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Monika Weissensteiner - Giorgio Mezzalira: Südtirol-Alto-Adige: Grenzland & im/mobilità -

14.8.2016, kulturelemente 2016, nr.128

1. Brenner – Pass, Staatsgrenze und Formen von (Im)Mobilität

Als niedrigster Pass der Alpen ist der auf 1.370 Meter Meereshöhe gelegene Brenner seit jeher Grenze und Übergang für Menschen und Güter. Die kommerzielle Brenner-Route für den Handel zwischen Verona und Tirol entwickelte sich zwischen dem 9. und 16. Jahrhundert. 1867 kam die Eisenbahnstrecke Bozen-Innsbruck, 1959 begann der Bau der Brenner-Autobahn. 1919 wurde durch die Verträge von Saint-Germain der Brenner zur Grenze zwischen Italien und Österreich erklärt. Seit der Brenner Staatsgrenze ist, passierten Menschen auf der Flucht diese lokale Grenze im Kontext europäischer und globaler Veränderungen und Unsicherheiten: Menschen auf der Flucht während des 1. und 2. Weltkrieges; im Rahmen der sog. „Option“ die Südtiroler Optanten; Hitler und Mussolini trafen sich am 18. März 1940 am Brenner, 1943-45 erfolgte über die „Brenner-Route“ die Deportation tausender Menschen in die nationalsozialistischen Arbeits- und Vernichtungslager; in den 1960er-Jahren passierten italienische MigrantInnen auf dem „München Express“ den Brenner, auf der Suche nach Arbeit in Deutschland; in den 1990er-Jahren standen Flüchtlinge aus Ex-Jugoslawien vor den Grenzstangen oder passierten die Staatsgrenze über die Berge2. Heute sind es Menschen auf der Flucht aus Ländern wie Syrien, Eritrea, Somalia, die hier an beiden Seiten des Brenners erstmals an Europas Grenzen stoßen, trotz Schengen.

Durch das Inkrafttreten des Schengen-Abkommens 1998 wurden die Grenzstangen am Brenner entfernt: Sinnbild wirtschaftlicher und politischer Integration Europas und in der lokalen geschichtlich-geprägten Empfindung ein bedeutungsvolles Ereignis.



Heute gibt es an der Grenze einen Kreisverkehr und ein Shopping-Center. Die Marktgemeinde zählt nur mehr rund 230 Bewohner, wenige Auto rollen über die Staatsstraße, der Transit erfolgt über Autobahn und Zug. Doch der „Schein“ der totalen freien Zirkulation von Waren und Personen trügt. Gleichzeitig mit der Aufhebung der systematischen Grenzkontrollen wurden „mobile“ und „nicht kontinuierliche“ Kontrollen in den beiden Grenz-Provinzen eingeführt und Rückschiebungen irregulär eingereister Personen ermöglicht. Zudem sieht auch der Schengen-Grenz-Kodex vor, dass Mitglieds-Staaten systematische Grenzkontrollen einführen können, aber nur temporär und als letzte Möglichkeit, wenn nationale Sicherheit und öffentliche Ordnung bedroht sind.

 

Der Brenner ist eine jener innereuropäischen Grenzen die seit ein paar Jahren die Problematik der aktuellen europäischen Asyl- und Aufnahmepolitik und Konflikte zwischen EU-Mitgliedsstaaten aufzeigen. Die Dublin-Verordnung4 – viel diskutierte und breit kritisierte zentrale „Säule“ des „Gemeinsamen Europäischen Asyl-Systems“ – sieht vor, dass Flüchtlinge im ersten Land ihrer Ankunft bzw. im ersten Land, in dem sie polizeilich erfasst werden, ihren Asylantrag stellen müssen; auch wenn Möglichkeiten zur Familienzusammenführung vorgesehen wären, werden diese selten angewandt. Die 2016 Debatte rund um eine temporäre Wiedereinführung von Grenzkontrollen am Brenner durch Österreich hat auf äußerst interessante Weise aufgezeigt, wie verstrickt die vielfältigen historisch sedimentierten und aktuellen Bedeutungen des Brenners auf lokaler, staatlicher und europäischen Ebene sind, eingebettet in aktuelle Machtbeziehungen und Interessen. Heute ist es am Brenner ruhiger denn je, aufgrund von verstärkten Kontrollen in ganz Norditalien kommen nur noch wenige Flüchtlinge bis an die Grenze.

 

Wie auch in der Grenzforschung aufgezeigt wurde, sind „Grenzen“ nicht „Linien“, sondern reichen weit ins Territorium hinein und darüber hinaus, sie sind mobil und selektiv, filtern - sind potentiell immer gegenwärtig für gewisse „Kategorien“ von Menschen, während sie kaum spürbar für andere sind – und verkörpern Machtdynamiken5. Zugleich spielen Grenzen auf gesellschaftlicher Ebene, und die damit verbundene Kultur und Politik der Grenzziehung und des Zusammenlebens, eine Rolle. Dies betrifft lange nicht mehr nur, aber eben auch, Grenzregionen.

