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A proposito del censimento etnico. La trascrizione di un incontro il 18 giugno 2011 con l'avv. Guido Denicolò

9.10.2011, Fondazione Langer, Sagapò Teatro, Theamus, Teatro Zappa Theater

Le chiediamo di fare un quadro della situazione di convivenza nella Provincia di Bolzano...

La prima domanda è: di quale convivenza si parla? Non c’è particolare accordo fra i due maggiori gruppi linguistici (i gruppi etnici/linguistici sono tre: italiano, tedesco e ladino).

L’aumento dell’immigrazione (etnie nascoste) è un fenomeno recente in Alto Adige. Alexander Langer aveva previsto che fra i due maggiori gruppi linguistici sarebbe arrivato il terzo incomodo di un numero crescente di immigrati. Al momento in provincia di Bolzano gli immigrati superano numericamente i ladini, che vivono concentrati in tre valli nelle Provincie di Bolzano Trento e Belluno.

Il conflitto linguistico/etnico riguarda principalmente i gruppi italiano e tedesco. Gli italiani sono massicciamente presenti sul territorio da 90 anni, da quando cioè il Sudtirolo fu conquistato da una guerra e il confine fu spostato al Brennero. Una guerra e dunque un atto di forza. Spesso si è parlato di “Unrechtsgrenze” (confine ingiusto), ma si tratta di un giudizio di valore, dato che giuridicamente non è corretto, perché dal punto di vista internazionale al trattato di pace di Saint Germain (settembre 1919), per il quale si può ancora parlare di “giustizia del vincitore”, segue nel 1946 l'accordo internazionale Austria-Italia (De Gasperi-Gruber) a Parigi, in cui l’Austria rinuncia formalmente a qualsiasi rivendicazione sul Sudtirolo.

Al momento dell’annessione all’Italia del Sudtirolo (1919), la popolazione era nella quasi totalità di etnia tedesca, dunque diversa da quella del territorio nazionale. I problemi nascono dal fatto che in Italia si afferma subito il regime fascista e nazionalista che vuole l’italianizzazione della terra di confine e poco sopporta la presenza sul territorio dell’anomalia di un gruppo compatto di popolazione che non parla italiano e non si riconosce come parte dello stato. Il fascismo vuole una “Endlösung” (soluzione definitiva) del problema attraverso due principali interventi:

-          Impedendo qualsiasi tipo di manifestazione di lingua tedesca sul territorio: usi, costumi, tradizioni, lingua, scuola, “epurando” l’impiego pubblico, spingendo la popolazione di lingua tedesca a diventare italiana al più presto possibile o ad andarsene;

-          Favorendo l'arrivo di italiani da altre regioni per ridurre in minoranza la popolazione maggioritaria locale, soprattutto attraverso l’industrializzazione di Bolzano e Merano.

Nel 1918 il gruppo italiano è presente solo in Bassa Atesina (vecchio confine) e rappresenta, al momento dell’ annessione, circa il 10% della popolazione. L’italianizzazione ha luogo soprattutto in città, con isolati tentativi di colonizzare anche l’agricoltura che furono fallimentari. Gli italiani trovano lavoro nell’industria e nel pubblico impiego (nei comuni i podestà sostituiscono i sindaci) e con la militarizzazione del territorio (caserme di confine).

E’ una vicinanza assolutamente conflittuale e ostile, che culmina nelle Opzioni del 1939: tutti coloro non disponibili a farsi italianizzare potevano “optare” per la cittadinanza germanica (non austriaca, che non esisteva più dopo l’annessione di Hitler). Una forte propaganda minacciava chi sceglieva di rimanere (Dableiber) di essere trasferiti in altre zone d’Italia (Sicilia, Veneto...). I germanici vogliono il maggior numero di tedeschi in patria (Heim ins Reich) e concorrono attivamente alla “propaganda delle Bugie (Lügenpropaganda). La percentuale degli Optanti fu altissima (quasi il 90%). Ma dal Sudtirolo se ne andò solo una parte di coloro che avevano optato, soprattutto i meno abbienti. Chi aveva delle proprietà doveva liquidarle prima di partire . Lo scoppio della guerra congela le partenze. Una cesura terribile si apre all’interno del gruppo linguistico tedesco (Optanten/Dableiber), frattura che corrisponde in buona parte a un differente orientamento politico: da un lato filo-nazista in favore dell'opzione, dall’altro una minoranza di circoli antinazisti, i Dableiber.

