Euromediterranea Euromediterranea 2011 haiti alive Proiezione film "The Agronomist"

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volume 2011 alla scoperta di San Cristoforo Proiezione film "The Agronomist"
Filmato sul festival Euromediterranea 2011
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Filmclub - giovedì 30.6 - ore 20.30 - Film The Agronomist - Jonathan Demme

29.6.2011, Filmclun - Fondaz

Jean Dominique, giornalista e laureato in agraria, che, innamorato di Haiti, il suo paese, acquista la radio Haiti Inter e diventa la voce del popolo. Affiancato dalla moglie, egli combatte anima e cuore contro le ingiustizie, raccontando le ultime tappe della travagliata storia haitiana. La sua voce diventa sempre piú audace e scomoda, fino a costringerlo piú volte all'esilio.
Strutturato come un documentario classico, con interviste e immagini di repertorio,“The agronomist” si regge sulle spalle della fortissima personalità di Dominique, che buca lo schermo con l'entusiasmo per il suo lavoro, o meglio, la sua missione. Certi uomini sono semplicemnte destinati a diventare leggenda. Spettacolare anche la colonna sonore di Wyclef Jean.

Originale con sottotitoli in italiano

 

 

NON BASTA ROVESCIARE ARISTIDE PERCHÈ HAITI SI RIALZI“

 

Intervista a Michèle Montas, direttrice di Radio Haiti Inter, impegnata nella lotta contro l’impunità da quando suo marito, il giornalista Jean Dominique, è stato assassinato il 3 aprile del 2000. Vittima a sua volta di un tentativo di assassinio, ha dovuto “spegnere” la radio e poi lasciare il paese nello scorso marzo. Ha ricevuto il premio Reporters Sans Frontières – Fondation de France 2003.

Anna ProenzaCourrier International, Alterpresse: Rèseau alternatif haitien d’information, 17 dicembre 2003

 

La repubblica haitiana festeggia il bicentenario della sua indipendenza..

200 anni fa, ad Haiti ebbe luogo la prima rivolta di schiavi del mondo moderno, che sbaragliò le truppe di Napoleone. È importante per Haiti e anche per la Francia. Non se ne parla molto nei libri di storia in Francia…sono 200 anni di solitudine e incomprensione, di satrapie, di governi militari e di rarissimi governi civili. La nostra storia è fatta di rovesciamenti. Forse è il prezzo di questa indipendenza guadagnata con le armi. Ma sono anche 200 anni di resistenza. Siamo stati isolati per decine e decine di anni, ripiegati su noi stessi, e il popolo haitiano è sopravvissuto.

 

Cosa succede ad Haiti oggi?

Tutte le voci contestatarie sono minacciate, intimidite. E non è un epifenomeno. Quando Jean-Bertrand Aristide è tornato ad Haiti, nel 1994, ha promesso la giustizia, la partecipazione, la trasparenza. Nessuno di questi tre temi è stato affrontato. Il potere ha preferito delle alleanze tattiche e ha scelto di eliminare le voci indipendenti e contraddittorie per conservare solo quelli che assicurano totale fedeltà. Dopo due anni, il governo cerca solo la sua semplice sopravvivenza politica. Ogni volta che c’è una manifestazione o una contestazione organizzata, vengono mandati in azione dei gruppi armati. Ora tutti sanno che sono pagati da persone potenti che sostengono il governo. La principale rivendicazione degli haitiani dopo la caduta dei Duvalier non è stata esaudita: reclamavano la giustizia, perché non ci può essere riconciliazione senza giustizia.

 

Qual è il ruolo della comunità internazionale?

