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Col. Vincenzo Cardo, Difesa civile e difesa militare: il ruolo delle Truppe Alpine, giugno 2002

5.7.2002, euromediterranea 2002

Una politica estera per l’Europa, il ruolo dei corpi di pace” - Euromediterranea 2002-L’arte della convivenza".

Giovedì 29 giugno - ore 20.30, Kolpinghaus:
con interventi di Renzo Imbeni, vice-presidente del P.E; Jean Marie - Müller, Francia, studioso della difesa;
Col. Vincenzo Cardo, IV Corpo d’Armata, Bolzano; Sam Biesemans, Ufficio Europeo obiezione di coscienza, Bruxelles; Nanni Salio, Centro Studi Sreno Regis Torino. Coordina: Gianni Tamino

Colonnello Vincenzo Cardo

Signori, buona sera, innanzitutto vorrei ringraziarvi perché per la prima volta nella mia vita, mi capita di essere ad un congresso di questa fattispecie. Ne sono veramente felice, raramente capita una simile occasione. Vi ricordo, comunque, che io sono un tecnico, venire da me oggi è come essere andati da un idraulico a chiedere come si fa un impianto per la centrale elettrica di Bolzano. Personalmente ho più domande di quelle che avete voi e meno risposte.
Quello che vorrei fare inizialmente, prima di rispondere a qualsiasi domanda, è forse chiarire un po’ meglio qual’è la funzione istituzionale della Forza Armata in generale. Per quanto concerne le missioni connesse a quella che chiamerei la salvaguardia della stabilità della pace nel mondo, le Forze Armate sono coinvolte in una vastissima serie di attività, che spesso dall’esterno vengono raggruppate in una tipologia evidente e lo si può osservare per esempio in Bosnia, in Albania o in altri luoghi del genere. In realtà le nostre missioni vanno dalla evacuazione del personale non combattente, come ci è capitato in Albania nel 1997, quando, non so se qualcuno ricorda, avvennero dei conflitti sociali, si sparava nelle strade, c'era una grandissima confusione e cadde di fatto ogni forma istituzionale all’interno del paese. In quel caso l’esercito d’Italia in prima linea, per meglio dire il comando di Milano, con alcune forze anche nostre, intervenne per sedare queste rivolte e per riprendere anche dei connazionali, che in quel momento si trovavano in pericolo. Tecnicamente queste operazioni vengono chiamate MIO, come l’assistenza militare ai paesi amici. Noi, come organizzazione militare, ovviamente su mandato del parlamento italiano, abbiamo costituito un gruppo di esperti che stanno cercando di ricostruire in Albania quella che è l’intelaiatura sia militare, sia soprattutto di polizia civile e militare. Come avviene questo contributo: molto semplicemente, noi abbiamo in Albania carabinieri, finanzieri, rappresentanti della polizia di stato che si affiancano materialmente, e quando occorre pattugliano assieme ai rappresentanti delle forze dell’ordine albanesi. Insegnano come effettuare queste operazioni di polizia, introducendo anche altri elementi basilari, come ad esempio, il rispetto della persona. Non dappertutto la polizia è abituata a questo, io ho avuto modo di girare bene o male tutti i Balcani, per motivi di servizio, e vi posso assicurare che spesso la polizia non è così cordiale con i cittadini, anzi spesso è lei stessa a taglieggiare le proprie popolazioni. In Bosnia uno dei lavori che facevamo più spesso era quello di portarci su quella che si chiama LBL, la linea di demarcazione fra le due etnie, perché là si piazzavano i poliziotti delle due etnie, con lo scopo di far pagare dazio a quelli che da una parte andavano dall’altra, e viceversa, spesso usando la violenza. Quando dico violenza, parlo di gente ammazzata dagli stessi poliziotti.
Un’altra funzione che viene svolta dalle forze armate è la partecipazione, la prevenzione dei conflitti e la trasmissione della cultura della pace, al controllo degli armamenti e la creazione di un ambiente di fiducia reciproca. Ci sono diversi trattati, tra cui spiccano il trattato di CFE e CSEBM, che intercorrono tra i numerosissimi paesi, di cui non ricordo neanche tutti i nomi, e che impegnano reciprocamente questi paesi ad ispezionare le proprie basi militari e non solo, ma, nelle aree di esercitazioni militari, le attività in svolgimento, perché si possa verificare che non si stiano preparando azioni di guerra, ma si stia effettivamente facendo soltanto un addestramento.
In questi trattati vi rientra anche un trattato abbastanza recente, che si chiama "Cieli Aperti" e che consente a tutti i paesi, quindi ad esempio anche all’Ucraina o alla Russia, di poter sorvolare, su richiesta, qualsiasi area del territorio italiano, o dell’Est, o inglese o francese.
