biblista qual era, lo aveva invitato a parlare della figura del profeta Giona, il 5 aprile 1991, nella chiesa Regina Pacis di Bolzano.34 Successivamente Alex, sempre nell’ambito del dialogo col mondo cattolico, aveva partecipato al convegno organizzato dalla Pro Civitate Christiana di Assisi, nel dicembre del 1994, 35 ed al convegno nell’abbazia di Praglia di Bresseo di Teolo nel febbraio 1995.36 

Il legame tra religione e politica è stato quindi fondamentale nelle scelte operate da Alex Langer: da quella di aderire a Lotta Continua, la più operaista, la meno dogmatica e la più critica nei confronti dei regimi comunisti tra tutti i gruppi politici derivati dalla contestazione studentesca, ne assumerà anche la direzione del giornale, all’importante ruolo assunto nell’ambito nella fondazione del partito dei Verdi italiani e nel movimento verde europeo. Religione e politica si alimenteranno, nel corso del tempo, di numerose esperienze relazionali e significative conoscenze tra cui: il rapporto con Rudolf Bahro, marxista eretico uscito dalla DDR ed entrato in relazione con i Grünen della Germania federale; l’amicizia con Ivan Illich del quale elogerà in particolare la teorizzazione della “società conviviale” ed il plurilinguismo; della collaborazione con José Ramos Regidor, salesiano dissidente, teologo della Teologia della Liberazione, con il quale condividerà la Campagna Nord Sud e con la sua co-fondatrice Jutta Steigerwald della Federazione delle Chiese Evangeliche; le amicizie con Wolfgang Sachs, March Nerfin, Vandana Schiva…

E’, in conclusione, ampiamente condivisibile quanto sostenuto da Mao Valpiana:

“per Alex mi pare che la sua vocazione politica fosse fondamentalmente una vocazione religiosa. Anche nella visione dell’utopia, della necessità di un risultato escatologico che guarda oltre...” 37

 

 

3. ALEXANDER LANGER E LA CONVIVENZA INTER-ETNICA

 

I primi impegni politico-sociali di Alexander Langer sono stati quelli che lui stesso ha definito di “sperimentazione della convivenza in piccolo” nei gruppi misti di liceali di madrelingua tedesca, italiana e ladina in Alto Adige – Südtirol e nelle riviste del dissenso sudtirolese: “Die Brücke/Il Ponte”, “Bi-Zeta 58”, “Fratelli/Brüder…E’ proprio in una di queste riviste, “Bi-Zeta 58”, che Alex, a soli 18 anni, introduce il tema della convivenza e quello, in parte correlato, del tradimento della compattezza etnica.38

La convivenza assumerà rilevanza politica nell’ottobre del 1981 quando, in applicazione dell’articolo 89 dello Statuto di autonomia, il Censimento renderà obbligatoria la dichiarazione di appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici: tedesco, italiano e ladino. Alex, che definiva il Censimento una “schedatura etnica”, il “più grave avvelenamento dei rapporti interetnici dall’accordo Hitler Mussolini del 1939”, aveva promosso il Comitato contro le opzioni ed invitato all’obiezione di coscienza; non si dichiareranno 5.192 cittadini: una sconfitta, a cui aveva fatto seguito la persecuzione nei confronti dei renitenti.    

E’ nel “Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica” (d’ora in poi chiamato per semplicità “Decalogo”), l’opera teorica più famosa, che Alex Langer riassumerà le sue esperienze sudtirolesi e quelle realizzate nella ex-Jugoslavia, in particolare in Bosnia. Pubblicato per la rivista Arcobaleno dei Verdi del Trentino il 23 marzo del 1994.

Il Decalogo, benché nel titolo sia presente un debole e quasi umile inserimento della parola “tentativo”, richiama di per sé norme e precetti che dovrebbero essere assunti da chi volesse agire secondo i principi della convivenza. Il Decalogo rievoca, per antonomasia, i Dieci comandamenti dati a Mosè sul monte Sinai per il popolo ebraico: si tratta, infatti, di una sorta di “codice morale” corredato da precetti e consigli e considerazioni utili alla prevenzione e nella gestione dei conflitti etnici.     

