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Mariano Mampieri - L’Agip Petroli e la restituzione delle terre agli Indios Xavante

1.5.2012, Alexander Langer e Giuseppina Ciuffreda

Dal 1989 al 1992 la Campagna Nord-Sud: Biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito (CNS), negoziò con l'Agip-Petroli la possibilità che la loro azienda agricola nel Mato Grosso in Brasile, tornasse ad essere parte del territorio tradizionale degli indios Xavante, dal quale furono cacciati più di trent'anni prima. Questa iniziativa prese vita nell’aprile del 1989, con la presentazione della ricerca  dell’Osservatorio di Impatto Ambientale, Sociale e Culturale della CNS sugli investimenti di imprese italiane in Amazzonia. Nella ricerca si ricostruiva la storia della fazenda Suia Missu, considerata uno dei più grandi latifondi brasiliani degli ultimi 30 anni. La sua storia è emblematica anche rispetto all'aggressione dell'ecosistema amazzonico effettuata in quegli anni da imprese nazionali e straniere. Fu un processo favorito dal Governo Brasiliano per incentivare lo sviluppo della regione, considerata solo come un patrimonio economico da sfruttare.
La CNS, dopo la presentazione della ricerca e venuta a conoscenza della vendita di circa 250 mila ettari della Suia Missu, contattò l’Agip-Petroli per conoscerne i programmi e cercare di evitare la  totale dismissione della fazenda. I 250 mila ettari passarono nelle mani di imprenditori locali che in meno di due anni deforestarono circa 20 mila ettari utilizzando manodopera in condizioni di lavoro schiavo. L’Agip rispose positivamente alle richieste della CNS e nel 1991 la CNS propose all’Agip la riconversione ecologico-sociale della fazenda, che diede la propria disponibilità a discuterne con le autorità brasiliane, la CNS e gli Xavante, l’incontro si svolse a Brasilia nell’ottobre del ’91.
In questa occasione venne dato inizio al processo amministrativo per l’identificazione del territorio in questione come di occupazione tradizionale indigena; fu così costituito il gruppo di lavoro per effettuare gli studi tecnici necessari alla definitiva delimitazione e demarcazione della nuova area indigena.
Il viaggio nell’area iniziò il 10 febbraio del ‘92 a Brasilia, nella prima tappa di Agua Branca,  nella riserva di Pimentel Barbosa, si formò il gruppo di 15 Xavante che avrebbero accompagnato i tecnici.
Il lavoro consistette nel visitare un territorio di oltre 300 mila ettari. Le visite servivano a localizzare i luoghi di rilevanza storico-sociale per gli indigeni, delimitando l’area Marãiwatsédé. Durante i viaggi venivano raccolte testimonianze, identificati possibili confini e effettuati i primi rilevamenti fondiari necessari a quantificare l’indennizzo spettante agli occupanti in caso di esproprio.
Ci furono momenti di grande emozione quando, davanti all’antico cimitero del primo villaggio, il vecchio Davì e altri anziani piansero nel vederlo arato; o  quando, un bambino, figlio di posseiros (piccoli contadini che coltivano terre di cui divengono proprietari dopo averle coltivate per almeno 5 anni), raccontò di un uomo che si vantava pubblicamente di aver ucciso numerosi Xavante durante la colonizzazione; in quel momento si poteva leggere la rabbia sui loro visi, dissipata solo dall’atmosfera solenne creata dal racconto di Raul, sfuggito ad una aggressione di bianchi durante la sua adolescenza, ma che vide morire i suoi due compagni.
Non mancarono però momenti di tensione: come durante i rilevamenti nei pressi della città di Alto de Boa Vista, quando gli Xavante riconobbero un uomo che aveva lavorato all’abbattimento della foresta per aprire i pascoli ed alla “pulizia” della regione dagli indios; o prima e durante l’incontro con Romao Flor, fazendero della regione che ricorreva al lavoro schiavo. Il fatto più preoccupante fu però l’opposizione alla creazione dell’Area Indigena, che il candidato a sindaco di Alto de Boa Vista fomentava nella città.
