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Marino Vocci: Alex, il viaggiatore leggero

26.3.2010, Dal libro: Fughe e approdi

Oggi, 3 luglio 1995 è morto un adulto-bambino, l'amico carissimo Alex Langer. L'ho conosciuto prima a Firenze e poi a Merano, non ricordo bene se nel 1968 o nel 1969. In quell'occasione abbiamo parlato del nostro essere cattolici del "dissenso2, della rivista di padre Balducci "Testimonianze", delle esperienze da noi condivise di Barbiana e don Milani, ma anche di Lidia Menapace e di Adriana Zarri.

Con Alex ho vissuto un'esperienza di amicizia discreta, ma vera, di condivisione di sentimenti e valori profondi. Degli anni del suo impegno politico in Europa, ricordo con particolare emozione il ruolo fondamentale avuto da Langer per la fondazione del "Verona Forum per la pace e la riconciliazione nell'ex-Jugoslavia" e nell'alimentare il "Fondo verde Europa Nordest", ma anche per iniziative svolte a Fiume e altri suoi interventi a sostegno di iniziative ambientaliste, di pace e solidarietà.

Alex è stato l'uomo politico che ho amato di più. Uomo di frontiera, ma oltre i confini, amico dell'Istria e di queste nostre difficili ma affascinanti regioni e del mondo, che credeva veramente nelle diversità come ricchezza e risorsa.

Oggi per la prima volta, con una scelta non meditata ma d'istinto, percorro il mio abituale sentiero nei boschi di roverelle, carpini e pini neri, in direzione contraria a quella consueta. Ma oggi non è una giornata normale! Ho raggiunto o meglio mi sono ritrovato a pregare, io che non sono più un credente, ma sarà poi vero?, un "Padre nostro", in una chiesa che tanto contrasta con la nostra visione della Chiesa dei poveri. Accompagno con il mio pensiero il tuo ultimo viaggio senza ritorno e senza più partenze.

Non mi chiedo il perché della tua scelta, perché il profondo senso di rispetto che ho per te, e non l'ipocrisia, mi impone di di darmi non una, ma mille e nessuna risposta. Per te, che no eri un uomo di plastica sul quale tutto scivola via, questo è stato forse un modo estremo per dire basta al consumarsi giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, per servire gli altri e questo nostro mondo. Penso sempre più spesso a come siamo presi dalla quotidianità del fare, che ci lascia sempre meno tempo per pensare, per gli affetti, per le amicizie, per gli amori autentici, o anche più semplicemente per lo stare insieme.

Un dolore cupo, sordo e intenso che raggiunge l'anima, mi avvolge, sale e mi spezza alla gola, avverto un vuoto profondo. E anche se l'Istria mi ha insegnato fin da bambino che i vuoti non rimangono mai tali, sento che questo difficilmente sarà colmato, nel Tuo Süd Tirol, come qui da noi, a Strasburgo, a Tirana a, a Bruxelles, come a Tuzla.

Sento ora alle mie spalle la bora che scende giù da Nord-Est e penso con amarezza (fallimento o sconfitta?) alle molte disillusioni del dopo '68, del dopo '89 e dei molti dopo che hanno messo in crisi solo gli animi seri, sensibili e aperti. Guardo il mare, leggermente increspato al largo, che da una parte accarezza il faro di Saviore (Istria, Croazia, Slovenia, Europa...) e dall'altra s'insinua nello splendido ecosistema lagunare e allora il mio pensiero si rivolge a Dubrovnik, a Mostar (ahimè quale oscura simbologia quel ponte spezzato!) a Tuzla e Tirana.

Immagino, e quasi lo odo questo silenzio sbrecciato da un sommesso, "rabbioso" battere di tacchi e dai rintocchi gravi, solenni e anticipatori delle campane (che mi fanno pensare al Paradiso) della Chiesa di Badia Fiesolana. Vorrei essere anch'io là per annegare anche il mio dolore nel grande Euromediterraneo, che è complessità e diversità, fatto di sudtirolesi e istriani, di tedeschi e italiani di bosniaci e albanesi, o più semplicemente di europei, e di molti altri, che come me, sono lì presenti, in grade solitudine.

