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Giovanni Damiani: Considerazioni sui limiti dello sviluppo, da Aurelio Peccei ad oggi

18.3.2018, rivista abruzzese 2015/2016

Alla luce degli eventi intercorsi negli ultimi quasi cinquant’anni dalla pubblicazione delle analisi riportate nel volume “I limiti dello sviluppo”e in base alle attuali conoscenze, cosa è cambiato nella situazione ecologica ed economica globale? Ci sono state sorprese?

Per dare una risposta a questa domanda occorre fare qualche considerazione e una piccola retrospettiva.

C’è una scienza tanto utile alla Politica (con la P maiuscola e nel significato più nobile del termine) che non riesce proprio ad affermarsi: potremmo chiamarla “scienza della lungimiranza”, che consiste nel prevedere le conseguenze delle nostre azioni e del nostro modo di vivere, di produrre, di organizzarci in società, di relazionarci con i popoli degli altri Paesi.

Una scienza della previsione nei campi economico e sociale fu avviata negli Stati Uniti all’inizio degli anni ’50. Promotori furono il ministero della difesa e quello per l’industria, che ritenevano dover studiare il cambiamento tecnologico in corso (si diffondevano in maniera esplosiva e di massa la radio e la televisione, erano appena stati inventati i transistors, iniziava l’era degli aerei a reazione, della motorizzazione di massa, della meccanizzazione completa dell’agricoltura, della plastica, degli elettrodomestici, dei detergenti di sintesi chimica ecc…) per evitare futuri spiacevoli inconvenienti che avrebbero potuto abbattersi inaspettati nei rispettivi campi di interesse.

Anche in Europa, e in particolare nel 1953 in Francia, iniziavano studi del genere tesi però di più a prevedere e prevenire future crisi economiche e sociali che avrebbero potuto creare le condizioni per nuove guerre, avendone vissute due mondiali in meno di trent’anni, con decine di milioni di morti, tanta fame e distruzione. I francesi inoltre temevano che si creasse un divario tecnologico incolmabile fra Stati Uniti, leader dell’innovazione tecnologica, e l’Europa che rischiava di rimanere arretrata. Lo studio sul futuro degli europei “appariva importante soprattutto come bisogno di superare la propensione umana alla distruzione” (da Eleonora Barbieri, studi sul futuro dell’Italia, 1998). La scuola francese non si occupava solo della programmazione economica a breve termine, ma introdusse il metodo innovativo di integrare in questa le prospettive politiche a lungo termine con scelte, economiche e non, da adottare nella politica. Valutò altresì che non fosse corretto pre-scrutare il futuro limitandosi alle scelte politiche in atto, e che occorresse analizzare tutti i possibili futuri, in ordine di probabilità di accadimento, e individuare le scelte da attuare per orientare l’Europa verso quelle ritenute più pacifiche, desiderabili e concretamente attuabili.

In Italia va ricordata su questo argomento l’attività pionieristica di Pietro Ferraro (1908-1974) che, mosso da un profondo e convinto umanesimo, alla fine degli anni ’60 creò l’IREA, centro di ricerca che, dal ’67 al ’74, ha pubblicato la rivista “Futuribili” gemella della francese “Futuribles”. Ferraro fu un personaggio di spicco della lotta di resistenza veneta, ha lasciato le sue idee in diverse pubblicazioni ove enfatizza il “dovere civico” e ha dato all’ultimo suo libro il titolo eloquente “la costruzione del futuro come impegno morale”.

Il club di Roma

Ma la svolta sugli studi previsionali-sociali che alla fine approdò ad una visione ecologica del mondo, avvenne ad opera di un altro protagonista della resistenza: Aurelio Peccei. Laureatosi in economia nel 1930 a Torino, iniziò da giovanissimo a girare il mondo: dalla Sorbona ove ebbe una borsa di studio, all’URSS. Assunto in FIAT come dirigente operò in Cina fino al 1939. Rientrato in Italia, in pieno regime fascista con le sue leggi razziali, si arruolò immediatamente nelle fila dei partigiani di Giustizia e Libertà. Arrestato nel ’43 subì in carcere torture protrattesi per un anno e quando fu rilasciato perché ritenuto piegato e inoffensivo, riprese immediatamente la lotta di resistenza. Il CLN lo incaricò quale commissario della FIAT nella riconversione da militare a civile, azienda in cui tornò successivamente ad essere dirigente, e dopo aver partecipato alla fondazione dell’ALITALIA, si trasferì in Argentina ove passò alla creazione degli stabilimenti per la produzione di trattori, motori per i treni e automobili.

