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Fabrizio Ravelli: la storia di Zijo Ribic, Quel massacro tre anni prima di Srebrenica

10.7.2015, La repubblica

Zijo Ribic oggi ha 30 anni. Era un bambino nel luglio del 1992, quando i cetnici massacrarono la popolazione di Skocic, il villaggio dei rom a pochi chilometri dalla città simbolo del genocidio. Perse tutta la sua famiglia. E ancora cerca giustizia, invano

di FABRIZIO RAVELLI

"Io, sopravvissuto camminando sui cadaveri". Quel massacro tre anni prima di Srebrenica

Fotografie di Andrea Rizza - Fondazione Langer

 

Zijo Ribic  ZVORNIK - La casa ha le finestre murate coi mattoni, è abbandonata e nessuno ci tornerà a vivere. Zijo dice che "è uguale a quella notte". Quando arrivò la banda dei cetnici di Simo, e nella casa erano radunate tutte le famiglie del villaggio. "Là dentro sono rimasti i vestiti strappati alle donne stuprate. Ci hanno tirato fuori, e messi in fila. Qui, proprio qui dove sono io adesso, hanno violentato la mia sorella più grande che aveva 17 anni. Poi hanno costretto due uomini anziani a fare sesso orale fra loro. E poi ci hanno caricato sui camion".

Zijo Ribic ha ora trent'anni, piccolo di statura e robusto. Questo è Skocic, il suo villaggio, poche case alla periferia di Zvornik. Vicino scorre la Drina, che è il confine con la Serbia. Srebrenica è a una sessantina di chilometri. Skocic era dove stavano i Rom, i "Rom neri" come si chiamano fra loro, cioé musulmani, mentre "Rom bianchi" sono quelli ortodossi. La notte che Zijo racconta è quella del 12 luglio 1992, tre  anni esatti prima dell'eccidio di Srebrenica di cui si celebra ora il ventennale. È la prima volta che Zijo accompagna qui un gruppo di amici, quelli della Fondazione Alexander Langer, a vedere la sua casa abbandonata e la casa di uno zio dove 26 persone - donne, uomini, bambini - vennero prese, oltraggiate e portate a morire. Zijo aveva sette anni, è l'unico superstite, fuggito camminando sopra i cadaveri mentre lo credevano già morto.


Il suo racconto è straziante, in questo giorno di sole rovente, nel silenzio e in mezzo alle ortiche che assediano le case. Ma è anche importante: la strage dei Rom di Skocic è una delle tante che provano quello che Hasan Nuhanovic, sopravvissuto a Srebrenica e storico dell'eccidio, chiama "genocidio slow-motion". Cioé la pulizia etnica feroce e sistematica che la bande di paramilitari cetnici, coordinati e sostenuti da Belgrado anche se il governo serbo l'ha sempre negato, portarono avanti per tre anni fino al massacro degli 8 mila di Srebrenica. Era l'aprile-maggio del '92 quando Arkan e le sue Tigri varcarono il ponte di Zvornik dopo aver passato i checkpoint dell'esercito e, insieme con le altre bande di cetnici, cominciarono lo sterminio sistematico dei musulmani bosniaci, villaggio per villaggio. Di lì a poco sarebbe cominciato l'assedio di Sarajevo.

"Ci hanno caricati sui camion - continua Zijo - e portati vicino alla moschea di Malici, dove avevano già scavato la fossa comune. Ci tiravano giù e sparavano alla testa, uno alla volta. Ho visto mia mamma e il mio fratellino piccolo che venivano fatti scendere, e piangevo disperato. Un cetnico mi ha detto: stai tranquillo, la rivedrai presto. Mi hanno portato davanti al camion, sentivo i colpi, e poi un fendente di coltello al collo. Mi hanno buttato sopra gli altri cadaveri. Avevo i capelli lunghi, impastati di sangue. Ho camminato sopra i corpi, e nel buio sono scappato dentro al bosco lì vicino".