Questa politica, che è condotta e portata avanti anche grazie alla collaborazione militare (chiaramente qui parliamo di politiche più che di attività operative vere e proprie), è volta a prevenire i conflitti, a creare cioè un clima di fiducia reciproca, tale che in un futuro, si spera il più prossimo possibile, si possano evitare conflitti armati.
Alla fine arriviamo a quelle che vengono definite "peace support operation", voglio dire le missioni in sostegno alla pace. Anche in questa tipologia di missioni c'è una serie di differenziazioni; in questa grande famiglia si parte con quelle che sono le operazioni umanitarie o di soccorso. Voi forse ricorderete che l’esercito italiano è intervenuto insieme ad altri paesi partner, quando per esempio ci fu il terremoto in Turchia, in Kurdistan. Anche nella stessa Albania quando ci fu "l’operazione pellicano" nel 1991 poi nel 1999, ci fu una seconda alba per aiutare la popolazione che stava in condizioni di indigenza enormi. Attività di prevenzione dei conflitti, attuate senza l’intervento militare diretto, ma ad esempio gli schieramenti di forze preventivi, come è stato fatto per dissuadere la Serbia, posizionando in Macedonia una forza sotto leadership della NATO. Questo atteggiamento vuole dimostrare alle parti contendenti come ci sia realmente una volontà di intervenire, e per questo ha una funzione di prevenire il conflitto, di scoraggiare le parti, affinchè arrivino ragionevolmente ad una soluzione dei o problemi. E ancora c’è quella che viene chiamata l’edificazione della pace. Questa è una attività che viene svolta nella fase prevalentemente politica e diplomatica. Ad esempio è stata realizzata ancora prima dello spiegamento delle forze in Kosovo ed in Macedonia, attraverso il pattugliamento del Danubio (al quale ha partecipato anche la nostra Guardia di Finanza) e il pattugliamento del Mediterraneo effettuato dalla Marina Militare, con lo scopo di rinforzare l’embargo posto contro la Serbia, per evitare quindi che scoppiasse il conflitto. Queste sono tutte azioni preventive.
Quindi abbiamo attività di consolidamento della pace ed in queste attività assumono un ruolo fondamentale le organizzazioni civili. Infatti, questo tipo di attività, che tendono a creare una struttura sociale-economica in un paese disastrato e che negli ultimi tempi sta dando qualche buon risultato anche in Bosnia (dove il mio comando gestisce la forza di pace italiana), consiste appunto nel ricreare le condizioni di convivenza civile. Questo attraverso, ad esempio, la ricostruzione delle ferrovie (cosa che l’esercito italiano ha fatto sia in Bosnia che in Kosovo) e la ricostruzione delle scuole o ricreando un quadro di sicurezza all’interno del quale le organizzazioni civili, spesso composte anche da obiettori di coscienza, possono operare con serenità per portare gli aiuti umanitari là dove servono, senza correre il rischio che una o più funzioni facciano fuoco.
Arriviamo poi a quelle missioni che sono forse le più note missioni per il mantenimento della pace, che intervengono dopo una risoluzione che è normalmente dell’ONU e con l’accordo delle parti. La forza militare si inserisce tra i contendenti, li separa fisicamente, crea una fascia di sicurezza, dopo di che, semplicemente per interposizione, impedisce che il conflitto possa riprendere.
L’ultimo caso avuto, invece, a Timor Est, prevede l’invio di soldati da parte delle nostre forze armate.
L’ultimo esempio è quello di imposizione. L’imposizione della pace ci viene in mente quando pensiamo alle immagini, che tutti noi abbiamo visto in televisione, di quegli aeroplani che partivano dalle nostre basi militari, per andare a bombardare la Serbia ed indurla ad accettare gli accordi di Rambouillet.
Questo è lo spettro delle attività votate esclusivamente al mantenimento della pace, che le forze armate possono esprimere.
Per quanto, invece, riguarda l’aspetto internazionale, accennato inizialmente dall’intervento del vice presidente della camera del parlamento europeo, nella ricerca di creare tra i militari un ambiente di fiducia reciproca, e di abbattere cioè il timore che i militari avevano ed hanno ancora l’uno dell’altro, le forze armate sono inserite in una serie di organizzazioni internazionali, tra cui innanzitutto la NATO, dove siamo da più tempo. Ma vanno ricordate alcune iniziative anche molto recenti, una delle quali è il Corpo d’Armata per l’Europa, che è stato poc'anzi ricordato, al quale l’Italia dovrà contribuire con un contingente di circa 16000 uomini. L’Italia partecipa anche a tre iniziative nuove che sono quelle delle brigate multinazionali, instauratesi fra i paesi che non appartengono all’Alleanza Atlantica o comprendono quei paesi che non sono ancora nel patto della NATO. Mi riferisco alla forza multinazionale che ha leadership italiana, in particolare il Comando è quello della brigata Iulia in Friuli, che comprende per esempio la Slovenia. In queste unità c’è una partecipazione paritetica, sia nell’ambito dei comandi, che nell’ambito delle unità.