Peccei lavorò con Adriano Olivetti per l’introduzione delle tecnologie informatiche nelle macchine da scrivere e per aprire la strada italiana all’epoca dei calcolatori elettronici e godeva della stima di molte persone influenti a livello internazionale, di università, e in Italia di tutte le grandi aziende nazionali, dall’ENI alla Montecatini, alle quali poteva chiedere contributi per attività di ricerca e sviluppo a beneficio dei Paesi arretrati, convinto che fosse necessario elevare ovunque “la qualità umana”, anche come strategia di pace.

Si rese conto, però, che non bastava “concentrare gli sforzi su progetti specifici mentre il contesto più ampio in cui questi sono inseriti si va rapidamente deteriorando” ma che bisognasse “escogitare nuove forme per attaccare i problemi fondamentali dell’uomo” e che “il fine societario dell’impresa deve essere principalmente l’interesse pubblico”. Nell’operare al di fuori dei confini sosteneva che lo scopo del profitto dovesse essere integrato nel rispetto delle politiche nazionali dei Paesi ospitanti e che occorresse dare priorità alla realizzazione delle scelte strategiche di cui quei Paesi avevano bisogno. E ciò per evitare il divario tecnologico fra paesi ricchi e quelli poveri, e fra USA ed Europa. Una sua relazione tenuta all’ONU con l’approfondimento delle idee sopra accennate, e alcuni suoi scritti tematici gli aprirono la strada all’impegno politico non partitico, essendo diventato il punto di riferimento per economisti illuminati, scienziati, università, manager, intellettuali dei vari continenti. Tentò di organizzare un gruppo internazionale di lavoro passando una esperienza fallimentare presso l’Accademia dei Lincei nell’aprile del ’68 (fallimento dovuto al fatto che le risultanze degli incontri fra personaggi non numerosi ma invitati da mezzo mondo, furono riportati in maniera incomprensibile) fino ad approdare, presto, alla fondazione del Club di Roma. Nell’analisi dei problemi che riguardavano il mondo, il pool di esperti del club nelle varie discipline si diede i seguenti criteri e obiettivi:

  1. esaminare il contesto globale e sviluppare progetti che devono essere intrapresi in alleanza da tutti i Paesi più avanzati

  2. studiare come pianificare razionalmente il futuro del pianeta

  3. avere orizzonti a lungo termine

  4. redigere progetti imparziali e non politici, ma tenendo presente che lo stesso avrà profonde conseguenze politiche.

Nel corso delle discussioni pervennero ad un messaggio tanto semplice quanto fertile ed evoluto nel metodo: i problemi del mondo sono interconnessi e non possono essere risolti separatamente; bisogna capirli nella complessità per poi poterli affrontare sistematicamente. Si costruì così un primo modello matematico che dimostrava che in un mondo di dimensioni finite non era possibile uno sviluppo illimitato e che la crescita della popolazione e l’inquinamento avrebbero portato ad un certo punto al collasso del sistema. Questo modello fu apprezzato dal MIT (Massachussets Insitut of Technologies) con cui Peccei era in relazione da anni e che si occupava di tecniche dei sistemi dinamici; l’Istituto, su mandato del Club di Roma e con finanziatori privati, con l’ausilio di giovani ricercatori e di computer all’epoca ritenuti potentissimi (e che oggi sappiamo essere meno di un centesimo delle capacità di quelli che abbiamo in casa) elaborò un modello matematico più evoluto per descrivere lo stato del mondo basato su cinque variabili principali: popolazione, disponibilità di alimenti, produzione industriale, tasso di uso delle risorse non rinnovabili e inquinamento ambientale. Fu il risultato di questa esperienza che portò alla stesura, nel 1972, di “Limits to growt, pubblicato a New York, libro di grandissimo successo mondiale, tradotto in Italia con il titolo “I limiti dello sviluppo” mentre in realtà letteralmente avrebbe dovuto essere “Limiti alla crescita”.