I fazenderos locali intanto si mobilitavano contro gli indios cercando di far valere la loro influenza ai livelli più alti del Governo Brasiliano. La reazione dei posseiros, non fu sempre negativa. Molti si dichiaravano disponibili a lasciare i terreni dietro indennizzo, altri si dicevano contenti di avere nuovi vicini, altri restavano stupiti nel vedere gli Xavante in quella regione.
In appoggio agli Xavante c’erano gli operatori della diocesi, il Vescovo, i candidati a prefetto del PMDB di Sao Felix de Araguaia e Alto de Boa Vista. Con loro ci furono diversi incontri, ma per ragioni politiche si tenevano fuori dagli sviluppi della vicenda. Anche il Vescovo Casaldaliga, pur favorevole, temeva la propaganda negativa. Lui stesso chiese di integrare la proposta con programmi a favore dei “senza terra” della regione. Anche i Salesiani, che avevano favorito l’espulsione degli Xavante nel 1966, offrirono il loro sostegno. D’altra parte, le forze progressiste della chiesa, dall’inizio degli anni ’70, lottarono duramente contro il potere dei latifondisti nella regione del centro Araguaia, denunciando la formazione illecita di latifondi, la spoliazione della terra e del lavoro libero di piccoli agricoltori che lì operavano.
Il ritorno degli Xavante implicava il recupero di una porzione di terra dove si erano insediati da tempo piccoli e medi proprietari. Sarebbe stato compito particolare degli agenti pastorali e del sindacato contadino spiegare i fatti storici e i motivi del diritto originario Xavante, per evitare che il loro ritorno ravvivasse  lo stereotipo dell'indio visto come  “selvaggio”.
Le altre comunità indigene della regione appoggiavano il ritorno degli Xavante. Ad esempio i Karajà erano disposti ad aiutarli soprattutto al momento del re- insediamento. Un capo Karajà raccontava che in altri tempi combatterono contro gli Xavante e perdettero. Ma i danni di tutta la loro guerra furono niente in confronto a quelli subiti dalle ostilità dei politici locali e fazendeiros di quel periodo.
L’emozione di poter attraversare quelle terre in lungo e in largo accompagnò gli Xavante durante le due settimane che passarono all’interno della Suia Missu. Spesso gli anziani la mattina partivano a piedi prima degli altri, conoscevano ogni percorso, cacciavano, raccoglievano i materiali per  fabbricare archi, cesti e altri oggetti, che costruivano la sera seduti sotto le piante della sede della fazenda. Ai più giovani indicavano i luoghi, i percorsi per raggiungerli, cosa avrebbero trovato; raccontavano aneddoti del loro passato in quelle terre. Era come se già fossero tornati lì, o meglio, come se non fossero mai andati via.
Il lavoro, nonostante le difficoltà, si concluse bene, ed il rapporto antropologico ed etno-storico contente la cartografia e l’identificazione di un’area di 200 mila ettari fu pronto ad aprile e consegnato formalmente alla FUNAI(La Fundação Nacional do Índio) per i successivi atti amministrativi.

Durante la Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, Rio '92, la questione sembrava aver trovato la soluzione. Il 10 giugno il presidente della holding italiana ENI, G.Cagliari, e il presidente dell'Agip do Brasil, R.Grillo, davanti ad una delegazione di capi Xavante, dichiarò l'intenzione del suo gruppo e dell’Agip di restituire la Suia Missu ai legittimi proprietari, rinnovando l’offerta di assistenza sanitaria. La conferenza assunse i toni di una cerimonia solenne di amicizia e di pace in piena regola. Damiao Paridzanè, capo degli Xavante, vestito in modo tradizionale, offrì in segno di gratitudine e simbolo di pace: un bastone bianco. Sembrava fatta.
Pochi giorni dopo, il 15 giugno, la Diocesi di Sao Fellix avvisò la CNS che l’area era invasa da circa duemila persone.