Ancora più interessante, per tornare all’ONU, è la partecipazione dell’Italia a quella che viene denominata "shear brig", una brigata di pronto impiego, che dipende direttamente dall’ONU e che è costituita esclusivamente per gli interventi del tipo che vi ho menzionato.
Ho voluto fare un quadro estremamente sintetico degli impegni ed ho preparato uno specchio di quelli che oggi l’Italia si è assunta per sorvegliare le situazioni di crisi pressocchè in tutto il mondo; ovviamente qua non è riportata la missione a Timor Est, perché è già finita. Tanto per apprezzare lo sforzo, volevo solo aggiungere una cosa: oggi l’Italia ha fuori dal territorio nazionale qualcosa come 9800 militari sparsi in questi posti, fatta esclusione per i carabinieri. Per concludere e per tornare più al centro della discussione, vi dico che, francamente, essendo un militare, sono abituato a pensare in modo forse poco filosofico, tendo a vedere il problema e a trovarne una soluzione immediata. Personalmente, non so se in un futuro, prossimo o lontano, sarà possibile un cambiamento di cultura radicale nel modo auspicato da Mr. Müller, tale da svestire i militari delle loro responsabilità. Personalmente, credo anche a nome della forza armata, dico francamente che la cosa non mi dispiacerebbe. Penso che qualsiasi uomo di buon senso possa solo sperare in un futuro di pace. Gli stessi militari sono quelli che amano di più la pace, perché sono quelli che combattono le guerre, e sentirsi sparare addosso non è la sensazione più bella del mondo.
Ecco, io non avrei molto altro da dire, se non rispondere molto brevemente alle due domande che mi sono state poste in apertura.
Polizia internazionale: i compiti della polizia e delle forze armate sono sostanzialmente diversi, questo perché le forze armate hanno un compito di pura difesa, che sia di un popolo o di una qualsiasi altra cosa; la polizia ha invece un compito più complesso, di controllo. Si occupa di reati, mentre noi ci occupiamo di stabilità, sono due sfere di competenza completamente diverse. Tant'è che, per esempio, attualmente in Albania, nel contingente della brigata, abbiamo inserito un battaglione di carabinieri, proprio perché non c'è un grande concorso da parte della polizia locale. I carabinieri operano azioni di polizia vera e propria, sia per il contingente, sia a favore della popolazione. Questo sta capitando anche in Kosovo, dove abbiamo un altro battaglione dei carabinieri che fanno polizia militare. Il comandante tedesco della KFOR, che ho incontrato recentemente, si è sperticato in elogi, proprio per queste funzioni di polizia civile e militare dei carabinieri.
Quindi queste figure di poliziotti non sono solo necessarie per la gestione di questi conflitti, ma ritengo abbiano un ruolo spiccato a livello di comunità europea.
Infine, conflitti interetnici. Ripeto, ho vissuto in prima persona l’esperienza in Bosnia e devo dire che i conflitti interetnici lasciano un buco dentro, perché mettono forse a nudo la parte peggiore dell’umanità. Due anni fa bastava guardare negli occhi un cittadino della repubblica Serpska, che ovviamente riteneva di essere stato danneggiato dalla guerra, chiedergli cosa ne pensasse di un croato, e il sangue gli schizzava agli occhi. È un sentimento così coinvolgente, che è veramente difficile da gestire.
Quindi, la gestione dei conflitti interetnici, nella pratica, è possibile attuarla semplicemente con una forza di interposizione, mettendosi in mezzo ed impedendo il contatto. Ma bisognerebbe altresì, a monte ed a valle, operare una grande trasformazione culturale. C’è ancora tantissima gente che non crede all’uguaglianza delle persone. Anzi, è perfettamente convinta del contrario. Ed è da questa convinzione che ne deriva la cultura. Per trasformare questa mentalità, in questo ambito, ha sicuramente ragione Mr. Müller, perché ci vorrà un’opera profonda di trasformazione culturale.
Ecco, io ho detto tutto quello che mi sentivo di dire e cedo la parola al prossimo relatore. Grazie.

(trascrizione non rivisto dall’autore)

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