 

Le reazioni alla prefigurazione di limiti nello sviluppo.

Il contenuto del libro scatenò grande discussione e una infinità di polemiche. Da sinistra si opponeva che preoccuparsi dell’ambiente è un lusso delle classi agiate e che il ceto medio ha ben altri problemi, difficili da risolvere, per potersi permettere di pensare all’ambiente e che il problema non era quello ambientale o delle risorse che si esauriscono ma di chi controlla i mezzi di produzione e la ripartizione dei beni prodotti nella società. Da destra veniva opposto invece che il ruolo del mercato libero e del progresso tecnologico avrebbero risolto automaticamente e sempre tutti i problemi, avrebbero modulato anche il giusto prezzo per le risorse non rinnovabili e che le nuove tecnologie avrebbero potuto sostituire in futuro le risorse in esaurimento senza problemi. Dai Paesi poveri si obiettava che l’attenzione all’ambiente era una minaccia alla loro libertà di sviluppo e che le tesi di Limits erano state elaborate per mantenere lo status quo a loro sfavore. Anche il mondo cattolico era furente perché si sosteneva la necessità di contenere le nascite per evitare la sovrappopolazione della terra. In definitiva si opponeva alle conclusioni della ricerca, praticamente da tutte le parti politiche, un coro di rifiuto del concetto di limite allo sviluppo economico pure se basato sul più becero consumismo.

Tra le eccezioni eclatanti a queste posizioni che oggi definirei reazionarie, va invece ricordato il discorso, fuori dal coro e destinato a rimanere isolato, tenuto a Roma al teatro Eliseo, nel 1977 da Enrico Berlinguer. Oggi è noto come “il discorso sull’austerità” e andrebbe riletto per il suo carattere profetico. Il leader comunista italiano argomentò la necessità di “abbandonare l'illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario. Ecco perché una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cui premere per far avanzare la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base”.

Prevedeva che il divario con i paesi poveri era da sanare con immediatezza rinunciando ai nostri sperperi consumistici (si pensi a quanto non è stato fatto in merito e ai milioni di profughi ambientali e alle loro sofferenze e alle guerre che si sarebbero potuti evitare). “Per l'Occidente, e soprattutto per il nostro paese, [sono] due le conseguenze fondamentali [della lotta allo sperpero]: aprirsi ad una piena comprensione delle ragioni di sviluppo e di giustizia di questi paesi e instaurare con essi una politica di cooperazione su basi di uguaglianza”;

Ecco perché diciamo che l'austerità è, sì, una necessità, ma può essere anche un'occasione per rinnovare, per trasformare l'Italia….ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un peggioramento della qualità e della umanità della vita. Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana. [...]”.

Nel discorso di Berlinguer non vi era esplicito e dettagliato riferimento ai temi dell’ambiente, ma vi era la sintesi dell’intreccio tra responsabilità individuale e sociale e sostenibilità ecologica, economica, sociale e culturale e aggiungerei…non senza un afflato spirituale.