Le istituzioni internazionali hanno fatto uno sforzo a breve termine per aiutare Haiti, ma le infrastrutture, le istituzioni democratiche non sono state rafforzate come si sarebbe dovuto. Ed il sistema è rimasto corrotto, anche se qualche giudice è stato formato qua e là. E la comunità internazionale si è stancata. Ora la costruzione di una nazione non si fa da un giorno all’altro., né grazie a un solo uomo, che si sia ad Haiti o in Afghanistan…E senza strutture non si può fare niente. Dopo le elezioni del 2000 [considerate fraudolente], la comunità internazionale – gli Stati Uniti, la Francia, l’Unione Europea, l’Organizzazione degli Stati Americani – ha sospeso il suo aiuto o deciso di farlo passare solo attraverso le ONG. Anche i prestiti della Banca interamericana di sviluppo sono stati bloccati. Questa reazione della comunità internazionale è sproporzionata ed ha esacerbato i problemi interni. Ha agito così per piegare Aristide, ma il prezzo pagato dal popolo haitiano è troppo pesante. Il blocco degli aiuti è un’arma spuntata.

Bloccare gli aiuti all’educazione o alla sanità di un paese come Haiti è un atto criminale.

 

Come spiega lei che il prete Jean-Bertrand Aristide incarni oggi una figura dittatore corrotto e che venga paragonato ai suoi tristi predecessori?

Io non credo che si possa parlare oggi di dittatura ad Haiti. Parliamo piuttosto di caos. In una dittatura come quella dei Duvalier, il dittatore controlla tutto, le forze armate, le milizie, i poteri locali. Oggi, Aristide e il suo partito non controllano niente. Il partito che l’ha portato al potere, Fanmi Lavalas, è estremamente diviso. Quando Aristide è tornato al potere, nel 1994, non c’è stato un vero disarmo, e il risultato violento eccolo qua. Non c’è una censura centralizzata, organizzata, come ai tempi dei Duvalier, ma i giornalisti che vanno oltre la superficie dell’informazione, che scavano su temi come la corruzione o la droga, rischiano la vita.

In quali circostanze ha dovuto lasciare Haiti?

Il 25 dicembre 2002, sono stata il bersaglio di un tentativo di assassinio mentre rientravo a casa. La mia guardia del corpo è stata uccisa. Io ho pensato che sarebbe stato sufficiente che io non mi esprimessi più al microfono della radio perché le minacce cessassero, ma questo non è bastato. Il 23 febbraio ho riunito la redazione. Anche altri membri della radio erano stati minacciati, alcuni da uomini armati, e quindi abbiamo deciso di “spegnere” la radio. Radio Haiti è diventata una radio silenziosa, ma tuttavia non è stata chiusa. Restano delle persone che custodiscono le attrezzature, per essere pronti a riprendere quando sarà possibile. La radio esiste dal 1970. Mio marito ed io abbiamo conosciuto la prigione, l’esilio. Quando siamo tornati, nel 1986, lo studio era stato distrutto dalla polizia politica di Duvalier. L’abbiamo ricostruito grazie alla solidarietà degli Haitiani. Nel 1991, dopo il colpo di stato contro Aristide, abbiamo ripreso la via dell’esilio. Siamo tornati a Port-au-Prince nel 1994. Molte cose sono cambiate poi. Jean era una figura popolare ad Haiti, una voce indipendente che criticava la deriva del partito al potere.

 

Che ne è del processo agli assassini di vostro marito?

L’istruttoria dura da tre anni. È stata tumultuosa e sanguinosa. Uno dei sospetti arrestati è morto su un tavolo operatorio pur avendo solo una ferita sulle natiche…. Un altro è stato dato in pasto alla folla al momento del suo arresto e linciato. Un altro ancora è morto in prigione. Dei testimoni sono scomparsi. Dei mandati di arresto sono state protette. Ci sono stati impedimenti a tutti i livelli dello stato. Il giudice incaricato dell’inchiesta attualmente è in esilio. Io non so chi ha ucciso mio marito. Abbiamo delle piste che ci indicano che dei membri del partito al potere sono implicati.

 

Come vede il futuro?

Non basta rovesciare Aristide perché, con un colpo di bacchetta magica, Haiti si rialzi. Bisogna distruggere questo mito. I gruppi armati non spariranno con un solo colpo; ci sarà una lotta per il potere che rischia di essere sanguinosa. Cambiare l’uomo cattivo che è al potere non risolve tutto. Bisogna anche creare le condizioni della democrazia.

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