L'8 settembre del 1943, l’alta Italia fu invasa dai nazisti, il Sudtirolo diventò di fatto un protettorato tedesco che sosteneva la Repubblica di Salò.. La popolazione tedesca li considerava i liberatori dall’Italia, ma la speranza di una revisione dei confini del 1918 venne meno con la sconfitta del nazismo. Subito diventa chiaro che i confini non saranno modificati. L’Accordo di Parigi sancisce l’irreversibilità dell’annessione all’Italia. L’Italia, nell’accordo De Gasperi-Gruber, s'impegna per concedere una forte autonomia, con un’innovazione: la concessione (unica in Europa) a una popolazione collaborazionista (gli Optanti del ‘39) di riprendere la cittadinanza italiana (rioptanti) e di non subire “punizioni”. Più del 90% della popolazione di lingua tedesca nel 1946 non aveva rinunciato alla cittadinanza italiana. In molte parti d’Europa le popolazioni di lingua tedesca furono gravemente punite per il collaborazionismo nazista (ad esempio nei Sudeti,..). L’Italia invece compie un gesto di lungimiranza e generosità politica.

Perché un simile atto di risarcimento? La saggezza politica, anche imposta degli Alleati, con l’obbiettivo di non far diventare il Sudtirolo un luogo di costanti conflitti. Il Brennero era un confine strategico e delicato, molto vicino all’Unione Sovietica (l’Austria rimase nel protettorato sovietico fino a metà degli anni ‘50, e per riacquistare la sua sovranità di stato nazionale si obbliga alla neutralità). Si impone la generosità verso i Sudtirolesi e una buona parte di coloro che erano partiti o che erano ritornati, acquisisce la cittadinanza italiana. L’Italia si obbliga a rispettare le peculiarità della cultura e della tradizione sudtirolese. Nell’accordo del 1946 compare un primo accenno alla Proporzionale, al Bilinguismo e alla Toponomastica, da concedere con l’Autonomia. La situazione del 1946 è molto diversa dal primo dopoguerra: nel 1918 si trattava di una terra tedesca, omogenea, nel 1946 una nuova forte componente italiana abita il territorio, un gruppo non omogeneo di varia provenienza ed estrazione sociale.

Quale era la composizione linguistica nel ‘46?.

Le Opzioni e l’italianizzazione avevano portato il gruppo italiano a una percentuale molto simile a quella di oggi: circa 60% tedeschi e 40% italiani. Non c’erano censimenti etnici (il primo fu nel 1981). Oggi il gruppo linguistico tedesco è circa il 67% a livello provinciale. Gli italiani erano circa 150.000.

L’Autonomia nasce dalla necessità di garantire un autogoverno territoriale e di tutela della popolazione minoritaria tedesca, che però si trova costretta a mediare con l’altro gruppo linguistico. Si parte quindi da una reciproca non accettazione: gli italiani, concentrati nelle città e nella Bassa Atesina, si sentono padroni, ritengono di non avere obblighi particolari se non quello di un certo paternalismo verso la popolazione tedesca (contadina, strana, chiusa nelle realtà tradizionali delle vallate) mentre i Sudtirolesi di lingua tedesca si sentono i padroni storici della terra. Due pretese di proprietà contrapposte.