Se il club di Roma di Aurelio Peccei aveva puntato sulla “necessità di modificare gli ideali umani” per meglio affrontare le sfide che minacciavano il mondo, Berlinguer sicuramente va annoverato fra quelli che avevano compreso e condiviso quel filone culturale. L’esperienza dimostra però, che, tranne rarissime eccezioni, i temi da lui posti non hanno scalfito i suoi compagni di partito allora e nel corso delle successive evoluzioni: la sinistra storica italiana è stata e rimane sviluppista, non ha mai assunto con convinzione e come effettiva linea politica i temi dell’ambiente e dell’ecologia e della difesa del paesaggio, ha sempre rifiutato il concetto di limite allo sviluppo. E’ stata ed è nel complesso e con rare eccezioni, una sinistra del mattone, dell’asfalto e delle gittate di cemento, della crescita illimitata, dai comportamenti, in amministrazione nelle città abruzzesi, uguali e talvolta peggiori dei centristi con i quali ha condiviso le ondate speculative nella città e consociato progettisti e appalti. Si veda com’è ridotta Montesilvano, città nuovissima, nei decenni in cui è stata amministrata dalle sinistre. E quando fu Luciano Lama, segretario nazionale della CGIL, a parlare di austerità e di sobrietà, si sollevò la critica più feroce, condita da ironia, sia all’interno della sinistra storica che dai movimenti della sinistra rivoluzionaria operaista con i principali attori costituiti dai raggruppamenti Lotta Continua, Manifesto e Avanguardia Operaia che all’epoca erano talmente forti da avere ciascuno un giornale quotidiano in edicola. In definitiva l’intuizione di Berlinguer fu abbandonata e mai più ripresa perché non aveva spazio di sorta nella cultura del popolo della sinistra italiana.

 

I limiti dello sviluppo oggi

Il Pianeta è in crisi economica, ecologica e sociale e l’interconnessione fra questi fattori è oramai cosa assodata. Ma inaspettatamente la minaccia globale più vicina e diretta non deriva tanto, come ipotizzato dal club di Roma, dal superamento dei limiti delle risorse non rinnovabili, limitate e finite (petrolio, gas, metalli come lo stagno il rame ecc…) né dall’inquinamento …che pure è molto grave e preoccupante. Dobbiamo registrare che oggi la minaccia più inquietante deriva dal superamento dei limiti delle “cose buone”, anzi addirittura indispensabili per la vita.

Tutta la vita sul pianeta (la produzione degli alimenti, noi stessi) dipende da alcune sostanze fondamentali: carbonio, azoto, fosforo cosiddetti “macronutrienti” perché indispensabili per la crescita dei vegetali la cui fotosintesi regge ogni forma di vita. E poi occorrono l’acqua ed i microelementi. Le leggi dell’ecologia (le leggi di Liebig e di Shelford) e l’esperienza pratica ci dicono però che queste sostanze devono trovarsi entro limiti di disponibilità minimi (limiti inferiori) ma non devono superare un massimo (secondo limite, superiore). Un esempio concreto può essere l’acqua: se si trova al di sotto di un minimo si muore di sete…. ma se è presente al di sopra di un massimo si muore lo stesso perché nessuno sopravviverebbe stando per sempre in ammollo o se fosse costretto a berne decine di litri tutte in una volta.

Vediamo, per le sostanze basilari sopra elencate, quali sono i limiti minimi e massimi da cui stiamo deragliando e che oggi devono destare preoccupazione e priorità d’interventi.

Il carbonio è presente come anidride carbonica nell’aria in cui siamo immersi. E’ alla base della fotosintesi e quindi della produzione alimentare mondiale per tutti i viventi. Il suo eccesso nell’aria, però, ha scatenato un eccessivo riscaldamento per l’effetto-serra, modificando il clima globale, producendo alluvioni, lunghi periodi di siccità, l’avanzata dei deserti, malattie delle piante, riscaldamento e acidificazione dei mari e degli oceani, tornado ricorrenti …insomma tutte le conseguenze che l’Intergovermental Panel on Climate Change ha ben descritto e misurato e su cui ci sarà a dicembre la conferenza mondiale a Parigi, per scongiurare il raggiungimento dell’incremento medio globale di 2 gradi che, previsto al ritmo attuale entro trent’anni, porterebbe alla totale perdita di controllo della situazione. E per capire l’intreccio tra politica, storia e ambiente, cito solo che in Siria da anni per l’assenza di piogge è in atto un processo di desertificazione che ha comportato l’abbandono dei campi da parte di un milione e mezzo di agricoltori che per sopravvivere sono andati in città, creando problemi di miseria e tensione sociale alla radice delle formazioni di integralisti islamici e di guerra civile. A chi chiede di distinguere tra profughi ambientali, profughi di guerra e profughi economici va detto che sono la stessa cosa, che le vittime sono le stesse persone travolte da cause plurime.

