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Anna Maria Gentili - Haiti: libera dalla schiavitù, schiava del debito

3.7.2011

 Il terremoto di Haiti ha provocato 316.000 morti e 1milione e 600 mila senza tetto. Poi in ottobre è arrivato il colera che ha sterminato 3500 persone e in Novembre l’uragano Tomas ha esacerbato una situazione già tragica. Tuttavia si è riusciti a tenere le elezioni per il senato, il parlamento e le presidenziali. Infine dal ballottaggio del 20 marzo 2011 Michel Martelly è uscito vincitore e nuovo presidente di Haiti. I media ci hanno bombardati da immagini apocalittiche per poi rassicurarci con promesse di generosi aiuti volti a sanare le ferite e avviare la ricostruzione.

La povertà di Haiti viene solitamente rappresentata come fosse una maledizione senza speranza. E invece il terremoto e i suoi effetti devastanti, cosi come la difficoltà di portare aiuti per una positiva stagione di ricostruzione, dovrebbero far riflettere su quali siano stati e siano gli effetti distruttivi di politiche di sfruttamento e intervento straniero, che si sono succedute, su un paese la cui povertà è il risultato di una storia di negazione e spoliazione. Fino agli anni più recenti in cui le scelte politiche dei governi sono state determinate prevalentemente da interessi e priorità esterne, alleate a manovre delle élite locali che hanno contribuito ad approfondire l’emarginazione della maggioranza della popolazione.

La storia di Haiti e una storia gloriosa quanto straordinariamente poco nota. Dal 1791 al 1804 circa mezzo milione di persone, metà delle quali nate in Africa e qui portate schiave e l’altra metà schiavi nati sull’isola, decisero che la schiavitù era inumana. Piuttosto che vivere privati della loro umanità e libertà preferirono combattere e se necessario morire. Senza generali né aiuti di sorta, questi “dannati della terra” combatterono per ben tredici anni dimostrando grandi capacità d’organizzazione e resistenza per ottenere per se e i propri figli una società libera, eguale, fraterna.

Una lotta che adottava le parole d’ordine della Rivoluzione francese, libertà, fraternità, uguaglianza, e che contribuì a che la Convenzione del 1792-94 abolisse la schiavitù. Furono gli schiavi a provocare l’impossibile vittoria contro forze ben più formidabili, contro la Francia dei “Grand Blancs” che nel 1600 aveva acquisito la parte dell’isola possedimento spagnolo, l’Hispaniola di Cristoforo Colombo, ribattezzandola Santo Domingo. L’importazione massiccia di schiavi dall’Africa dette impulso a una ricchissima economia di zucchero, caffè, tabacco, cotone, indaco e cacao. Alla fine del 700 un terzo delle esportazioni della Francia proveniva da Haiti ed era produzione schiavista.

Gli abitanti originari, sterminati dalle armi, dalla schiavitù e dalle malattie della conquista e dominazione prima spagnola e poi francese, la chiamavano Haiti e questo fu il nome adottato con l’indipendenza. La ribellione degli schiavi andò oltre “il possibile, l’improbabile, il proibito” pensato dai filosofi illuministi e dai capi della Rivoluzione francese nel 1789. La rivoluzione era già iniziata a Haiti quando, tra il 1792 e il 94 durante la Convenzione, si risolse di abolire la schiavitù.

Con Napoleone inizia la vendetta. I tentativi di rovesciare militarmente la conquistata indipendenza fallirono e dunque nel 1825 si scelse la via finanziaria: il governo di Haiti per essere accettato come legittimo stato-nazione, venne obbligato da Francia, sostenuta dagli Usa, dal Canada e dal Vaticano, a pagare riparazioni ai piantatori europei. Gli haitiani che si erano liberati con le proprie forze, che avevano per primi messo in atto i principi della dichiarazione dei diritti dell’uomo dovettero letteralmente comprare la propria libertà e a caro prezzo. La rivoluzione e la libertà di Haiti posero già alla fine del XVIII secolo un quesito fondamentale, ancora oggi attuale su chi doveva, poteva o aveva il diritto a essere incluso nella nozione di diritti dell’uomo. Eppure Haiti aveva posto una sfida riuscendo ad abolire la schiavitù e a creare una nuova nazione indipendente, questo molti decenni prima che l’Europa ammettesse che il tempi erano maturi per porre fine alla schiavitù e un secolo e mezzo prima che si chiudesse definitivamente l’era della dominazione coloniale con le indipendenze africane.