Stare sul confine

Il confine ha cessato di rappresentare unicamente una linea di demarcazione, che sia barriera o cerniera, tra gli stati, per riprodursi e moltiplicarsi in ogni singolo territorio che conosca, o abbia conosciuto, dei fenomeni immigratori.

Stare sul confine non è più un privilegio o uno svantaggio di chi vive nelle regioni di frontiera, è piuttosto la condizione diffusa di popolazioni di interi paesi, se non addirittura di continenti. Si sono accorciate le distanze spaziali tra noi e “gli altri”, mettendo a contatto e a confronto due o più mondi, due o più culture, due o più lingue. Non si tratta di fenomeni temporanei o di eccezioni, ma di realtà destinate a diventare norma e a contraddistinguere questo nostro secolo. Le contraddittorie risposte date dall’Europa ai flussi provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo portano alla luce la scarsa dotazione di strumenti e di esperienze che sappiamo mettere in campo. Un ritardo che non combina con l’urgenza di affrontare il problema e le scelte, ormai non più dilazionabili: politiche di integrazione o di separazione? Definire in maniera inclusiva o esclusiva le diverse appartenenze? Sono questioni aperte e dirimenti, la cui declinazione non può sottrarsi alla complessità di cui sono cariche: “Integrazione è una di quelle parole un po’ «ameba», informi e difficili da definire nel contenuto. Può significare anche qualcosa di molto positivo, come mettere ciascuno a proprio agio. Ma può anche voler dire sostanzialmente mangiarsi e digerirsi qualcuno, metabolizzare insomma il diverso. (…) esistono forme attenuate di assimilazione, spesso attuate oggi molto più che con la scuola o addirittura con la proibizione di una lingua o di una religione, semplicemente attraverso la massificazione industrialista e consumista, che in realtà è molto più efficace nel cancellare le differenze, di qualsiasi altra politica”6. Abbiamo citato questo passo di Alexander Langer, sudtirolese apostolo della convivenza, perché indicativo di dove possa/debba spingersi una riflessione profonda e matura sui temi dell’incontro con “gli altri”. Le logiche di emergenza con cui si sta rispondendo alla questione dei migranti hanno per definizione lo sguardo breve, ma è all’orizzonte del problema che dobbiamo saper guardare per trovare direzioni. Chi lo ha indagato e ne ha fatto esperienza diretta può fornire qualche bussola.

Langer, dal Sudtirolo all’Europa: per una cultura e una politica della convivenza

Il Sudtirolo di Langer è un territorio di confine che si è autorappresentato più nella stabilità, che nella mobilità; per ragioni storiche e politiche, sulle quali in questa sede non è possibile soffermarsi, ha passato più tempo a “scoprire” e affermare le sue specifiche radici etniche, a inventare la propria tradizione, piuttosto che pensarsi come regione in cui più gruppi convivono. Il valore centrale assunto dalla tradizione e dalle radici è cresciuto e si è alimentato, fino a diventare espressione politico culturale fondante per valorizzare la dominante etnica, anche come risposta all’incontro e al confronto con popolazioni di diversa lingua e cultura. In particolare, popolazioni di lingua italiana alla cui immigrazione in Sudtirolo era associato il pericolo di Überfremdung (inforestierimento) e la paura di una totale sopraffazione del gruppo etnico tedesco. Timori e senso di minaccia avevano più di una ragione per crescere, visto che nel periodo tra le due guerre il fascismo avviò in provincia di Bolzano una politica di italianizzazione forzata e nel primo decennio del secondo dopoguerra continuarono ad affluire immigrati dalle altre regioni d’Italia7. Fu una migrazione che cambiò radicalmente il volto della regione e la rese un territorio abitato stabilmente da più popolazioni: tedeschi, ladini e italiani.

Storicamente il Sudtirolo fu interessato da diverse tipologie di fenomeni migratori: la migrazione religiosa (nel 1500 gli anabattisti lasciarono il Tirolo per rifugiarsi in Moravia), le migrazioni economiche interne nel periodo austro-ungarico con i loro “mercati dei bambini”, la migrazione come arma politica e leva demografica (durante il fascismo), la migrazione forzata (spostamento forzato dei sudtirolesi durante le opzioni del 1939), l’emigrazione economica dei sudtirolesi negli anni 50 (per i processi di modernizzazione che investivano le campagne altoatesine), l’immigrazione economica italiana del secondo dopoguerra (dalle Venezie, dal nord-ovest e dal meridione), l’immigrazione dai paesi extracomunitari (a partire dagli anni 90). Spostamenti e mescolamenti di popolazioni che soprattutto nel XX secolo posero in primo piano i rischi delle derive identitarie e il non facile cammino della convivenza.