L’azoto, secondo elemento in ordine di importanza per la vita sulla Terra, è emesso dalle attività umane attraverso le urine e metaboliti vari (emessi dalle fogne e dai depuratori), dai fertilizzanti agricoli di sintesi, ed ha l’intero ciclo stravolto perché è immesso come rifiuto nel ciclo dell’acqua e in quantitativi che superano largamente i limiti massimi tollerabili dagli ecosistemi di fiumi, torrenti, ruscelli, dei laghi e dei litorali marini ove provoca crescite demografiche esplosive di alghe. Quando queste muoiono, i batteri della biodegradazione consumano l’intero ossigeno presente nell’acqua e l’ecosistema muore per asfissia. L’azoto che sotto-forma di nitrato finisce nelle falde acquifere, inoltre, resta lì per sempre non essendovi nelle profondità della terra attività biologica in grado di trasformarlo, e ciò ha già costretto ad abbandonare migliaia di pozzi perché la loro acqua non è più potabile. Uno scienziato ammoniva in un convegno, oltre vent’anni fa, che “dopo Hiroshima e Nagasaki la bomba atomica forse non esploderà più….mentre la bomba dell’azoto è scoppiata e l’umanità pare non accorgersene adeguatamente”.

Anche il fosforo è immesso, attraverso le fognature urbane, nel ciclo dell’acqua in un così forte eccesso da produrre, insieme all’azoto, eutrofizzazione e morte negli ecosistemi acquatici. Come l’azoto questo elemento è “oro” per la fertilità dei suoli, naturali ed agricoli, ma nell’acqua pur essendo indispensabile dev’essere presente entro limiti assai ristretti. In definitiva noi oggi possiamo permetterci il lusso sciagurato di sottrarre questi elementi alla terra e buttarli come rifiuto nel comparto sbagliato –quello dell’acqua- e in quantitativi formidabili, solo perché sosteniamo l’agricoltura con i concimi di sintesi chimica. Attenzione però! Sappiamo bene che il fosforo delle miniere si esaurirà entro il secolo corrente ai tassi attuali di consumo, prefigurando la crisi prossima futura dell’intera agricoltura mondiale. Il che significa che milioni di esseri umani, se non si corre da subito ai ripari, dovranno morire di fame e folle immense di profughi ambientali migreranno per il mondo alla ricerca della semplice sopravvivenza. Il fosforo dei nostri metaboliti (ognuno di noi ne evacua con le feci quasi 1 kg all’anno) potrebbe essere recuperato intanto da subito dai depuratori, facendo nel contempo un favore alla salute ecologica dei fiumi e del mare. Potrebbe essere recuperato ancora ricollegando agricoltura ed allevamento (il buon letame!) ma anche con la prospettiva di eliminare del tutto le fognature per introdurre i gabinetti a compostaggio che già esistono, sono igienici, eleganti ed ecologici. Dopo più di due millenni dovremo stabilire la fine della “cloaca maxima” che fu un motivo d’orgoglio della civiltà idraulica romana. Si apre quindi l’era in cui anche la merda riacquisterà il suo effettivo, prezioso valore, in cui si tornerà ad allevare i piccioni per il loro guano, come si è fatto per decine di secoli…e ogni rifiuto organico dovrebbe essere avviato al compostaggio. Altro che preoccupazioni per la fine del petrolio! Questo ha molti sostitutivi rinnovabili e, anzi, prima finisce e meglio sarà per la salute della Terra, impestata dai derivati del petrolio che hanno contaminato i terreni, le acque, la qualità dell’aria che respiriamo e col consumo sfrenato dei combustibili fossili, alterato il clima globale.