L’ispirazione è di tipo ecumenico: in particolare per la sua dimensione universalista e generalista che, attraverso la conoscenza, mira ad eliminare i motivi di divisione nel segno della pace e della fraternità: “Ut unum sint”/”perché siamo una sola cosa”, secondo il Vangelo di Giovanni. E’ una dimensione che, per i forti richiami religiosi, si ricollega agli scritti giovanili, in particolare “Per la vittoria del Regno di Dio” e il “Cristianesimo rivoluzionario”.

Lo stile espositivo del Decalogo è piuttosto semplice: esso è costruito su una proposizione iniziale, che funge da titolo, seguita da brevi spiegazioni e da sintetici ragionamenti esplicativi: i dieci titoli iniziali dei singoli paragrafi del Decalogo sono i seguenti:

1. La compresenza pluri-etnica sarà la norma più che l’eccezione; l’alternativa è tra esclusivismo etnico e convivenza;

2. Identità e convivenza: mai l’una senza l’altra; né inclusione né esclusione forzata;

3. Conoscersi, parlarsi, informarsi, inter-agire: “più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo”;

4. Etnico magari sì, ma non a una sola dimensione: territorio, genere, posizione sociale, tempo libero e tanti altri denominatori comuni;

5. Definire e delimitare nel modo meno rigido possibile l’appartenenza, non escludere appartenenza ed interferenze plurime;

6. Riconoscere e rendere visibile la dimensione pluri-etnica: i diritti, i segni pubblici, i gesti quotidiani, il diritto di sentirsi a casa;

7. Diritti e garanzie sono essenziali ma non bastano: norme etnocentriche favoriscono comportamenti etnocentrici;

8. Dell’importanza dei mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono “traditori della compattezza etnica”, ma non “transfughi”;

9. Una condizione vitale: bandire ogni violenza;

10. Le piante pioniere della cultura della convivenza: gruppi misti inter-etnici.”39

 

Il Tentativo di decalogo della convivenza inter-etnica è costruito, dal punto di vista logico e divulgativo, su alcune semplici opposizioni tematiche:

- convivenza al posto della coesistenza;

- inter-etnicità al posto della etnicità;

- interculturale al posto del multiculturale;

- no alla violenza/nonviolenza al posto della violenza.

Convivenza/coesistenza

Il concetto di convivenza trae origine dal programma del pontificato di Giovanni Pacelli, papa Pio XII, riportato nella Summa Pontificatus pubblicata il 29 ottobre del 1939. Alla coesistenza dei popoli, che indica rispetto reciproco tra Paesi differenti in termini di regime politico-sociale, Pio XII inserisce il concetto di convivenza pacifica. La convivenza pacifica amplia i termini della coesistenza estendendoli alle dimensioni etiche in quanto implica la fratellanza tra gli uomini ed i popoli, valore universale che è alla base della scelta nonviolenta.

Il massimo estensore del concetto di coesistenza è stato Nikita Chruscev: nel febbraio del 1956, al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico, individuava nella coesistenza pacifica una forma di mediazione tra mondo capitalista e mondo comunista:

“A voi non piace il comunismo.

A noi non piace il capitalismo.

C’è una sola soluzione: la coesistenza pacifica”

Nikita Chruscev, 1956

Per Chruscev la coesistenza pacifica era una scelta necessaria sia per scongiurare una devastante guerra atomica, dove secondo una sua forte affermazione “i sopravvissuti invidieranno i morti”, sia per migliorare le condizioni dei cittadini sovietici in quanto si sarebbero tagliate le spese per gli armamenti.

In realtà, alla prova della storia, la coesistenza pacifica non ha sortito i risultati sperati da Nikita Chruscev in quanto USA e URSS continueranno, sino a tutti gli anni ‘80, ad aumentare il loro arsenale atomico; il muro di Berlino, costruito il 13 agosto del 1961, ha acutizzato i rapporti tra Est ed Ovest sino al 9 novembre del 1989 quando, caduto ogni controllo, le due parti della città di Berlino si sono riunite; la crisi dei missili di CUBA, considerata uno dei momenti più critici e sicuramente pericolosi della guerra fredda.

Interetnicità/etnicità

Interetnicità ed etnicità sono concetti legati a quello di “etnia”.

In Langer il concetto di etnia non sostituisce in alcun modo quello di razza: esso è legato al concetto greco di “ethnos” che significa gruppo contraddistinto da alcuni fattori e caratteristiche, quali quelle nazionali, linguistiche, religiose… In particolari condizioni questi fattori sono capaci di dar luogo ad un senso di appartenenza, ad un “noi” che può giungere sino ad un etnocentrismo esasperato.