Il Fascismo aveva italianizzato nomi, cognomi, persino lapidi. Viene dunque istituita una legge per riacquistare i nomi e sostanzialmente riparare le violenze perpetrate dal regime. La soluzione pensata dal Primo Statuto di Autonomia del 1948, nel tentativo di rispettare l’accordo di Parigi, fu l’immediata sospensione delle leggi discriminatorie con l'inserimento nella nuova Costituzione Repubblicana il riconoscimento di alcune regioni a statuto speciale: Trentino Alto Adige, Sardegna, Sicilia (forti movimenti indipendentisti), Valle d’Aosta e più tardi Friuli Venezia Giulia. Solo per l’Alto Adige esisteva però un obbligo internazionale di trovare una soluzione particolare.

Il Primo Statuto di Autonomia è segnato dall’intenzione italiana di non concedere troppa autonomia a una popolazione ostile e delusa e di tutelare gli interessi trentini. La Regione si chiamerà dunque Trentino-Alto Adige con due Provincie autonome. All’inizio tutte le competenze economiche e politiche erano gestite a livello regionale, dove la popolazione tedesca era in minoranza nella rappresentanza istituzionale. Oggi la Regione è un contenitore svuotato in favore delle due Provincie Autonome (bilancio delle Provincie: 5 miliardi annui, Regione: 6/700 milioni).

La scarsa autonomia territoriale concessa porta alla stagione degli attentati all'inizio degli anni '60 e a un forte conflitto Italia/Austria .L’Italia non accetta l’ingerenza austriaca e lo considera un problema interno. La popolazione tedesca ritiene insufficiente l’Autonomia del 1948 che vede le decisioni politiche prese a Trento. Vive una situazione drammatica dal punto di vista economico, per la crisi dell’agricoltura che rinchiude la popolazione tedesca in settori senza possibilità di sviluppo, dato che il pubblico impiego e l’industria sono in mano italiana. L'Austria si convince della necessità di un suo intervento all'ONU e chiede l’internazionalizzazione del problema. L'ONU ne discute e approva una risoluzione che invita a trattative. L'Italia cede e viene istituita la Commissione dei 19, che lavora alla stesura di un Pacchetto di misure generali che dovranno poi essere tradotte in atti legislativi. Vengono stabiliti un calendario operativo (Operationskalender) e degli obbiettivi da perseguire. Il Secondo Statuto di Autonomia capovolge la struttura istituzionale e rafforza di molto l’autogoverno delle due Provincie. Una volta risolto il problema della messa in minoranza della popolazione tedesca a livello regionale, il potere provinciale passa nelle mani di un gruppo maggioritario politicamente compatto. Negli anni di confronto con lo Stato, la popolazione tedesca aveva rinunciato ad un aspetto della democrazia liberale moderna, il multipartitismo, costituendo un monopartitismo volontario, caso unico in Europa. La rinuncia a una delle conquiste della moderna democrazia, trasferisce all’interno del partito (Südtiroler Volkspartei) la dialettica fra partiti. Dialettica di fatto molto ridotta in nome del bisogno di “Zusammenhalt” (compattezza), che ha come obbiettivo la difesa della minoranza. La Seconda Autonomia trasferisce il potere al gruppo linguistico tedesco in termini di una democrazia su principio maggioritario e ha l’effetto di rendere minoranza politica il gruppo italiano, che sarebbe stato perenne opposizione politica se non fossero stati introdotti dei correttivi particolari, per cui gli italiani devono essere sempre presenti nel governo provinciale. Un sistema di tipo concordatario e consensuale, per cui il gruppo linguistico italiano sia sempre presenti in giunta provinciale (e nei Comuni che comprendano almeno due consiglieri eletti) in relazione alla loro dimensione sul territorio. In assenza di un accordo politico-programmatico, la presenza in Giunta viene garantita a titolo etnico, e agli italiani viene tendenzialmente concesso di gestire la quota di risorse destinate al proprio gruppo linguistico. Una doppia rappresentanza viene prevista per la scuola e la cultura.

Alexander Langer, profondamente contrario a quelle che chiamava “gabbie etniche”, per potersi candidare alle elezioni si dichiarò nel 1983 ladino chiedendo a questo gruppo linguistico “asilo etnico” (lo chiamarono “ladino di carta”). Grazie a lui i ladini beneficiarono di 2 consiglieri ladini in giunta e quindi per la prima volta di un posto di assessore.