Fu dunque quella di Haiti una rivoluzione insieme antischiavista e anti coloniale, la prima a esaltazione dei diritti dell’uomo, a cui nel 1825 la Francia rispose imponendo il pagamento di “riparazioni” ammontanti a 150 milioni di franchi,corrispondenti al bilancio annuale francese del tempo e approssimativamente a 21 miliardi di dollari oggi, da pagare in cinque tratte a favore degli ex coloni. Il debito fu allora, e rimane fino ad oggi, lo strumento principale di controllo per mantenere l’accesso privilegiato alle risorse naturali e strategiche del paese. La storia e il radicamento della povertà di Haiti è rintracciabile in succedersi e accumularsi di oppressioni ingiustizie e sfruttamento.

Una storia complessa che qui può riassumersi in alcune date e venti significativi. Nel gennaio 1914 forze britanniche, tedesche e degli Usa occuparono Haiti a protezione dei propri cittadini. Subito dopo nel 1915, secondo il Corollario Roosevelt della Dottrina Monroe, gli Usa occuparono l’isola. Seguì lo smantellamento del sistema costituzionale, l’instaurazione del lavoro forzato soprattutto per la costruzione di strade, ponti, canali d’irrigazione. Vennero introdotte le culture di sisal e zucchero e cotone che diventarono importanti prodotti d’esportazione.

Dopo la partenza dei marines americani nel 1934, la guardia nazionale da loro addestrata instaurò un clima di violenza e terrore. Si stima che in questo periodo più di 3000 haitiani siano stati trucidati. Nello stesso anno il dittatore dominicano Rafael Trujillo ordinò un massacro, che durò tre giorni e fece circa 20.000 vittime fra gli haitiani che avevano valicato la frontiera alla ricerca di lavoro nella Repubblica dominicana.

Dal 1956 al 1986 il paese venne governato da una dittatura “ereditaria” della famiglia Duvalier. Prima da Francois Duvalier conosciuto come "Papa Doc" e, dalla sua morte nel 1971, dal figlio Jean-Claude Duvalier conosciuto come “Baby Doc”. La feroce dittatura della dinastia Duvalier termina nel 1986 con una rivolta popolare. Furono trent’anni di violenza e rapina, che videro la crescita esponenziale del debito fino al 750 milioni di dollari che poi a causa di interessi e penalità si moltiplicò fino a raggiungere l’enorme somma di 1.884 milioni. Un debito creato dagli interessi e intrighi delle élite al potere, protette dalla violenza dei tonton macoutes, pagato dalla discesa della popolazione in una povertà ancora più abbietta. Un’inchiesta recente ha rivelato che la ricchezza personale della famiglia Duvalier, custodita in banche svizzere e americane, ammonterebbe a almeno 900 milioni di dollari, in altre parole sarebbe superiore al debito del paese al tempo della fuga in Francia di Baby Doc. La restituzione di questi fondi è resa impossibile dai cavilli legali messi in campo dalle banche che ne detengono la custodia.

Dopo un lungo periodo di instabilità e violenza, nel dicembre 1990 Jean-Bertrand Aristide venne eletto presidente con grande speranze e entusiasmo popolare. Sopravvissuto a un tentativo di colpo di stato organizzato dai tonton macoutes, Aristide tentò di mettere in atto riforme che andassero incontro ai problemi della popolazione, riforme che incontrarono la feroce e violenta opposizione delle élite militari e degli affari. Aristide venne detronizzato da un colpo di stato già nel 1991 e i suoi seguaci in massa caddero vittime della vendetta dei suoi avversari. Nel 1994 l’amministrazione Clinton negozia la restaurazione della presidenza di Aristide con un'azione militare che va sotto il nome di Operation Uphold Democracy.