Langer, rievocando un linguaggio tipico delle pratiche dell’esorcismo, descrive sinteticamente il forte legame che potrebbe caratterizzare il circuito esasperato dall’etnocentrismo – separatismo – Stato Nazionale:

Chi volesse scacciare il diavolo del “separatismo” - scrive Alex – ricorrendo al Belzebù dello “Stato Nazionale”, non sarà un buon esorcista”. 40

 L’esclusivismo etnico contrasta le politiche positive di convivenza che sono le uniche in grado di garantire convivenza interetnica.

Così si esprime Alex:

“Chi è consapevole quanto infausta e pericolosa sia ogni tentazione di esclusivismo etnico, dovrà […] lavorare intorno a politiche positive di convivenza.”

[…] Esclusivismo etnico o politica della convivenza: è questa la fondamentale alternativa per verificare un importante aspetto della qualità pacifica o guerrafondaia di stati, costruzioni, ordinamenti ed anche dei movimenti di risveglio etnico”. 41

Interculturale/multiculturale

I termini interculturale e multiculturale, in alcune occasioni, coincidono: in realtà si tratta di concetti profondamente diversi che prefigurano realtà anch’esse profondamente diverse.

Multiculturale è un termine di tipo descrittivo che mira a rappresentare uno stato di fatto, una specie di fotografia che allude alla presenza di diverse culture in un medesimo spazio territoriale: è, quindi, un elemento statico che descrive un dato di fatto.

Interculturale è, invece, un processo dinamico in cui persone, che differiscono culturalmente fra loro, interagiscono in una prospettiva intenzionale che presuppone volontà di confronto e di scambio; è un atto educativo che riconosce il conflitto e non lo ignora, un atto che tende a valorizzare le diversità culturali.

La prospettiva interculturale, come dice Otto Filtzinger dell’Università di Coblenza, pone una precisa domanda: “quale modello di uomo e di cittadino occorre oggi formare?”.

La necessità di un progetto interculturale era già stata avanzata dall’UNESCO nel 1980: il prefisso “inter” disegna un progetto sociale ed educativo basato essenzialmente sulle interazioni culturali e sul reciproco riconoscimento delle diversità.

“Chi dice interculturale – sostiene l’UNESCO – dice necessariamente se dà tutto il suo senso al prefisso inter – interazione, scambio, apertura, reciprocità, solidarietà obiettiva. Dice anche dando pieno senso al termine cultura, riconoscimento dei valori, dei mdi di vita, delle rappresentazioni simboliche ai quali si riferiscono gli esseri umani, individui e società, nelle loro relazioni con l’altro e nella comprensione del mondo, riconoscimento delle loro diversità, riconoscimento delle interazioni che intervengono di volta in volta tra molteplici registri di una stessa cultura e fra differenti culture, nello spazio e nel tempo”.42

Alexander Langer, secondo una visione profetica tipica della nonviolenza di Giorgio La Pira e di Aldo Capitini, oppone alle nascenti società multiculturali il progetto derivato dall’approccio interculturale. Al primo punto del Decalogo, “La compresenza pluri-etnica sarà la norma più che l’eccezione; l’alternativa è tra esclusivismo etnico e convivenza”, è descritta la situazione di fatto, l’inevitabile compresenza di diverse culture nello stesso spazio: “Situazioni di compresenza di comunità di diversa lingua, cultura, religione, etnia sullo stesso territorio – scrive – Alex – saranno sempre più frequenti, soprattutto nelle città...”. Mentre, negli altri punti del Decalogo, ovvero dal secondo al decimo, Alex, nell’ottica dell’approccio interculturale indicato dall’UNESCO, indica quali valori e pratiche, basate sulla conoscenza e anche sull’esperienza del campo, siano in grado di sviluppare convivenza pacifica.

Violenza/nonviolenza/no alla violenza

“Una necessità si erge […] impietosa su tutte le altre: bandire ogni forma di violenza, reagire con la massima decisione ogni volta che si affacci il germe della violenza etnica, che – se tollerato- rischia di innescare spirali davvero devastanti e incontrollabili”. 43

Così scrive Alex: ma è molto interessante il proseguo di questa citazione che, come sarà immediatamente chiaro, apre nuove questioni teoriche e pratiche.