La “proporzionale” viene inizialmente applicata a tutti i posti pubblici (oltre che alle risorse sociali, all’assistenza e alla cultura), sulla base della rappresentanza negli organismi rappresentativi. Le Scuole di ogni ordine e grado sono separate. Dunque l’attuale Autonomia ha un’impostazione separatista. Che modello di convivenza presuppone o prefigura lo Statuto di Autonomia? E’ un modello auspicabile? Era inevitabile temporaneamente ed è auspicabile il suo superamento? In molti pensano che l’evoluzione della convivenza sarebbe ostacolata dallo stesso impianto dello Statuto.

Alexander Langer si occupa di questo, lui per inclinazione cosmopolita, ritiene che le differenze fra persone non debbano esistere, che tutti sono resi simili da comuni valori umani. In questa condizione conflittuale studia giurisprudenza negli anni in cui si elabora e approva il Secondo Statuto di Autonomia, su cui scrive la sua prima tesi di laurea, da subito molto critica. Capisce che per alcuni aspetti lo Statuto possa portare nell’immediato e medio termine a una situazione più tranquilla, a un sollievo del conflitto, ma che alcuni punti potrebbero gettare le basi per perpetuarlo, quando ostacolino una convivenza basata sull'integrazione reciproca , la condivisione del territorio, dei valori e della storia.

Langer temeva un’assuefazione a questi meccanismi, dato che le norme sono capaci di influenzare il comportamento delle persone, creano cultura e valori. Esprime quindi una critica contro alcuni istituti previsti nello Statuto o in norme d'attuazione. Si scontra con un’altra idea di convivenza. Auspica una convivenza d’integrazione e condivisione, mentre i dirigenti dei maggiori partiti di lingua tedesca e italiana avevano in mente una “convivenza da armistizio”, non da pace, in cui non ci si spara ma ognuno sta nel proprio orto. Una convivenza dove le parti comuni sono ridotte al minimo indispensabile e per il resto si vive in proprietà esclusive. “Più ci separiamo più ci capiamo” fu il motto di chi riteneva (e ritiene) che i due gruppi fossero antropologicamente troppo diversi e non potessero integrarsi, se non a prezzo della rinuncia alla propria identità. La scelta del gruppo tedesco di un partito unico è una scelta identitaria. Se sono due identità a scontrarsi è molto difficile trovare una condivisione: ci si divide per non menarsi, per trovare una co-esistenza e perché comunque siamo diversi e abbiamo il diritto di esserlo. Ogni occasione d’incontro e di conoscenza è vissuta come aggressione alla propria identità, dunque viene ridotta al minimo.

E’ ipotizzabile l’abbandono della “proporzionale”, dato che è stata una legge di riparazione, se si afferma un bilinguismo diffuso?

La Proporzionale viene introdotta per recuperare uno svantaggio, garantendo delle “quote” da raggiungere. Si tratta di misure positive a favore della popolazione tedesca (ad esempio in America esistono leggi simili per la popolazione di colore). Vuole consentire a gruppi minoritari di recuperare e stabilire l’uguaglianza. Sono misure legittime in ottica democratica per recuperare parità di diritti e possibilità. Ma raggiunto l’equilibrio che era stato violato, la norma dovrebbe sparire. La loro durata dovrebbe essere “temporale”. Ma la Proporzionale è stata concepita invece come misura definitiva. Oggi, con il raggiungimento di questi obbiettivi, la popolazione tedesca potrebbe abbandonare questa norma che ora però diventa importante per il gruppo italiano, che teme di rimanere schiacciato dal “chi vince piglia tutto”. Di recente è stato pubblicato un “Manifesto Sudtirolo 1919”, redatto da persone di tutti i gruppi linguistici, che prospetta e auspica un progressivo abbandono della proporzionale e un potenziamento del bilinguismo. Le reazioni negative arrivano soprattutto da parte italiana. Il “Manifesto 1919” sostiene che una volta realizzato il presupposto del bilinguismo, diffuso e ad alto livello, la concorrenza porterà a far vincere il migliore, mantenendo una proporzionale naturale, spontanea.