Questo mondo ha ancora bisogno della tua "non indifferenza", del tuo "bisogno di continuare", per costruire con umiltà, modestia e convinzione, contatti e rapporti più umani, nuovi e diversi, non solo formali. Questo per tentare di (soprav)vivere e sopportare pesi sempre più gravi e delusioni sempre più profonde. Mentre tu sceglievi il viaggio più lungo, in quelle stesse ore, noi, in un piccolo paesino del Carso, cercavamo di ritrovare proprio nella convivialità e nel rispetto delle culture, delle identità e delle diversità, un clima più umano, di solidarietà e di valori condivisi.

Guardo con malcelato distacco, alla mia sinistra il Monte Belvedere, con le sue antenne televisive, Penso con dolore ai molti che proprio sulla (dis)informazione, non molto lontano da qui, hanno provocato immani tragedie e dentro di te (di noi?) delusioni, sconfitte, vergogna, silenzi, piccoli e grandi sconquassi. Non sento alcuna voglia di consumare un caffè, semmai sogno uno "Skiwasser" su alla Gampenalm, assieme ad amici veri, autentici, che odorano di sudore e non di fondotinta o di "cappucci". Amici vivi e contaminati da passioni, da rinnovate speranze e volontà di spendersi ancora per i propri cari, per gli altri, per tutti.

Lungo la strada che conduce a Monte Grisa, camminando con passo lento, sono, anzi sei arrivato alla stazione XII della via Crucis "Gesù muore in croce".

Alla fine di giugno del 1995 ti avevo chiesto telefonicamente se era possibile per te venire a Trieste, per parlare dell'ultimo libro di Fulvio Tomizza che avevi già presentato per il nostro Circolo e che stimavi molto, ma anche per sostenere la nostra proposta di istituire un "Parco dal Cherso al Carso – il paesaggio le identità, le culture". Una proposta nata con te a Strasburgo e dopo l'articolo Verdeinternazionale, e un'idea analoga per il Tirol che avevi pensato con Reinhold Messner.

Ora sono qui a pensare e a riflettere su due cose presenti in quei brevi messaggi che hai lasciato, scritti in una situazione di angosciante e mortale solitudine.

Il primo: "I pesi mi sono diventati insostenibili, non ce la faccio più (….).Così me ne vado più disperato che mai..

pesa come un macigno, mi provoca un dolore immenso che mi avvolge completamente. Ma anche un rammarico, un senso di colpa, per aver fatto, nel mio piccolo, poco o nulla per te, che consideravo forte e indistruttibile.

Il secondo: "non siate tristi, continuate in ciò che è giusto".

Un po' egoisticamente, in questo momento, evoco dalla memoria passata e recente l' Alex che ho sempre conosciuto. Per questo continuerò a portare il nostro umile e modesto contributo, proprio nelle direzioni che hanno cementato la nostra amicizia e collaborazione.

Nella direzione in cui tu sei stato il maestro della reciproca conoscenza e comprensione, della convivenza in questa città e in queste regioni di frontiera, della permeabilità e del superamento dei confini, tutti i confini, del rispetto e della valorizzazione di tutte le identità e le culture, senza chiudersi nelle "egoistiche autosufficienze" e credendo nelle pari dignità, nella direzione della tutela e della valorizzazione dell'ambiente che è cultura, che è memoria.

Ora non mi resta che augurarti, carissimo Alex: ti sia lieve la terra, Quella terra, villaggio globale, che ti eri, non senza enormi sacrifici, caricato addosso, ora è cristianamente diventata più piccola e non ti peserà più.

(scritto da Marino Vocci per "Il Piccolo" del 10 luglio, pensato e ripensato, infine rielaborato per il suo libro autobiografico "Fughe e approdi", ed. Il Ramo d'oro, 2010)

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