Probabilmente la direzione dell’Agip do Brasil fu preventivamente informata dell’invasione. La convocazione di una assemblea dei cosiddetti “posseiros da Suià” (il 20 giugno ’92) , con la presenza attiva dell’allora sindaco di Sao Felix de Araguaia, era accompagnata da una dettagliata mappa dell’invasione, elaborata da un candidato alla carica di sindaco di Alto de Boa Vista. Lì erano  segnalate le aree che dovevano essere risparmiate dall’invasione, citando un intercorso accordo con l’impresa.
All’inizio di giugno furono riconosciuti validi gli studi effettuati dalla FUNAI, ponendo così il presupposto per la successiva demarcazione di 170 mila ettari (dei 200 mila identificati) dell’A.I., e fu ratificata la richiesta Xavante di rientrare sulla terra prima ancora della conclusione del processo amministrativo in corso.
Intanto l’invasione avvenuta subito dopo trasformò quella dichiarazione in una trappola. L’invasione era stata preparata nei dettagli. Con una forte carica di preconcetti e violenza verso gli Xavante, alcuni fazendeiros locali né annunciavano il ritorno nella regione come una “recessione”, tacciandoli di “arretratezza” in contrapposizione ad una nozione di “progresso” che invece loro professavano. Latifondisti e politici ne traevano vantaggio sia sul piano del controllo elettorale, sia nell’utilizzazione della manodopera a buon mercato dei “posseiros da Suià” per la rapida deforestazione di quell’area, con l’intento di trasformala in pascoli e incorporarla alle loro proprietà, sfruttando a loro favore le profonde lacerazioni sociali della regione, di cui loro stessi erano la causa. Illudendo i senza terra con l'assegnazione di lotti da coltivare, volevano creare le condizioni per un conflitto sociale tra popolazione della regione e Xavante, che rendesse impossibile l'istituzione dell'area indigena.
La direzione dell’impresa brasiliana richiese un indennizzo di 16 milioni di dollari per le terre dichiarate di occupazione tradizionale indigena che ebbe l’effetto di bloccare le intenzioni del Ministro della Giustizia Brasiliano di firmare il decreto di demarcazione.
In Ottobre ci fu la pubblicazione, sul Boletim Oficial, del riconoscimento ufficiale dell’Area Indigena Marãiwatsédé come di occupazione tradizionale indigena. Il decreto individuava un area di 168 mila ettari, 32 mila in meno rispetto alla proposta iniziale. L’area tolta corrispondeva alla parte storicamente occupata da posseiros e non di proprietà della Suia Missu, in modo da evitare l’accentuazione dei conflitti.
Dopo la pubblicazione sul "Boletim Oficial" della dichiarazione di Terra indigena, la protesta degli occupanti si riaccese violenta.
D’altra parte in Italia, i rappresentanti di ENI e Agip continuavano a dichiarare la loro disponibilità a restituire le terre della Suia Missu agli Xavante.
Nei mesi successivi le azioni dei diversi protagonisti della vicenda si susseguirono ininterrottamente da un lato e dall'altro dello schieramento. La CNS e gli Xavante continuavano la loro battaglia per ottenere l'atto formale dell'Agip di rinuncia alla proprietà, mantenendo viva la pressione sull'impresa, sul Governo Italiano e seguendo da vicino tutti i passaggi burocratici in Brasile per arrivare alla demarcazione dell'A.I. Allo stesso tempo sul posto l'invasione si consolidava, fazendeiros e politici rafforzavano la loro posizione.
La vicenda subì un duro colpo con la chiusura della Campagna Nord-Sud: i tradizionali finanziatori non potevano più sostenerla. La causa principale fu la pesante crisi politica italiana del periodo con tangentopoli. Con i fondi che restavano e quelli che ancora arrivavano dai vari gruppi di appoggio diffusi in tutta Italia, si volle mantenere attivo il sostegno alla realizzazione dell'A.I. Marãiwatsédé, per arrivare almeno alla demarcazione delle terre. Per altri due anni l'attività continuò con grandi difficoltà. Venne anche presentato un progetto al Ministero degli Affari Esteri per sostenere il ritorno degli Xavante nell’Area, che non ebbe alcun esito.