Rieletto nel 2000 con oltre il 90% dei voti, fu Aristide ad aprire il contenzioso con la Francia per la restituzione delle riparazioni. Ma nel 2004 il rapporto della Commissione Regis Debray negava la richiesta del governo di Haiti col pretesto che avrebbe aperto il vaso di Pandora di azioni simili provenienti dal mondo ex coloniale. Del resto la Francia non ha mai riconosciuto il ruolo di protezione e complicità con le dittature di Papa Doc Duvalier e del suo successore e figlio a cui ha garantito immunità nell’esilio dorato a Parigi. Mentre ai molti haitiani che nel corso della storia sono fuggiti alla sequela di regimi tirannici è stato negato sempre lo status di rifugiati perché si sosteneva che essi fossero solo migranti economici , non costretti da motivazioni politiche.

Il 2004 segna anche la fine del governo Aristide destabilizzato da una violenta ribellione e costretto all’esilio prima in Giamaica poi in Sud Africa su consiglio o imposizione di Usa e Francia. Da allora è presente sul territorio una missione Onu con funzione di stabilizzazione (MINUSTAH).

Il 18 marzo 2011 Aristide ha avuto il permesso di ritornare dall’esilio, ma non per partecipare alle elezioni, come d’altronde prima di lui era stato permesso a Baby Doc. I suoi molti sostenitori, che considerano illegale la sua cacciata dal potere cosi come la proibizione al suo partito il Fanmi Lavalas di partecipare alle lezioni, sono stati sollecitati a operare per contribuire alla pacificazione: “ nel 1804 la rivoluzione haitiana ha segnato la fine della schiavitù. Oggi possa il popolo haitiano farla finita con colpi di stato e esili e possa muovere pacificamente dall’esclusione all’inclusione sociale”.

Ma come? Quasi tutto l’aiuto finanziario promesso dopo il terremoto è destinato al rimborso del debito, contratto per più dell’80%con la Banca Mondiale e la Inter-American Development Bank (IBD). E con queste istituzioni che il governo di Haiti ha dovuto negoziare piani di aggiustamento strutturale, ora riformulati come “strategie di riduzione della povertà”. In cambio di ulteriori prestiti Haiti ha ottenuto un’insignificante riduzione del debito. Il vecchio debito contratto dai dittatori è stato sostituito da cosiddetti prestiti legittimi.

Nel frattempo i piani di aggiustamento strutturale significano disastri soprattutto per i settori agricoli chiave, se n’è capita la portata nel 2008, anno della più grave crisi alimentare prima di questa che sta colpendo anche Haiti.

Ne si tiene conto di quanto e come la vulnerabilità della regione alle tragedie naturali sia una conseguenza della devastazione ambientale, dall’inesistenza delle infrastrutture di base, dal sistematico storico indebolimento della capacità dello stato ad agire, da politiche infine che non mettono al centro le priorità di riforme che rispondano in primis ai bisogni di base della maggioranza della popolazione. I governi, le istituzioni internazionali e non governative che portano aiuti dovrebbero dedicarsi a questa vera missione di solidarietà che ha come premessa urgente la cancellazione del debito, il riconoscimento che riparazioni sono dovute e che dovranno servire a finanziare la ricostruzione dandone il controllo a organizzazioni della società civile haitiana.

Giugno 2011

 

Anna Maria Gentili è docente di storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici nel corso di laurea di Cooperazione e sviluppo locale e internazionale all'Università di Bologna. E' vice-presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Alexander Langer. Nel 2008 è uscita la seconda edizione aggiornata del suo “Il leone e il cacciatore – Storia dell’Africa sub-sahariana”. Carrocci Editore

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