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Gianluca Paciucci: Trieste 11 luglio , intervento

13.7.2015, autore

DON'T FORGET SREBRENICA. 1995 - 2015 : Intervento di Gianluca Paciucci all'incontro convocato da numerose associazioni a trieste, l'11 luglio 2015.

"...Il genocidio non è mai un crimine accidentale, non è la conseguenza di un raptus (neanche collettivo), un genocidio non si compie per errore, mentre si voleva fare un'altra cosa. Il genocidio non è mai un'azione spontanea, è sempre e ovunque un progetto, ben pianificato, organizzato e realizzato sistematicamente..." (Azra Nuhefendic)

Grazie a tutte e a tutti per essere qui oggi, giorno in cui rievocheremo il genocidio di Srebrenica in cui 8372 bosgnacchi, e cioè di bosniaci di cultura e/o di religione musulmana, vennero uccisi dalle forze militari serbe in quello che è stato il più grave massacro in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. I fatti sono stati acclarati dagli storici e dalle storiche, e riconosciuti dalle più alte istanze internazionali. La ricerca scientifica di certo deve andare avanti incessantemente, attraverso revisioni (che non hanno nulla a che vedere con il revisionismo o, peggio, con il negazionismo), nuovi documenti e dibattito culturale/politico, ma il nucleo dei fatti –almeno per Srebrenica- è stato stabilito, e abbiamo la certezza morale di quello che è accaduto. È da questo nucleo di verità che si può e deve partire. Questo nucleo di verità, e il nome stesso di "Srebrenica", scuotono sin dalle viscere, sconvolgono, destabilizzano. Come scuotono, sconvolgono e destabilizzano i nomi di Auschwitz e dell’Arcipelago Gulag, dei crimini del colonialismo europeo e dell’embargo contro la popolazione irachena negli anni Novanta del secolo scorso, e troppi altri nomi ed episodi.

L'obiettivo di oggi è ricordare i giorni della ferocia, quelli di Srebrenica del luglio di vent'anni fa. Ricordare è una parola che contiene –in latino- il nucleo “cor”, cuore, e che è quindi un riportare al cuore gli affetti scomparsi rendendo omaggio alle innocenti vittime di allora, affinché lo statuto di queste si muti da oggetto di negazione o di commiserazione a quello di soggetto attivo di storia. D’altronde le vittime hanno dignità e potenza e si impongono a noi con la forza della loro irriducibilità di sentimenti, dei loro corpi che vengono a poco a poco ricomposti e riconosciuti, della loro verità.
È la verità che dobbiamo rispettare e provare a divulgare: essa è sempre rivoluzionaria, diceva qualcuno. La verità come ricerca e come militanza per ottenere giustizia.

La manifestazione che abbiamo organizzato serve a questo: a diffondere, a divulgare, a provare a far capire (con la più grande umiltà), stando con i nostri corpi prima in piazza e poi dentro questa sala a dire quello che è successo.
Una manifestazione che non è contro qualcuno, e soprattutto non contro un popolo intero, quello serbo, in questo caso: dobbiamo saper distinguere tra un popolo, da un lato, e i suoi generali, i suoi governanti/tiranni e i suoi manipolatori dall'altro, non perché il popolo sia di per sé buono e giusto, ma perché sicuramente può essere spinto ad atti di ferocia dalla potenza della propaganda e degli apparati di comunicazione. Resta però sempre salvo il "libero arbitrio", per cui la scelta tra il bene e il male è anche individuale, anche nei momenti più estremi. Tutto questo non rende innocenti i popoli in quanto tali, ma li fa protagonisti di una possibile metamorfosi, una volta liberati o, meglio, liberatisi dalla cappa dell’oppressione e dell’indottrinamento, sia che l’oppressione e l’indottrinamento si presentino sotto la forma “tirannica”, sia sotto la forma “democratica”.

Noi siamo contro la ferocia del nazionalismo, del militarismo e del razzismo: i nazionalisti, i militaristi e i razzisti assassinano innanzitutto il proprio popolo, chiudendolo in una gabbia di fanatismo, e poi lo lanciano contro un altro, inferiorizzato, animalizzato, e quindi da uccidere senza troppi scrupoli. È questa la contraddizione che dovremmo suscitare dicendo: i vostri nazionalisti, i vostri militaristi, i vostri razzisti vi hanno portato morte e distruzione. Sono loro i vostri, come i nostri, nemici. Ognuno ha i suoi nemici nel suo campo (i nostri nazionalisti –di qualsiasi nazionalità-, i nostri militaristi/razzisti lo sono per noi). Se le comunità capissero che questo è il nodo dei nodi e che la gente fa la fame sia nel campo dei "vincitori" sia in quello degli "sconfitti" (Brecht: “La guerra che verrà / non è la prima. Prima / ci sono state altre guerre. / Alla fine dell’ultima / c’erano vincitori e vinti. / Fra i vinti la povera gente / faceva la fame. Fra i vincitori / faceva la fame la povera gente egualmente.”), avremmo fatto un grande passo in avanti, e nessuno più si scaglierebbe contro il dio o la lingua degli altri, contro un capro espiatorio fabbricato ad arte ed esposto a qualsiasi violenza.

Questo ventennale del genocidio di Srebrenica è una grande occasione di ricerca della giustizia e di studio: non dobbiamo farcela scappare. Siamo arrivati a questi due appuntamenti di sabato con la forza delle idee buone, ma dobbiamo continuare a discutere insieme: magari nasceranno occasioni di studio e di confronto, anche tra diversi, magari proprio a partire da Srebrenica 1995; giornate di riflessione per la diffusione della verità. Senza un'adeguata rinascita della cultura politica, nel senso più alto del termine, non si va da nessuna parte. Queste giornate potrebbero generare nuove energie per far crescere la coscienza di uomini e donne del XXI secolo, anche ricordando uno degli ultimi crimini contro l’umanità del XX.

Scrive Benjamin: “…anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere…”. Proteggere i morti e le morte, a cominciare dagli innocenti di Srebrenica, elencarne i nomi e i volti, significa battersi insieme per un presente e futuro radicalmente diversi per l’intera umanità. Significa cominciare a sconfiggere quel nemico, senza perdere altro tempo.

Intervento pronunciato l'11 luglio 2015 in Sala "Bazlen" - Palazzo Gopcevich (Trieste)

 

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