E’ stata da altri proposta una sospensione temporanea della proporzionale, per vedere cosa succede. Nel caso di scompensi superiori al 15% si potrebbe reintrodurla nei settori in cui si verifichino tensioni etniche. Si comincia a parlare di queste ipotesi anche su argomenti pilastro dell'autonomia (cosa impensabile fino a pochi anni fa) quali toponomastica, scuole separate, bilinguismo, nell’ottica che non tutto sia pilastro inamovibile dell’Autonomia.

La toponomastica è considerata da molti un non-tema (molti si sentono “oltre”) ma non è argomento da mettere in secondo piano, perché è un problema in grado di influenzare la popolazione. Nei conflitti etnico/linguistici la toponomastica è un problema centrale, forse perché molto visibile è l'identificazione con il territorio, tocca il problema dei rapporti di proprietà (vedi ad es. Belgio, Balcani, Carinzia). Per questo risolvere la questione della toponomastica può avviare la soluzione di molti altri problemi.

Gli appartenenti ai tre gruppi linguistici riconosciuti hanno l’obbligo di dichiararsi italiani, tedeschi o ladini al momento del censimento. E i molti che provengono da altri stati o provincie?

Il sistema della proporzionale e del censimento etnico mostra le crepe fin dall'inizio proprio perché non esistono solo tre gruppi linguistici sul territorio. Alexander Langer era molto contrario a una così generalizzata rilevazione su un argomenti “sensibile” come la dichiarazione di appartenenza etnica. La proporzionale chiede di deve avere uno strumento per stabilire “chi mangia” da questo o quel piatto. Il separatismo istituzionale e politico richiedono un censimento per distribuire le risorse secondo l'appartenenza etnica e non la semplice cittadinanza. Ricordiamo inoltre che i piatti non sono di grandezza uguale. La dichiarazione di appartenenza è una forma di separazione concreta che invade la vita di ciascuno con domande quali: da quale piatto mangio? Cosa sono? Italiano, tedesco o ladino? La dichiarazione di appartenenza etnica individuale viene imposta per la prima volta dal censimento dell'81, alla quale ci si poteva sottrarre solo al costo della perdita di alcuni rilevanti diritti. Langer ripudiò in maniera assoluta questa chiamata alle armi, questa verifica delle forze in campo, per cui bisognava scegliere con che esercito schierarsi. Capiva che la ritualità di doversi dichiarare, di schierarsi ogni 10 anni per una lista etnica, aveva una grandissima potenza simbolica, capace di influenzare il sentire delle persone. Ogni dieci anni scatta la “campagna elettorale per il censimento”. Quest’anno il gruppo ladino, che vuole uscire rafforzato dalle elezioni etniche che si svolgeranno nell'ottobre 2011, ha già prodotto manifesti che invitano a dichiararsi a votare ladino! Un atteggiamento che mette in pericolo la normale convivenza e che va ben oltre il semplice adempimento burocratico. Alcuni sudtirolesi sono naturalmente portati a essere “oltre” questa obbligazione, come ad esempio i mistilingue, che secondo Langer potevano rappresentare il “Gesamtsüdtiroler”, il sudtirolese indiviso. E invece furono costretti a tagliarsi a metà, con un’evidente violenza, e a scegliere fra la lingua e la cultura della madre o del padre. Altra eccezione sono stati da subito i cittadini italiani di origine non italiana (slovena o altro), che nel 1981 furono chiamati a dichiarare il falso, di appartenere ad un’etnia non loro. Alcuni di loro ricorsero al giudice ed ebbero ragione. Così nel censimento del 1991 fu prevista una modifica, con la presenza dell'opzione “Altri” per chi dichiarava di non appartenere ad alcuno dei tre gruppi linguistici , e poteva scegliere di aggregarsi ai soli fini burocratici a questo o quel gruppo.