“Ed anche in questo caso non bastano leggi o polizie, ma occorre una decisa repulsa sociale e morale, con radici forti: un convinto e convincente no alla violenza”.

E’ immediatamente evidente che nel Decalogo Langer usa la frase “no alla violenza” e non la forma “nonviolenza”, come propugnata ed efficacemente sostenuta da Aldo Capitini. E’ evidente che, in questo caso, il punto nono del Decalogo è linguisticamente funzionante e particolarmente incisiva l’affermazione: “un convinto e convincente no alla violenza”; mal funziona, insomma, una frase del tipo: “un convinto e convincente nonviolenza”. Eppure Alex, è ampiamente accettato, ha efficacemente rinnovato la teoria e la prassi della nonviolenza – si veda a questo proposito le numerose interviste rilasciate da Mao Valpiana – anche se, per quello che mi consta, non si è mai definito “nonviolento” né ha mai usato nei suoi scritti il termine “nonviolenza”.

Mao Valpiana, direttore della rivista Azione Nonviolenta, ricorda che Langer, dal 1982, inizia la sua partecipazione al Movimento Nonviolento, fondato a Perugia da Aldo Capitini e, per la rivista Azione Nonviolenta, scrive in modo sistematico. Non credo che Langer abbia conosciuto personalmente Capitini, anche se sarebbe utile approfondire le piste di don Lorenzo Milani e di Giorgio La Pira, nonchè quelle della rivista il Ponte diretta da Enriques Agnoletti. È indubbio, però, che nei lavori, articoli ed azioni di Langer si respirano ampiamente alcuni capisaldi del pensiero di Capitini. Nello specifico:

- la forza dei piccoli gruppi è un’idea principe sia in Capitini, sia in Langer: dove c’era da incontrare piccoli gruppi, nuove persone, era sempre presente;

- l’apertura è un’altra idea centrale della filosofia di Capitini: Educazione aperta, Religione aperta… sono alcuni dei titoli dei testi scritti dal fondatore del movimento nonviolento;

- la disobbedienza, elemento che contraddistingue le forme della nonviolenza dal generico pacifismo;

- l’idea capitiniana del “potere di tutti” ha preso corpo grazie all’opera di Alex Langer che, come scrive Mao Valpiana, è riuscito “ad applicare la nonviolenza in alcuni degli ambiti più difficili per farlo: la politica e le istituzioni”.44

Al di là delle opposizioni nonviolenza/no alla violenza la questione di “bandire ogni forma di violenza” in Langer è molto complessa: essa, infatti, si sposa pienamente con lo stile di vita, con la visione delle cose e implica un nuovo ordine etico e morale. Significativo è a questo proposito l’articolo “Contro la guerra cambia la vita” scritto nel 1991 da Alexander Langer per la rivista Terra Nuova Forum.

4. LANGER E LA CONVERSIONE ECOLOGICA

Il tema della conversione ecologica è un altro tema centrale nel lavoro di Alexander Langer e, nelle sue versioni degli ultimi tempi, ingloberà, in un’ottica prevalentemente olistica, anche quello della convivenza. E’ anch’esso ampiamente ricollegabile, in quanto derivato, al pensiero scaturito da quegli aspetti della teologia politica impegnata nella cura e salvaguardia del “creato” secondo una definizione cara al movimento ecumenico di matrice cattolica.

Nella conversione ecologica Langer esprime pienamente la propria coscienza ecologica che, secondo l’affermazione di Adriano Sofri, è una “coscienza pentita45 che rivolge lo sguardo non solo al mondo vivente, ma anche a quello non vivente:

“[…] credo che il primo e fondamentale messaggio ecologico che oggi si possa dare – scrive Alex – è quello di una vita semplice, di una vita che consumi poco, di una vita che abbia grande rispetto di tutto quello con cui abbiamo a che fare, compreso gli animali, comprese le piante, comprese le pietre, compreso il paesaggio, cioè tutto quello che ci è stato dato in prestito e che dobbiamo dare agli altri.