Nel corso degli anni Novanta gli Xavante hanno tentato di ritornare nell'Area, ma la ricostruzione dei loro villaggi gli è stata sistematicamente impedita. Nel 2003, spinti in primo luogo dagli anziani, 280 persone cercarono ancora una volta di occupare la terra, ma gli fu impedito dagli occupanti. Gli  Xavante si accamparono ai margini della strada dove restarono per 10 mesi, vivendo in un clima di forte tensione e in condizioni igienico-sanitarie pessime. Il 10 agosto 2004, una decisione del  STF di Brasilia consentì finalmente agli indios l'ingresso nell'A.I.. Si trovarono di fronte una realtà che non si aspettavano: la maggior parte della zona era a pascolo e il suolo era altamente degradato dallo sfruttamento intensivo.
Nel 2009 circa 800 Xavante vivevano in un unico villaggio: era una concentrazione troppo alta per le scarse risorse circostanti, ma necessaria per proteggersi contro possibili attacchi. Loro occupavano appena il 20% dell'A.I. La già citata decisione del STF infatti, concedeva la possibilità agli intrusi di restare fino a sentenza definitiva. Il clima della regione era sempre di aperta ostilità contro gli indios. Nel luglio 2009 la polizia federale iniziò la cosiddetta "Operazione Piuma", con l'obiettivo di fermare le continue e violente scorrerie di una banda di “grileiros” che imperversava nella regione. Questa banda era ed è direttamente coinvolta nell'invasione, nonché accusata di crimini  contro i diritti umani e l'ambiente. Quasi tutti i fermati sono stati rilasciati, compresi quelli accusati di crimini contro la vita. La situazione ambientale è tuttora grave. L’Area Indigena Marãiwatsédé è tra le Terre Indigene più devastate dell'Amazzonia legale e la deforestazione non si ferma. A luglio del 2009 l’IBAMA effettuò un'operazione nella zona per fermare due fazendeiros che deforestavano illegalmente per piantare soia all’interno. Dopo la notifica e l’invio delle multe per crimini ambientali, i trattori che effettuavano il lavoro erano ancora all’interno dell’area e ripresero il lavoro indisturbati. Ad agosto, come rappresaglia contro gli indios per l’operazione di FUNAI e IBAMA, venti ettari degli Xavante vennero incendiati e 30 capi di bestiame uccisi.
Venne presentato in Parlamento un nuovo disegno di legge di un deputato federale del Mato Grosso  per bloccare la demarcazione dell’Area Indigena Marãiwatsédé.
Le Istituzioni brasiliane non sembrano in grado, o non vogliono, fermare un conflitto fisico, una lunga battaglia legale che sembra non avere fine. Nella memoria di chi l’ha vissuta, il rammarico più grande sta nell’incapacità della CNS di chiudere positivamente la vicenda già nel 1992. La soluzione positiva della questione Xavante, avrebbe rappresentato un momento importante della sua attività. Una vittoria che avrebbe espresso il concetto di risarcimento dei popoli e della natura del sud del mondo, storicamente subordinati ad un modello di sviluppo imposto dall'occidente industrializzato, distruttivo delle risorse naturali, delle diversità culturali, della soggettività e del protagonismo delle popolazioni locali. La restituzione della terra agli Xavante avrebbe aperto la strada ad un modo diverso di interpretare i rapporti e la cooperazione nord-sud, che riconoscesse le responsabilità degli Stati e delle imprese del nord, si impegnasse nel riparare i danni prodotti e riconoscesse il diritto all'autodeterminazione.


Mariano Mampieri, è stato cooperante con il Centro Internazionale Crocevia negli anni ’80. In seguito per la Campagna Nord Sud ha coordinato l’Osservatorio di Impatto ambientale e tutte le attività realizzate a favore degli indios Xavante. Attualmente funzionario della Regione Lazio nel settore dell’agricoltura e, soprattutto, vignaiolo

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