Questa decisione tolse vento dalle vele di chi era contrario al censimento. Ma in occasione del censimento 2001 comincia una nuova battaglia che faceva appello alla riservatezza dei dati sensibili, tra i quali direttive europee indicavano anche l’appartenenza etnica. E alla sproporzione tra la raccolta di un catasto etnico di tutta la popolazione, di fronte all'utilizzo pratico della stessa ormai richiesto a una sua percentuale molto ridotta. Tutto il comporta della scuola era per esempio stato escluso dall'obbligo della dichiarazione di appartenenza, grazie ad una sentenza della Corte di Cassazione che aveva accolto un ricorso di Langer escluso dall'insegnamento in quanto obiettore etnico. In conseguenza di questa seconda battaglia venne approvata una nuova modifica alle regole del censimento e in quello del 2011 non sarà più presente la dichiarazione nominale di appartenenza, ma solo la rilevazione statistica anonima per determinare le quote della proporzionale nel prossimo decennio. Chi si è dichiarato individualmente nel censimento del 2001, conserva la dichiarazione presso il tribunale per tutta la vita. Può decidere di modificarla o ritirarla. In caso di cambiamento di gruppo linguistico la dichiarazione risulta però valida solo dopo 18 mesi. Chi non si era dichiarato nel 2001, pur essendo residente in Provincia di Bolzano, ha avuto la possibilità di farlo nel 2005, durante una sorta di tempo del pentimento durato tre mesi. Per chi decide di presentarla fuori dai termini prescritti la dichiarazione risulterà valida solo dopo 18 mesi. In pratica, costretti dall'Unione Europea a cambiare il meccanismo della dichiarazione, i tutori della proporzionale e del censimento etnico hanno messo delle penalità tali da depotenziare il cambiamento, dato che non desiderano una vera libertà dei singoli.. I giovani devono compilare la loro dichiarazione al compimento del diciottesimo anno d'età, come chi viene da fuori e prende la residenza in Provincia, e  ha un anno di tempo in cui la dichiarazione è valida dal giorno stesso, scaduto l'anno la dichiarazione è valida dopo 18 mesi. Se la più rilevante incongruenza della realtà istituzionale del separatismo e della chiusura etnica è stata rappresentata dai mistilingui, oggi lo sono i nuovi cittadini stranieri (sono circa 1000 ogni anno) che acquistano la cittadinanza italiana e che sono obbligati ad aggregarsi forzatamente a uno dei tre gruppi riconosciuti.

Il panorama mondiale è cambiato, il mondo si sposta. Chi non si dichiara continua a non poter partecipare a concorsi pubblici, a commissioni, a chiedere contributi casa, candidarsi alle elezioni (tranne le politiche).

Ha senso fare obiezione etnica sulla dichiarazione statistica? Ora che la dichiarazione è tornata ad essere anonima, come prima del 1981, sarebbe interessante che la rilevazione statistica riuscisse a mettere in luce come le nel tempo sono cambiati i rapporti fra gruppi linguistici. Si potrebbero raccogliere altri dati comparandoli con l'appartenenza linguistica. Ad es. titolo di studio, livello di reddito, grado di bilinguismo. Quello che sta succedendo nella scuola (scambi fra scuole tedesche e italiane, progetti pilota di scuole bilingui) è in pieno contrasto con lo Statuto, ma non c'è legge che tenga di fronte alle scelte e alle esigenze concrete della singole persone. La legge è costretta ad adeguarsi. La Costituzione Italiana, nell’articolo 6, incarica lo Stato di tutelare con norme speciali le minoranze etniche e lo Statuto di Autonomia è una legge costituzionale, ma già oggi la proporzionale viene aggirata o derogata perché troppo “stretta”. Chi in passato ha subito la proporzionale, ovvero il gruppo italiano, che ha visto una decurtazione di posti pubblici e di mezzi, oggi la considera una garanzia.

Come sempre la situazione sociale è più veloce del cambiamento istituzionale. Io, forse per l’età, sto diventando più conciliante con questi istituti.

18 giugno 2011

(trascrizione curata da Chiara Visca. Non rivista dall'autore)

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