Un secondo aspetto che mi permetto di offrirvi come possibile contributo a un futuro amico ha a che fare anch’esso con la conciliazione o con la convivenza. Ed è non la convivenza con la natura ma la convivenza tra culture, la convivenza tra diversi noi, cioè tra gruppi di persone che non si identificano, pur vivendo nello stesso territorio”. 46

Per Langer la questione della convivenza è una questione globale non ascrivibile alle sue singole componenti: essa riguarda sia la convivenza tra le culture sia la convivenza con la natura.

Le parti del “creato” sono strettamente connesse; su questa stretta correlazione è intervenuto anche papa Bergoglio, nell’udienza del 5.06.2013, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa dalle Nazioni Unite. Nell’affrontare il significato del “coltivare” e “custodire”, narrate nel Libro della Genesi (2.1), Bergoglio afferma:

“il coltivare e il custodire non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, ma riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia” 47

Le questioni dell’ecologia umana e quelle dell’ecologia ambientale saranno preminenti nella seconda enciclica di papa Bergoglio, la “Laudato Sì’” del 24 maggio 2015 dove, come vedremo, molteplici risulteranno le correlazioni e, per molti versi, le dipendenze dal pensiero langeriano.

In Langer la distinzione tra convivenza “tra di noi” e quella “tra noi e la natura” è necessaria solo ai fini dell’analisi in quanto anche l’uomo appartiene al mondo della natura.

A questo proposito scrive Massimo Cacciari:

“non è la convivenza con un altro, è la convivenza con la nostra stessa dimensione naturale. Questo è l’atteggiamento che distingue radicalmente Langer da un certo ambientalismo che continua a considerare la natura come una cosa di fronte a noi. No, la natura è ‘noi e la natura’, ‘noi e le cose. Non vi è l’uomo e la natura”48

Il tema della conversione ecologica si presenta negli scritti di Alex Langer a partire dalla fine degli anni ‘80, in particolare nell’articolo “Giustizia, pace, salvaguardia del creato. Tesi sull’attuabilità politica di una conversione ecologica”, relazione tenuta all’Accademia Cusano di Bressanone il 4 gennaio 1989. La scelta del termine “conversione ecologica” è data fondamentalmente dalla sua dimensione del pentimento che richiede, per essere veramente tale, cambiamento personale in funzione della riparazione dei danni.

Scrive Alex:

“Preferisco usare questa espressione, piuttosto che termini come rivoluzione, riforma o ristrutturazione, in quanto meno ipotecata ed in quanto contiene anche una dimensione di pentimento, di svolta, di volgersi verso una più profonda consapevolezza e verso una riparazione del danno arrecato. Inoltre nel concetto di “conversione” è meglio implicita anche una nota di coinvolgimento personale, la necessità di un cambiamento personale ed esistenziale”. 49

Dunque, la conversione ecologica è un processo dettato dal coinvolgimento personale e dalla profonda consapevolezza e contiene anche la riparazione del danno: è il passaggio a nuovo corso della vita che implica progressivo riorientamento degli atteggiamenti e comportamenti.

La conversione ecologica non può essere confusa con la conversione di Paolo di Tarso, descritto negli Atti degli Apostoli, che segna l’adesione al cristianesimo di Saulo, “folgorato sulla via di Damasco”. La conversone di Langer non è un evento, come nel caso della folgorazione, è un processo vero e proprio che implica pentimento e cambiamento: essa, in realtà, è più prossima alla conversione dell’ Innominato dei Promessi Sposi, descritta da Alessandro Manzoni, che dalle tenebre della sua vita scopre la gioia della luce e del perdono, che altro non è che la luce di Dio. Fabio Levi, nel testo In viaggio con Alex, dall’analisi dei temi scolastici della classe V, indica come Alex mostrasse una certa simpatia per Frà Cristoforo dei Promessi Sposi ovvero colui che aveva raccolto di fatto la conversione dell’Innominato.50

Nella relazione al “Secondo Incontro latinoamericano di Cultura, Etica e Religione di fronte alla sfida ecologica”, organizzato dal CIPFE – Centro de Investicaciòn y Promociòn Franciscano y Ecològico di Montevideo e Buenos Aires, del dicembre 1990, Langer ribadisce la necessità di “riequilibrare equilibri profondamente turbati” ed introduce la necessità di passare dal prevalente modello rappresentato dal motto olimpico “Citius, Altius, Fortius” a quello contrario del Lentius, Temperatius, Levius – successivamente trasformato in “Lentius, Profundius, Suavius” - più lentamente, più profondamente, più dolcemente.