 

Conclusioni

L’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo è sicuramente una minaccia grandissima e globale. Va affrontata quindi con la più grande determinazione e soprattutto in termini preventivi, di “correzione alla fonte”. Anche il tema della produzione dei rifiuti che ha trasformato il nostro mondo in un immane immondezzaio, va risolto e alla fonte: limitarli al massimo, sostituire le merci indegradabili con quelle biodegradabili, riciclare le sostanze non rinnovabili che in natura si trovano in quantità finite e limitate. Lo stesso possiamo dire per l’inquinamento ambientale. La fine delle risorse non rinnovabili preoccupa le economie ed è cosa seria. L’energia tuttavia non è un problema irrisolvibile: sappiamo produrla dal sole, dal vento, dalle maree, dalla geotermia, dal flusso delle acque e sapremmo pure come risparmiarla e renderla efficiente. La perdita di biodiversità invece è un altro problema rilevantissimo e bisogna difendere gli habitats, le specie e i genotipi e garantire gli spazi, le connessioni ecologiche e le interazioni di cui hanno bisogno. Ma…. se vediamo quali sono le minacce oggi a noi più vicine ed impellenti e di rilievo globale, dobbiamo constatare che esse sono generate dal superamento dei limiti minimi e massimi delle “cose buone”, anzi indispensabili per la vita. Siamo usciti oltre i confini delle regole di cui parlavo prima e all’interno delle quali la vita sia degli individui, che delle popolazioni e sia della salute degli ecosistemi si può svolgere. Stiamo quindi compromettendo le basi fondamentali, molecolari e bio-geo-chimiche della vita stessa. Ecco cosa è cambiato nelle nostre attuali conoscenze sui limiti dello sviluppo dall’epoca di Peccei e del Club di Roma. Ci siamo inimicati le cose buone, anzi fondamentali per la nostra esistenza. Questo non era ipotizzabile all’epoca del club di Roma e rappresenta, a mio giudizio, la cosa principale su cui riflettere per agire oggi. Conserviamo quindi l’approccio olistico di Peccei, metodo ancora sempre più valido e insostituibile per l’analisi delle questioni complesse quali l’ecologia e l’economia, e finalizziamo le risultanze per programmare come far rientrare i fattori che consentono la vita , entro i limiti naturali fondamentali, minimi e massimi entro cui si svolge la vita stessa e la stabilità dinamica degli ecosistemi. Un rientro entro quei limiti può avvenire solo attraverso una “conversione ecologica della società” e dell’economia come scriveva Alexander Langer, introducendo sobrietà, preveggenza, etica della responsabilità personale e sociale. Si tratta di una rivoluzione culturale che ne imponga una politica. Sappiamo praticamente tutto sul cosa fare per porre rimedio e sul come potrebbe essere fatto: su questi temi mancano però la politica, la consapevolezza delle persone, la scuola, l’università, i media che dovrebbero avere un ruolo chiave. Adesso anche la chiesa, con la lettera enciclica di Bergoglio, veramente straordinaria, spinge in questa direzione ma su questo punto pare inascoltata anche dalle masse cattoliche popolari che hanno accolto la cosa con freddezza e qualche scetticismo. La recente posizione della Chiesa sulla questione ecologica potrebbe favorire alleanze tra persone di buona volontà, a prescindere dal credo, anche se resta il problema delle nascite dal momento che il mondo cattolico-romano pare non voglia prendere in considerazione la cosa perfino di fronte ai problemi posti dal sovraffollamento del pianeta. E di fronte a questi temi cadono le braccia per terra nel vedere il livello del dibattito in Europa, la pochezza dei governanti, la scomparsa dell’etica man mano che il trascorrere degli anni ci allontanano dalla memoria della tragedia della guerra, delle dittature fasciste e nazista, dell’olocausto, degli ideali della resistenza, dall’ambiente sano che le nuove generazioni neppure immaginano com’era e siccome non hanno conosciuto il bello non si rendono conto di quando lo stiamo rendendo brutto, mentre trionfano gli egoismi al punto di macchiarci collettivamente dell’infamia “dell’omissione di soccorso” verso i profughi ambientali e di guerra.

Ma se non soccorriamo più neppure i nostri simili, come convincere a soccorrere le specie in estinzione, gli ecosistemi squilibrati e resi distrofici?

 

(pubblicato sulla RIVISTA ABRUZZESE, RASSEGNA TRIMESTRALE DI CULTURA
Anno LXVII – 2015 – N. 3 Luglio-Settembre)

 

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