Nell’affrontare il tema delle migrazioni, mai disgiunto dai grandi squilibri dello sviluppo e ambientali in cui si inquadra, Langer partiva dall’esperienza sudtirolese come esempio a cui guardare: “A me pare che sulla base dell’esperienza acquisita con le minoranze storiche (…) oggi ci siano molte buone ragioni perché le nostre società si affrettino a fare (…) quello che il nostro piccolo gruppo vent’anni fa tentò di fare a Bolzano e dintorni. E cioè sperimentare con i diversi con i quali si è a contatto una possibile pratica, politica e cultura della convivenza”8. La fretta cui si riferiva Langer derivava dalla constatazione che in passato gli spostamenti di popolazione di grandi proporzioni avevano generato violenze, guerre e intolleranza. Non abbiamo alcun diritto di porre sbarramenti a coloro che vengono da un emisfero svantaggiato – sosteneva ancora9 – se poi noi, figli dei continenti prosperi e avvantaggiati, possiamo andare dove vogliamo. Ma allo stesso tempo c’è bisogno di un equilibrio delle proporzioni, per la stessa praticabilità di una politica dell’accoglienza. Langer era anche convinto che cultura della diversità dovesse prevalere sulla cultura dell’omologazione: “penso che proprio una cultura della diversità faccia parte (…) dello specifico sedimento europeo, per cui anche i processi di integrazione europea oppure di risposta ai nuovi flussi migratori non dovranno tendere ad una «fusione», ad un melting-pot. Dovrà e potrà esserci invece una risposta basata sulla pluralità, più complessa e senz’altro anche più complicata, ma che comunque sia in grado di mantenere e di coltivare la diversità”10.

In Sudtirolo fino a 60-70 anni fa tedeschi e italiani si sentivano minacciati, l’uno dall’altro, e avrebbero volentieri fatto a meno l’uno dell’altro; oggi la convivenza è un dato di fatto, una conquista raggiunta attraverso una strada non facile ma l’unica percorribile.

 

Grenze – confine: confinis

con = gemeinsam, comune

finis = Limit(e)

 

Wenn man der Etymologie des lateinischen Wortes confinis, folgt, ist Grenze etwas das sowohl trennt, als auch etwas das vereint. Eine Kultur, aber eben auch Politik der Grenzziehung bedingt darum auch immer eine Kultur und Politik des Zusammenlebens, und umgekehrt. Letztere unterstreicht die Wichtigkeit dieser zweiten, oft vergessenen etymologischen Bedeutung von Grenze, als etwas das verbindet, in Beziehung setzt; sie ermöglicht Diversität aber ist gleichzeitig potentielle Brücke für die Entstehung von Neuem. Denn, trotz des Festhaltens an Stabilität und mit Angst oder Skepsis vor Wandel, ist Südtirol, die Geschichte und Aktualität zeigt es auf, in Bewegung. La domanda di convivenza non si presenta, da questo punto di vista, come l’attesa o lo slancio disinteressato di un atto di buona volontà, bensì come un bisogno: un vero e proprio investimento per il futuro.

 

1 Monika Weissensteiner (Textstellen in deutscher Sprache) ist ausgebildete Anthropologin und Konfliktmediatorin, Mitarbeiterin der Alexander Langer Stifung von 2014 bis Sommer 2016; Giorgio Mezzalira (paragrafi in lingua italiana) è insegnante e storico, membro della Fondazione Alexander Langer Stiftung. Il suo contributo prende spunto dalla relazione presentata in occasione dell'Euromediterranea 2014 dedicata al tema “Migrazioni & Accoglienza: alle Menschen (-Rechte) geschützt”.

2 Siehe auch http://www.europadreaming.eu/

3 “Die Brenner-Grenze: Bewegungen, die bewegen”, M. Weissensteiner, in Husserl (Hg.), Gaismair-Jahrbuch 2016 – Zwischentoene, 2015.

4 Verordnung (EU) Nr. 604/2013

5 Zum Beispiel: Vaughan-Williams , Border Politics. The Limits of Sovereign Power, 2009; Mazzadra und Nielson, Border as a Method. Or, the multiplication of labor, 2012; Balibar, Politics and the Other Scene, 2002.

6 Alexander Langer, Dal Sud Tirolo all'Europa, Edizioni Gruppo Aeper, Bergamo, 2012, pp. 30-31

7 Secondo i dati dei censimenti della popolazione gli italiani in Alto Adige passarono dai 7.339 del 1910 ai 128.271 del 1961 [la popolazione di lingua tedesca: 223.913 (1910) - 232.717 (1961), i ladini: 9.429 (1910) - 12.494 (1961)]. Cfr. Astat, Annuario demografico della provincia di Bolzano, Tomo 1, Provincia autonoma di Bolzano/Alto Adige, Bolzano, 1991, p. 32.

8 Ibi, p. 34

9 Alexander Langer, Comunità locale e minoranze etniche di fronte alla realtà dell’immigrazione, in La scelta della convivenza, edizioni e/o, Roma, 1995, pp. 51-69.

10 Alexander Langer, Dal Sud Tirolo all'Europa, cit., p. 36.

 

(Südtirol-Alto-Adige: Grenzland & im/mobilità

Per una cultura e una politica della convivenza

Giorgio Mezzalira & Monika Weissensteiner, Fondazione Alexander Langer Stiftung)

 

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