A questo punto sarebbe interessante capire dove Bergoglio, che all’epoca era provinciale dei gesuiti di Argentina e svolgeva il ruolo di collaboratore del cardinale Quarracino a Buenos Aires, ha conosciuto il pensiero di Alex Langer: l’ipotesi più probabile é quella che Bergoglio abbia appreso la tematica attraverso le pubblicazioni del CIPFE - Centro Francescano Ecologico - che aveva riprodotto le relazioni del convegno di Buenos Aires.

Il testo principale sulla conversione ecologica è ritenuto “La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile” 51: si tratta della relazione presentata ai Colloqui di Dobbiaco del 1.08.1994 - promossi da Haus Glauber ed a cui Alex partecipava regolarmente. 52

Lo stile espositivo dei Colloqui è molto simile a quello del Decalogo: è costruito su una proposizione iniziale, che anche in questo caso funge da titolo iniziale, seguita da brevi spiegazioni e da sintetici ragionamenti esplicativi. Nel caso dei Colloqui i titoli dei singoli punti sono otto e precisamente:

“1. Abbiamo creato falsa ricchezza per combattere false povertà. Re Mida patrono del nostro tempo;

2. Non si può far finta di non sapere, l’allarme è ormai suonato da almeno un quarto di secolo ed ha generato solo provvedimenti frammentari e settoriali;

3. Perché l’allarme non ha prodotto la svolta? E’ già finito l’intervallo di lucidità (Stoccolma 1972 – Rio 1992)?;

4. “Sviluppo sostenibile” - pietra filosofale o nuova formula mistificatrice?

5. A mali estremi, estremi rimedi? (“Muoia Sansone con tutti i filistei”? Eco-dittatura?)

6. La domanda decisiva è: come può risultare desiderabile una civiltà economicamente sostenibile? “Lentius, profundius, suavius”, al posto di “citius, altius, fortius”;

7. Possibili priorità nella ricerca di un benessere durevole;

8. Una Costituente ecologica?”.53

Il fatto che siano otto i punti ha un suo preciso significato nella tradizione biblica cristiana: al numero otto è sempre collegato la figura del Messia-Cristo visto che all’ottavo giorno si colloca la sua Risurrezione e, con essa, quella dell’uomo.

Nei primi sei punti Alex affronta alcune rilevanti questioni della sua esperienza di ecologista: le delusioni successive alla Conferenza mondiale sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992; le ambiguità del concetto di “sviluppo sostenibile” e le inaccettabili soluzioni derivate dallo “Stato etico ecologico” - “eco-dirigismo” o “eco-autoritarismo” e, al sesto punto - proprio come al sesto giorno quando fu creato l’uomo - giunge la domanda fondamentale: “come può risultare desiderabile una civiltà economicamente sostenibile? “Lentius, profundius, suavius”, al posto di “citius, altius, fortius””.

A questo punto Langer sviluppa, richiamandosi al motto olimpico, la sua riflessione etico culturale che caratterizzerà il suo impegno politico:

“Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico “Citius, Altius, Fortius” più veloce, più alto più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quitessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in “Lentius, Profundius, Suavius” (più lento, più profondo, più dolce), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso.

Ecco perché una politica ecologica potrà aversi solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civil, elaborate – com’è ovvio – in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche (radicate, cioè, nella storia e nell’identità dei popoli). Dalla politica ci si potrà aspettare che attui efficaci spunti per una correzione di rotta ed al tempo stesso sostenga e forse incentivi la volontà di cambiamento: una politica ecologica punitiva, che presupponga un diffuso ideale pauperistico, non avrà grandi chances nella competizione democratica”.54

E, nell’ultima parte del saggio, in una visione profetica rispetto alla situazione attuale, Langer giunge a immaginare un processo costituente, a profonda base culturale e sociale, che dovrebbe sfociare in una sorta di “Costituente ecologica” basata su un solido fondamento di conversione ecologica che sia in grado di svincolare le scelte pubbliche e private dal presente e dalla “congiuntura politica del momento”. 55

Il tema della conversione ecologica assume, come già accennato, una rilevanza particolare e significativa nell’enciclica Laudato Sì del 2015 di papa Bergoglio, enciclica dedicata alla cura della casa comune. L’espressione “conversione ecologica”, ricorda Bergoglio nell’introduzio

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