Quella notte Zijo ha perso il padre, la madre incinta di nove mesi, un fratello piccolo e sei sorelle. Lui, un bambino terrorizzato e sanguinante, scappava nel bosco. "Ho visto il fumo del camino di una casa, c'era una donna nell'orto e l'ho chiamata: aiutami, zia. Lei s'è spaventata, è corsa in casa, e ne sono usciti due militari dell'esercito jugoslavo. Erano gentili, mi hanno fatto lavare la ferita e mi hanno dato da mangiare. Mi hanno chiesto cos'era successo. Poi mi hanno accompagnato all'infermeria di Kosliki. Lì c'erano due di quei paramilitari cetnici. Io stavo aggrappato alle gambe del soldato e non volevo mollarlo. Dentro, il soldato è andato a parlare con quello più alto dei paramilitari, sentivo quello che dicevano. Il cetnico insisteva che mi consegnassero a loro, che mi avrebbero portato all'ospedale. Per fortuna il soldato ha detto di no, e ha ordinato che ci dessero una jeep medica. All'ospedale di Zvornik abbiamo aspettato l'arrivo dei caschi blu dell'Onu, e mi hanno consegnato a loro".

In quell'ospedale Zijo è rimasto dal luglio '92 a fine '94, senza poter uscire per sicurezza. "Poi mi hanno trasferito a Igalo, in Montenegro, in un istituto per bambini traumatizzati dove mi hanno curato fino al '96. Avevo incubi tutte le notti, e non volevo farmi avvicinare da nessuno. Sono andato poi all'orfanotrofio di Bjela, dove ho cominciato la scuola, fino al 2001. Sono tornato in Bosnia, all'orfanotrofio di Tuzla e mi sono diplomato alla scuola alberghiera. Nel 2005 sono andato a vivere alla Scuola Pappagallo, fondata dalla psichiatra Irfanka Pasagic per donne e ragazzi vittime della guerra".

È stato allora che Zijo Ribic, dopo aver incontrato l'avvocatessa Natasha Kandic, ha deciso che voleva giustizia. La Kandic ha scovato i cetnici massacratori, con nomi e cognomi, ed è cominciato un processo davanti al tribunale per i crimini di guerra di Belgrado. "È stato un processo lungo e difficile - continua Zijo - e quando ho rivisto queste persone in aula ho deciso che non volevo odiare, e così ho fatto. Fra loro c'era una ragazza, si chiama Dragana, che ha chiesto di parlarmi. Mi ha detto: non devi odiare i serbi per quello che noi abbiamo fatto. Le ho risposto: io non odio nemmeno te, ma voglio giustizia". Nel 2013 la prima sentenza, di condanna a 15 anni per ognuno dei massacratori. Che hanno fatto ricorso, e un mese fa una sentenza d'appello li ha scarcerati. Ha dichiarato che i fatti sono veri, ma che era impossibile stabilire le responsabilità personali. "Al processo, questa volta, avevano cambiato atteggiamento: mi guardavano con sfida, e anche il giudice mi fissava aspettando una mia reazione. Alla sentenza gli imputati hanno festeggiato, rivolgendo agli amici il saluto cetnico". Una sentenza politica, che tenta di negare i collegamenti fra il governo serbo e gli eccidi dei paramilitari e dell'esercito serbo-bosniaco di Ratko Mladic.

Nel piccolo cimitero Rom sopra al villaggio ci sono le tombe di Ismet e Sevka Ribic, padre e madre di Zijo. I loro corpi sono stati identificati tre anni fa in due fosse comuni a 60 chilometri di distanza una dall'altra, dove erano stati spostati dopo l'eccidio di Srebrenica per tentare di cancellare le tracce. Ora Zijo sistema le due lapidi, e dice: "Spero ancora di ritrovare i corpi delle mie sorelle e di mio fratello. Ci vorrei scrivere sopra solo la parola musulmani, perché i Rom invece non mi hanno dato alcun sostegno".

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